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20 Settembre 2016 08:30 | Teatro Metastasio

Intervento di Mario Marazziti



Mario Marazziti


Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, Italia

I migranti ci interrogano. Interrogano l’Europa e noi. Sappiamo chi è l’Europa e come sta diventando? Chi siamo noi? Chi sono I migranti?

Il primo problema è questo. Che tutti ormai ne parliamo, che le migrazioni stanno saturando immaginario e discorso pubblico, in Italia, in Europa, nel mondo occidentale. Probabilmente anche in Asia, nell’Africa sub-sahariana ( ma noi qui in Italia e in Europa non ne siamo consapevoli), ma che parliamo di una cosa che pensiamo di conoscere e non conosciamo.

Narrazione, linguaggio, discorso pubblico sono una cosa. La realtà è in gran parte un’altra. Ma le politiche dell’immigrazione risentono molto del discorso pubblico, e quindi tendono ad essere sbagliate, completamente miopi, di corto respiro.

In Italia, in Germania, in Francia, in Europa c'e' chi dice davanti alle immagini  di chi muore o sta affogando nel Mediterraneo: "aiutiamoli a casa loro". O non dovrebbe essere lì. Frasi senza senso, ma che vengono moltiplicate nelle news mondiali dando dignità al nonsenso volgare dei populisti. Quale casa? Quale paese? Bombardati? Schiavizzati? In mano a Daesh?
Questo nonsenso sta svuotando l'anima dell'Europa e degli europei.
Ho parlato con gli eritrei sopravvissuti del naufragio di Lampedusa, due giorni dopo. Mancavano ancora più di 300 corpi all'appello. Abbiamo ricostruito insieme che dovevano essere ancora in fondo al mare in quel numero. Ognuno di loro aveva speso circa 2000 dollari e quasi due anni di vita per arrivare a Misurata e Lampedusa, o in fondo al mare. Un anno passato a Khartoum, semi-schiavi, per fare i soldi per la seconda parte del viaggio e trovare i trafficanti umani "giusti" per arrivare.
Chi si sottopone a questo, se la strada per arrivare e essere accettato sarà più difficile, per le decisioni degli Stati europei, si sottoporrà solo a nuovi rischi. Mediterraneo sempre più cimitero. Ma anche della coscienza europea. Non ci sono leggi che fermano questo. Ma ci sono leggi che possono dare una risposta a questo. Quelle che l'Europa stenta a darsi.

Nel mondo, nel 2015, 244 milioni di migranti. 76 milioni in Europa e 75 milioni in Asia. Più di 60 milioni di migranti forzati. 19,5 milioni rifugiati riconosciuti. 1.015.000 nel 2015 sono arrivati via mare. In una a Europa con 510 milioni di persone non sarebbe granché.
Da luglio a settembre dal Sud Sudan più di 300.000 persone in Uganda, quasi 300 mila in Etiopia occidentale, altri 200 mila in altre direzioni. Quasi lo stesso numero in tre mesi dal solo Sud Sudan. Che dovrebbero dire questi paesi? E non sono l'Europa.  Questo ci aiuta ad avere la dimensione.

Allora. Prima domanda. “Europa, sei una vecchia signora”. “Come vuoi invecchiare? Vuoi avere un futuro, figli e nipoti, o vuoi che la tua casa piena di mobili, quadri, bellezza e anche gioielli finisca con quello che sei oggi? Vuoi difendere tutto questo con la porta chiusa o partecipare al futuro tuo e dei tuoi figli?”

“Europa, sei cresciuta facendo diventare “loro”, gli altri, le nazioni e I nazionalismi, un “noi”. “Vuoi accettare la sfida di fare rientrare di nuovo la paura di “loro”, e trovare futuro forza e giovinezza attraverso “integrazione che riduce e non aumenta le ostilità”, di costruire un “noi capace di includere l’altro?”. Come l’Impero Romano, gli Imperi, ma anche come un grande soggetto capace di vivere nella globalizzazione?

Partiamo allora dal linguaggio e dai dati.

Nessuno è mai solamente un rifugiato

In Igbo la parola usata per “amore” è “ifunanya” e la sua traduzione letterale è “vedere”. E’  arrivato il momento per una nuova narrativa, una narrativa in cui vediamo realmente coloro di cui parliamo per raccontare una storia diversa. Lo spostamento di esseri umani sulla terra non è nuovo. La storia umana è fatta di spostamenti e mescolanza. Nessuno di noi è solo carne e ossa. Siamo esseri che provano emozioni, affetti. Nessuno è mai solo un profugo. Ma una persona. Come noi. “Stranieri nostri fratelli” era il titolo di un ragionamento della Comunità di Sant’Egidio di fronte alla prima ondata di intolleranza in Italia, dopo l’attacco terroristico palestinese a Fiumicino. Non era buonismo. Era, ed è, l’unica visione lungimirante. Anche per fare restare l’Europa Europa, perché sia se stessa. Nata dopo la guerra come realizzazione di una democrazia umanistica e inclusiva. Come ancora  il Piano di Stoccolma che delineava obiettivi ambiziosi per la politica migratoria europea, ovvero accordare agli stranieri residenti legalmente “un livello di diritti comparabile a quello dei cittadini degli stati membri”. Ma sembra preistoria. E era invece il 2010.

