Comunità di S.Egidio


 

Il Segno

05/02/2007


Metti una sera con i barboni
Fanno la fila per un panino e una bevanda calda. Vengono per lo pi� dall�est europeo e sono il volto delle nuove povert�. Segno li ha incontrati, con l�aiuto dei volontari della Comunit� di sant�Egidio

 

� una sera di inizio settimana. I volontari della Comunit� di sant�Egidio l�hanno soprannominata �la cena del marted� sera�. Fa freddo. Anche se siamo a met� dicembre, tira un vento maledettamente fastidioso che coglie impreparati i cittadini romani, abituati ad altri climi. Anche �loro�, i senza fissa dimora, sembrano ripararsi dietro quelle piccole e logore giacchette di jeans sgualcite con fare dignitoso. Non hanno tempo per lagnarsi. Hanno fame. Aspettano il loro turno di migranti d�oriente con un senso di ordine tipicamente occidentale. Avamposto delle vite rubate e spezzate nei luoghi d�origine, si ritagliano un posto di accettata democrazia nell�atto di mendicare il pane. Un panino, un caff� caldo, due frutti. Tutti in fila, in silenzio. Con sorriso. Con i denti che masticano pane come fosse il pi� buono dei dolci.

Li chiamano senza fissa dimora. Forse perch� � pi� trendy. Una volta non avevano nome. Morivano sotto i ponti delle nostre citt� addormentate dal rumore del traffico. Lungo le strade segnate dall�indifferenza delle istituzioni e della coscienza civile. Li abbiamo chiamati barboni, clochard, ce li siamo trovati sotto casa tante volte e abbiamo girato l�angolo, repentinamente. Chiss� chi erano. La donna del pianerottolo accanto uscita dall�ex manicomio. L�uomo che aveva perso i propri cari, all�improvviso, ritrovandosi solo. L�anziano al quale la pensione non bastava pi�. Il giovane che era scappato da casa perch� non ci trovava pi� �il gusto� della vita.

Che brutta parola, barboni. Diciamocelo: d� fastidio. Pensiamo subito a quelle figure standard dell�immaginario collettivo: cappotti giganti che strisciano a terra, barbe lunghissime, volti accerchiati dai segni della fame e della sporcizia, enormi buste dove dentro c�� tutta la spazzatura delle nostre metropoli, perch� per loro quelle buste sono il cibo quotidiano. Gi�, i soliti barboni accompagnati dai soliti cani, randagi come loro.

Vite ai margini che toccano, ogni tanto, la suscettibilit� delle nostre citt� comode e appagate. Ma anche qui qualcosa sta cambiando. Me lo dice Guglielmo, un insegnante di 54 anni che ha deciso, quando era giovanissimo, di dare un po� del suo tempo a queste persone sfortunate. �Come Comunit� di sant�Egidio ci tocca il marted� sera. Giriamo nei posti classici dove il disagio si manifesta di pi�, le stazioni, le periferie. Gli altri giorni della settimana vengono condivisi con gli altri volontari che operano a Roma, la Caritas, le varie associazioni. Qui, alla stazione Tiburtina, ci dividiamo in due gruppi: gli italiani sono circa una trentina e stanno dentro la stazione, per via dei controlli di sicurezza che ormai rendono la vita difficile a chi � �straniero�. Gli stranieri invece, circa ottanta persone, ci aspettano sotto il ponte, di fuori, e fanno la fila diligentemente per un pezzo di pane. Noi abbiamo iniziato negli anni �80 a girare per le strade: ci fermavamo a parlare con queste persone perch� credevamo, e ancora continuiamo a credere, che era il modo pi� vicino per vivere il Vangelo�.

