|
Il Segno |
01/02/2007 |
|
|
La pena di morte � un indicatore della soglia di civilt� e andrebbe messo tra gli indici dello sviluppo umano, come l'istruzione. Dice molto della qualit� e dell'idea della vita in societ� che guarda-no solo al Pii. Da sempre il mondo ha vissuto in compagnia della pena di morte. Le religioni del Mediterraneo, la cultura greca, a lungo il meglio del pensiero occidentale hanno trovato la pena di morte non solo corretta, ma opportuna. Anche se nella Bibbia pu� essere rintracciato un filone sottile, nel libro di Giobbe e in altre pagine, che poi diventa pian piano la luce di un mondo senza vendetta e senza pi� morte. I cristiani, per il loro rifiuto di dare la morte, erano considerati da Giuliano l'Apostata cittadini inaffidabili e non adatti al servizio pubblico nell'esercito. Solo nel XVIII secolo il pensiero occidentale � arrivato sulle soglie della sacralit� della vita di ogni uomo e di ogni donna. Non si erano mai spinti cos� lontano neppure Aristotele o Platone. Anche se l'utilitarismo inglese di Hobbes arriva sul punto di teorizzare il patto giuridico proprio come risposta al bisogno di impedire lo spargimento di sangue umano. Lo stesso accade con Kant, che afferma la necessit� della pena capitale mentre pone le basi per il riconoscimento originario della dignit� insopprimibile di ogni vita umana. Con Cesare Beccaria assistiamo alla prima messa in discussione della pena di morte, non solo inutile (sono le pene lievi, ma certe, a ridurre il crimine), ma sbagliata. � la premessa alla prima abolizione da parte di uno Stato, per iniziativa di Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana: era il 30 novembre 1786. Oggi il 30 novembre � diventato, per iniziativa della Comunit� di Sant'Egidio, la Giornata Internazionale delle Citt� per la Vita. La pena di morte � stata abolita dal Codice Penale italiano nel I889, ma c'� rientrata con il fascismo ed � stata rifiutata di nuovo dall'Italia repubblicana. � stata la seconda guerra mondiale a innescare un rifiuto pi� radicale della pena capitale e a creare le premesse perch� oggi l'Europa sia il primo continente al mondo senza pena capitale. La curva dei Paesi abolizionisti si impenna dalla fine degli anni Settanta. Una ventina nella prima met� del XX secolo, una cinquantina fino agli anni '70, altri 46 si aggiungono in venti anni, 12 solo tra il '99 e il 2002; i pi� recenti sono Cile, Senegal, Filippine, Liberia e Tagikistan. Pi� della met� dei Paesi del mondo hanno smesso di usare la pena capitale. Ma tra i mantenitori, oltre a gran parte dei Paesi arabi e a maggioranza musulmana, restano grandi Paesi come gli Stati Uniti e l'India, la Cina e il Giappone: la discriminante tra pena di morte e altre forme di giustizia, evidentemente, non � la democrazia. Anche la tortura e la schiavit� sembravano naturali, necessarie, insostituibili. Ma non era cos�. Oggi anche la pena di morte pu� rientrare nell'armamentario del passato. La Chiesa cattolica � di-ventata da tempo - in particolare con il pontificato di Giovanni Paolo II - la prima grande "agenzia" morale internazionale a opporsi in ogni sede, anche nei singoli casi, alla pena capitale. E c'� un movimento di rilievo in tutte le culture e le religioni che aspira a una giustizia sempre in grado di rispettare la vita, come mostra anche il successo dell'Appello per una moratoria universale promosso dalla Comunit� di Sant'Egidio. La pena di morte aggiunge sempre una morte a una morte gi� avvenuta e non restituisce mai la vita. Congela nell'odio le famiglie delle vittime per anni e promette una guarigione impossibile. Non � un deterrente, non abbatte il numero dei delitti, ma abbassa lo Stato al livello di chi uccide. Men-tre vorrebbe affermare una cultura di vita, afferma una cultura di morte al livello pi� alto, quello dello Stato e della comunit� civile. Colpisce spesso innocenti: l'ho visto personalmente entrando nei bracci della morte. Colpisce gli oppositori politici e le minoranze sociali e religiose in Paesi totalitari e anche democratici. Costa spesso pi� di altre forme di giustizia. Non � un caso che, cinquant'anni dopo la Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo, il Tribunale penale internazionale non preveda preveda pi� la pena di morte anche nel caso di crimini contro l'umanit�. Ma ci sono grandi potenze che non hanno ratificato quel Trattato. La recente iniziativa del Governo italiano e del presidente del Consiglio Prodi per arrivare a una risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni capitali da presentare all'Assemblea generale dell'Onu � un passo molto importante e pu� essere decisivo. Ma perch� una risoluzione venga approvata a maggioranza dall'Assemblea � necessario un grande lavoro diplomatico per associare alla pari Paesi-guida di mondi diversi, dal Sudafrica al Mozambico, dalla Liberia al Senegal, dalle Filippine al Cile, da Costa Rica al Messico e al Brasile. Perch� nessuno possa invocare l'argomento - pretestuoso - che si tratta di un'indebita ingerenza "neo-colonialista" dell'Europa negli affari interni dei Paesi pi� piccoli. Occorre valorizzare il ruolo dell'Africa, il continente che sta compiendo pi� rapidamente passi verso l'abolizione, e di Paesi come Marocco e Tunisia, da tempo tra gli "abolizionisti di fatto". Su queste basi, entro la fine del 2007, si pu� arrivare all'approvazione. Sar� utile anche per il nostro Paese, dove c'� chi invoca nuovo sangue per rispondere al sangue assurdo di crimini come quello di Erba.
Mario Marazziti
|