Paolo VI nel'68 lanci� l'idea di dedicare il primo giorno dell'anno alla pace. Chiunque sarebbe stato libero di riprendere come credeva questa iniziativa. Secondo il papa, per chi guarda il mondo con amore occorre sempre parlare di pace. Da allora molte cose sono cambiate. Parlare di pace � attuale, ma pare pi� difficile. Ha senso quando paesi interi scivolano nel caos? Possiamo parlare di pace nella nostre citt� dove crescono le tensioni? Parlare di pace vuol dire pensare al futuro, ma ci siamo disabituati a fare programmi. Il futuro inquieta, meglio non pensarci. Immersi nell'oggi, s� vive di consumi e di contrapposizione. L'altro forse non � il nemico, ma comunque non � affar mio. La soglia di tolleranza si � abbassata, e la distanza dal vicino sembra aumentata. Se nel mondo si diffondono nazionalismi etnici e fanatismi religiosi, il nostro nazionalismo si chiama indifferenza e senso di impotenza. Per gli altri ci pare d� poter fare ben poco. Al termine di una settimana, iniziata col Natale e conclusa con la marcia per la pace del 1� gennaio, guardo Genova e vedo segnali importanti. Il giorno di Natale, al pranzo della Comunit� di Sant'Egidio, erano presenti 45 diverse nazionalit�. Un quarto del mondo sedeva alla stessa tavola. Eil I� gennaio, alla marc�a per la pace,camminavano insieme una donna araba con 1'hijab, un peruviano in abiti tradizionali, una suora africana ed un medico italiano. I loro cartelli ricordavano nomi di paesi colpiti dalla violenza: Israele, Sri Lanka, Irak e Kenya. E un mondo composito che si affaccia nelle nostre strade. Eppure 1'integrazione sembra ancora lontana. Il figlio del rumeno o dell'ecuadoriana potranno dirsi un giorno genovesi?
Prima della marcia per la pace, alla basilica dell'Annunziata, hanno parlato due donne: Mara, rumena in Italia per lavoro, e Eunice, ugandese giunta a Genova per curare le ferite della guerra. Dopo averle ascoltate, il cardinal Bagnasco ha ricordato che far parte di una citt� � la scelta di appartenere ad una famiglia. Una scelta quotidiana, fatta di sostegno, accoglienza, condivisione. Non siamo "gli uni accanto agli altri per caso", come ha detto Benedetto XVI nel suo messaggio. Guardando Mara, Eunice, il cardinale e i tanti presenti, ho sentito nascere in noi un sentimento da tempo latitante: l'ottimismo. Genova � meglio di quanto pensiamo, possiamo affrontare i problemi che certo non mancano, la scuola ci aiuter� a sciogliere i nodi dell'integrazione, le famiglie sosterranno i bambini e gli anziani. Possiamo fare progetti per il futuro e lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello attuale. Possiamo ancora gridare viva la pace.
Doriano Saracino � un volontario della Comunit� di Sant'Egidio
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