Le migrazioni non sono un fatto transitorio, ma epocale. I migranti che premono alle porte dell’Europa sono una piccola minoranza rispetto alle masse di individui, persone, che oggi sono migranti forzati nel mondo.
Più di 60 milioni, oggi, la cifra più grande dalla fine della seconda guerra mondiale, e della storia umana, forse. Solo due milioni in Europa, e 2 milioni in Libano o Giordania, come se in Europa ve ne fossero 200 milioni, in rapporto alla popolazione. Ma l’Europa si è spaventata, partiti populisti pensano di guadagnare aumentando la paura, la paura è quello che vuole Daesh, ISIS, ma i nostri apprendisti stregoni che dicono “salviamo la civiltà occidentale regalano ogni minuto a Daesh una supremazia che non ha, proprio attraverso la strategia della paura e dell’indistinto: migranti uguale musulmani uguale possibili terroristi, comunque potenziali minacce e nemici, uguale clandestini e pericolo che si muove nell’ombra.

L’Europa è tuttora il continente europeo con più possibilità e tecnologia, e anche spazi, se fosse più unito.

Si fa la distinzione tra migranti economici e profughi. Ma nella quasi totalità si tratta di migranti forzati. Penso che dobbiamo usare questa categoria. Perché anche I migranti economici, se fuggono desertificazioni, entrano in contatto con bande che controllano il territorio, impiegano mesi, un anno, due anni, in mano a trafficanti umani e piccoli signori della guerra, sono semplici migranti forzati.
Nel discorso pubblico europeo degli ultimi anni, la distinzione tra migranti economici e profughi tende ad essere presentata, sempre più spesso come base della quale differenziare i migranti "meritevoli” da quelli “non meritevoli”, quelli da accogliere dai migranti da respingere. E’ una cosa da dibattito televisivo, con chi dice: “vengono qui a portarci via il lavoro”, se ne stessero a casa loro. Ma casa loro non c’è, c’è la guerra, c’è lo sfruttamento, di peggio.

L’Europa invecchia irrimediabilmente, perde e perderà di competitività, in questa che è la “quarta globalizzazione”.

Per questo la battaglia è quella di diventare capaci di utilizzare le migrazioni forzate come un pilastro per disegnare la nuova Europa e il nuovo sviluppo.

Le migrazioni, a ondate, ci sono sempre state.

Dalle origini dell’agricoltura fino alla metà dello scorso millennio, l’Europa ha ricevuto flussi di immigrazione in provenienza dal mediterraneo sud-orientale o dall’oriente, attraverso la grande porta di entrata tra gli Urali e il Mar Caspio.
Nel Cinquecento, la prima globalizzazione è stata quella dell’incontro tra Europa e America ha gettato i semi della prima grande globalizzazione moderna.  aprendo il continente a consistenti flussi di emigrazione.
La seconda grande globalizzazione Ottocentesca è stata dall’Europa verso i Nuovi Mondi bisognosi di capitali, lavoro, coloni e famiglie: poi, le grandi perdite demografiche della prima guerra mondiale, il protezionismo economico tra le due guerre, la graduale chiusura dei paesi di destinazione.
La terza globalizzazione negli ultimi decenni del secolo scorso ha invertito la direzione dei flussi, e dopo mezzo millennio l’Europa è divenuta una delle  regioni di approdo di migranti.

Oggi, una quarta globalizzazione, mentre cambiano I confini del mondo ereditati dalla Prima Guerra mondiale e entrano, concorrenti e ieni di problemi e di lotte interne per la egemonia, sullo scenario mondiale, mondi che sembravano passivi rispetto alle grandi dinamiche mondiali e dello sviluppo.

I numeri e i fatti sono essenziali. Massimo Livi Bacci ci aiuta in questo.  Se guardiamo a un’Europa comprendente anche la Russia – il cui corpo si estende per lo più in Asia, ma il cui baricentro demografico è nettamente in Europa, e i settant’anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale, e dividiamoli in due fasi di uguale lunghezza: 1945-1980 e  1980-2015.  L’Europa invecchia inesorabilmente e occorre partire anche da qui.

