Comunità di S.Egidio


 

20/10/07


Lo spirito di Assisi per dire no alla paura
Quando nel 1986 Giovanni Paolo II parl� dei valori primari dell�uomo

 

Papa Benedetto XVI ha detto, a proposito dell�incontro interreligioso di Assisi voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986, che �assume il carattere di una puntuale profezia�. Ad Assisi � nato, vent�anni fa, un movimento destinato ad unire uomini di ogni religione, di tutte le culture, anche provenienti dall�umanesimo ateo, �in uno spirito di rispetto - diceva papa Wojtyla - di amicizia, di solidariet� sui valori fondamentali dell�uomo�. Egli definiva Assisi come il �luogo che la figura serafica di san Francesco ha trasformato in centro di una fraternit� universale�; Francesco che seppe dare testimonianza della pace ritrovata con tutte le creature e, concretamente nella storia, di un incontro pacifico e rivoluzionario tra cristianesimo e islam: la follia della pace. Nel commentare lui stesso l�incontro del 1986, Giovanni Paolo II disse: �Non c�� che un solo principio divino per ogni essere umano che viene a questo mondo, un unico principio e fine, qualunque sia il colore della sua pelle, l�orizzonte storico e geografico in cui gli avviene di vivere e agire, la cultura in cui � cresciuto e si esprime. Le differenze sono un elemento meno importante rispetto all�unit� che invece � radicale, basilare e determinante�. A partire dal 1987, nei suoi messaggi annuali alla Comunit� di Sant�Egidio, non smise mai di sottolineare sempre pi� l�impegno personale dei responsabili delle religioni e, in primo luogo, di ciascun credente. Affermare l�unit� della famiglia umana significava difatti sottolineare una visione universalistica, che � una prospettiva di avvenire. � l�ideale del �fratello universale� come Charles de Foucauld lo proponeva attraverso l�universalit� dell�amore. La collaborazione tra le religioni e tra le culture: � questa la proposta della parabola di Assisi. Giovanni Paolo II ieri, Benedetto XVI oggi, hanno fatto del dialogo una priorit�. Non si tratta evidentemente di ricercare una forma di consenso, n� di rischiare di aprirsi al relativismo, ma di rispettare l'alterit� dell�interlocutore nella sua propria identit�. Si tratta non di pregare insieme, ma gli uni accanto agli altri, e non pi� gli uni contro gli altri, per liberare delle �energie spirituali�. Non c�� niente da negoziare, � soltanto un momento spirituale condiviso da credenti di religioni diverse, radicati nella loro propria fede, attorno al tema prediletto della pace, per mettere al primo posto l�energia della preghiera che Giorgio La Pira definiva come �un�energia atomica�. Il dialogo � quindi affidato alla responsabilit� di ogni credente, non soltanto per le questioni della guerra e della pace tra le nazioni, ma anche per la citt� nella sua vita quotidiana. Una societ� multiculturale come in Europa oggi, � per natura una societ� attraversata dal conflitto. Per tale ragione gli uomini responsabili delle religioni, i credenti attraverso il dialogo si collocano in un movimento di mediazione. Il dialogo come mediazione fa nascere una cultura del rispetto e della gestione del conflitto. Ma alla base c�� la responsabilit� dei credenti e delle religioni, che debbono sempre affermare che solo la pace � santa, che la guerra non � santa: sono loro a farsi carico dell�ambizione di una nuova cultura, di una nuova cittadinanza, di un nuovo umanesimo attraverso il convivere di una spiritualit� della pace. Nel 1983, Giovanni Paolo II defin� il dialogo come �un riconoscimento della dignit� inalienabile degli uomini�. Lo spirito di Assisi pu� allora essere definito attraverso tre rifiuti, un appello e due proposte. I rifiuti sono quelli della fatalit�, del pessimismo e della paura, che troppo spesso diventano rassegnazione ed impotenza, e della cultura di guerra che porta ad accettare la violenza come metodo di risoluzione dei conflitti. L�appello si indirizza alla responsabilit� delle religioni e dei credenti, nell�aprirsi a tutti gli uomini e le donne di fede, di separare la religione dalla guerra, di desolidarizzare le tradizioni religiose dagli istinti di violenza, di fare invece della religione un fermo fattore di pace nel sottolineare ci� che � in comune, una visione dell'uomo, il messaggio di pace, la dimensione universale. Le due proposte sono quelle di un dialogo libero, senza pregiudizi, fondato sul rispetto, la pazienza e l�amicizia, maturato nella preghiera, e dell�affermazione di una forza piccola, debole, non una forza militare o economica, ma una forza debole, quella della preghiera, che pu� portare alla pace.

Jean Dominique Durand