La chiamano �l'Onu di Trastevere� e la curiosit� manifestata da George W. Bush durante il suo soggiorno romano � solo l'ultima, prestigiosa riprova di un clamoroso successo diplomatico, culturale e umanitario. AI punto che sarebbe ormai impossibile pensare una certa Roma senza la Comunit� di Sant'Egidio. Intendiamo �quella certa Roma� non solo cattolica (attenzione, perch� sarebbe riduttivo) ma ben pi� in generale convinta che questa citt� abbia un preciso retaggio storico, secolare: guardare con consapevolezza politica al resto del mondo, mediare nei conflitti, cercare la via della ragione e non quella istintiva della guerra.
Inutile qui elencare le vittorie della Comunit� trasteverina. Sono tante, tutte ragguardevoli. Ottenute per di pi� con uno stile assolutamente non italiano (quasi anti-italiano): contatti ad altissimo livello ma rigorosamente lontani dalla ribalta e dai suoi riflettori. Verrebbe da pensare a un metodo anglosassone se non fosse, per paradosso, assolutamente intriso di una cultura latina e mediterranea. Ovviamente la migliore. Per questo Bush ha chiesto di incontrarli: perch� la Comunit� di Sant'Egidio, con il progetto Dream sull'Aids in Africa, sta ottenendo risultati assai migliori di quelli inseguiti da importanti fondazioni statunitensi. Il tutto parte da Roma. Con comprensibile stupore di mister Bush.
Un altro grande merito della Comunit� � che i risultati ottenuti in un quarantennio di sforzi diplomatici non l'hanno resa estranea al tessuto cittadino. Anzi. Lo sforzo verso i pi� deboli ha assunto un sapore straordinariamente non provinciale: perfetto per una contemporaneit� fatta di immigrazione, fusione di razze e culture, di incontro-scontro tra religioni, di nuove povert� e drammatiche emarginazioni.
Se ogni tanto la nostra citt� riesce a fornire risposte adeguate a molte tragedie del nuovo millennio, il merito va attribuito anche alla Comunit� e agli strumenti di cui dispone. Chiunque governer� in futuro il Campidoglio far� bene a ricordarlo. Cos� come non lo hanno mai dimenticato, bisogna riconoscerlo, gli ultimi inquilini di quel colle.
Paolo Conti
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