Un universo di vite e di storie ai margini che sta cambiando giorno dopo giorno. Agli africani sono pian piano subentrati gli immigrati dell�est europeo. Perch� oggi il senza fissa dimora, il clochard, il barbone, non � pi� quello di una volta, ma un nuovo povero, uno di noi, uno che magari non riesce ad arrivare alla fine del mese, uno che lavora in �nero� e che deve fare la fila per prendersi un panino gratis. Dormono dove capita. Sotto i ponti, nei ripari delle chiese. Chi � pi� fortunato mette su una baracca. Qualcuno ha anche il cellulare, perch� se il �caporale� chiama, non pu� non andare.

Sono tanti, tantissimi. Non si possono quantificare. Solo a Roma si parla di circa 5mila senza fissa dimora. �Ma ce ne sono di pi� - mi racconta Guglielmo -. Divisi tra gli ufficiali, cio� quelli che noi seguiamo personalmente, e quelli nascosti nelle vie pi� lontane. � un fenomeno che cresce rapidamente e in modo disomogeneo. E che comincia a colpire fette della popolazione che prima riusciva a vivere sopra la soglia della povert�. Noi facciano quello che possiamo. Qualche volta riusciamo a recuperare delle coperte, dei vestiti. E per le situazioni davvero di emergenza, chiamiamo il call center della Centrale operativa del Comune: spesso riescono a trovare un posto per farli dormire�.

Ci diamo da fare. Anche il cronista distribuisce la sua dose di panini. C�� chi chiede il bis, chi fa il furbo e si inguatta altra pizza. Ma si mangia insieme, in piedi, con un freddo pazzesco. Almeno qui sono educati, puliscono il marciapede. Qualcun altro si adopera per un fratello pi� disperato di lui, perch� magari sta male, o non cammina. Episodi di amicizia dimenticata. Un volontario arriva con un�enorme busta con pane caldo e pizza bianca per tutti: una vera manna. Ci dicono che sono le comunit� sorte in periferia che, a turno, preparano i cibi e le bevande, facendosi aiutare spesso dalla gente del luogo, il panettiere, il salumiere. Episodi, anche qui, di amicizia che non rimbalza mai sulle prime pagine dei giornali. Ma la parola solidariet� non significa solo sfamare questi poveri diavoli. Qualche volta il solo gesto del parlare, un sentimento di vicinanza che loro percepiscono, fa bene pi� di un tozzo di pane. Li invitano al pranzo di Natale, quello che la Comunit� celebra ogni anno dentro la basilica di santa Maria in Trastevere. Un invito che vale pi� di qualsiasi altra cosa.

�Perch� lo facciamo? - continua Guglielmo -. Perch� innanzitutto vogliamo sfamare questa gente, perch� ci interessa la protezione della vita e perch� crediamo che la cultura della solidariet� nasca innanzitutto dal basso e che abbia bisogno di gesti concreti, forti e duraturi�.

Finita la cena, i pi� coraggiosi si fermano a parlare con i volontari. Per una volta, Roma, di notte, sembra diversa. C�� giusto il tempo di un rapido saluto. La strada di casa la percorro da anni. Eppure, stanotte, mi sembra popolata da strane figure. A ridosso della ss3 Flaminia non c�� solo il verde di una volta. Parecchie baracche hanno preso il sopravvento. Nei tratti pi� bui, specie sotto i ponti, incontriamo una trib� underground che mette un po� paura: un puzzle di meticciato zingaro, rumeni, polacchi, ungheresi, rom, si muove in maniera sparsa. Una settimana fa, in pieno pomeriggio, sono sbucati fuori all�improvviso e hanno ammazzato di botte, a Prima Porta, alla periferia nord della capitale, un giovane di trent�anni che aveva osato difendere una ragazza da chi la importunava. La gente del posto ha manifestato in piazza e la Prefettura ha preso sul serio il problema.

Vite ai margini. In attesa che la politica faccia qualcosa, perch� prima o poi questa situazione esploder� in una nuova e pericolosa piaga sociale, resta questo pezzo di pane dato in amicizia. Scampoli di Vangelo offerti al silenzio di chi non vuol vedere.

� un segno di speranza, in questa notte che ingloba tutto e tutti, e che prepara un mattino senza sole.

Gianni Di Santo