ROMA. Fianco a fianco. Pregando, insieme, avendo nel cuore Giovanna. Ogni panca piena e tantissima gente in piedi: quasi ottocento persone si sono incontrare ieri sera nella Basilica di San Bartolomeo all�Isola Tiberina, a Roma, alla �Preghiera in memoria di Giovanna Reggiani�, organizzata dalla comunit� di Sant�Egidio e guidata da monsignor Marco Gnavi per la Comunit� stessa, dal Metropolita ortodosso di Parigi e Francia, Europa occidentale e meridionale Iosif e dal pastore della Chiesa valdese Antonio Adamo. Fra i presenti (tra loro anche il prefetto di Roma Carlo Mosca e il sottosegretario all�Interno Marcella Lucidi): tantissimi romeni e diversi rom, molti italiani e altrettanti immigrati di diverse nazionalit�, arrivati nella Basilica per �un momento di solidariet� e un esempio di convivenza pacifica fra persone di nazionalit�, religioni e culture diverse�, come lo ha definito Gabriel Rusu, rappresentante del 'Movimento per le genti di pace' promosso dalla Comunit� di Sant�Egidio . �Qui, al di l� del frastuono delle parole urlate e del senso di insicurezza che agita questi giorni � ha detto monsignor Gnavi � siamo venuti assieme per ritrovare la parola equilibrata e forte del Vangelo, tanto luminosa da svelare il profilo dei volti di ciascuno, dissipando le tenebre che ne deformano i tratti e rendono tutti nemici�. Violenza c�� stata, e fra le pi� brutali, inspiegabili: tuttavia �non vi si reagisce con altra violenza�, ha sottolineato il Metropolita romeno ortodosso. E se la violenza diventa �una tentazione per tutti�, questa stessa �non � invincibile� e �siamo chiamati a uno sforzo spirituale continuo per dominare questa tentazione�.
Anzi, �noi cristiani possiamo assumerci il peso della violenza dell�altro e, con il dono dello Spirito Santo, possiamo dominare al violenza che � in noi�. In fondo dobbiamo 'solo' scegliere fra la vita e la morte, perch� � ha detto ancora monsignor Gnavi � �se vogliamo, il fuoco della violenza che rende la vita un inferno si accende in una progressione dal fastidio al pregiudizio, alla paura, fino alla distanza fra e me e l�altro tanto profonda da costituire un terreno fecondo per il germe di morte�. (P.Cio.)
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