Nella prima delle due stagioni, quella del rigoglio demografico, la popolazione del continente è cresciuta da 524 a 695 milioni di abitanti (+171 milioni, +33%); nella  seconda fase, della frenata e del ristagno, dopo il 1980,  la crescita è diventata assai tenue, portando la popolazione a 743 milioni nel 2015  (+48 milioni, +7%) . Ma il dato sarebbe diverso se non ci fossero stati 40 milioni di immigrati, nel frattempo. In una terza fase (2015-2050), del declino, la popolazione scenderebbe a 709 milioni (-34 milioni, -5%, secondo le valutazioni delle Nazioni Unite). 

Tra oggi e il 2050, quasi tutti i paesi europei (tranne Regno Unito, Francia, Svezia, Norvegia e Irlanda) qualora tenessero le porte chiuse ermeticamente alle migrazioni, conoscerebbero un declino demografico di varia intensità

Nell’insieme del continente, se cessasse l’apporto dell’immigrazione, la popolazione scenderebbe a 656 milioni nel 2050 (-87 milioni, - 12%).

Allora?

Concludo. Qualche punto fermo.

Calais. Non è solo un problema di Brexit.

C’è un vero problema di sicurezza, esiste, ma prioritariamente per i migranti. Rischiano la vita nel tentativo di salire sui mezzi di trasporto che attraversano il tunnel: 4 morti nel solo mese di luglio 2016 a Calais. In media, muore una persona alla settimana dal 2014, includendo Parigi e la Gare du Nord da dove partono i treni. Anche gli autisti rischiano regolarmente incidenti stradali sul percorso, oppure di essere perseguiti come "passeurs".

Un’inchiesta Unicef negli accampamenti del nord della Francia dice che più giovani hanno pagato tra i 2700 e 10.000 euro per arrivare in Francia. Oggi, per via dei controlli della Polizia, percorrere gli ultimi km e attraversare la Manica significa sborsare tra i 5.000 e 7.000 euro. In attesa di accumulare la somma, i minori sopravvivono nella ’jungle’ per mesi rifiutando spesso il posto in un Centro a cui avrebbero diritto.


(Il 5 settembre, in occasione della mobilitazione del "Grand rassemblement" dei cittadini di Calais, sostenuta e appoggiata dall’estrema destra, contro "la pressione migratoria" e per "dire stop all’insicurezza", qualche centinaio di persone (tra i quali rappresentanti delle imprese di trasporto e dei commercianti, del sindacato FO della polizia, e persino della CGT dei dockers) con qualche decina di mezzi, camion e trattori avevano bloccato l’autostrada che porta al tunnel sotto la Manica. Tra le incongruità di questa mobilitazione bisogna dire che il sindacato dei padroni di imprese di trasporti sono i primi a utilizzare mano d’opera straniera sottopagata.
D’altra parte, invalidare gli accordi franco-britannici di Touquet che prevedono la gestione della frontiera britannica in Francia in cambio di una quota di partecipazione miliardaria, è uno degli argomenti elettorali del candidato Sarkozy che nel 2003, come ministro dell’Interno, aveva firmato quegli stessi accordi che oggi denuncia.)


I migranti ci interrogano su di noi. Che cosa occorre fare, almeno per rimanere noi stessi. L’Europa Europa e noi semplicemente “umani”?

Chi vogliamo essere? La globalizzazione dell’indifferenza è un suicidio per l’Europa. Occorrerebbe almeno:

Molte le criticità che andrebbero rimosse, presto, dall'UE. Ancora prima della revisione profonda della Convenzione di Dublino, che è da raggiungere. Perché creata quando 9 migranti su 10 arrivavano per vie normali nel paese che volevano raggiungere. Oggi solo uno arriva così, e gli altri 9 per vie pericolose nel paese raggiungibile, ma non quello dove si chiede l’asilo o si hanno reti di solidarietà già attive.

- I programmi di ricollocamento. Dopo una giusta decisione in tal senso soltanto 4000 accettati su una disponibilità iniziale di 160 mila.
- il reinsediamento, il resettlement. Troppo lento.dai paesi di transito come il Libano, la Giordania per i siriani. L'accordo prevedeva 22 mila persone, ma solo 8268 sono state reinsediate.
-La moltiplicazione dei Corridoi Umanitari, sulla base del successo dell'iniziativa creativa e coraggiosa di Sant'Egidio e delle Chiese evangeliche. C'è' una raccomandazione europea dell'aprile 2016, permessi per motivi umanitari. Senza rompere la Convenzione di Dublino.
-Incrementare le vie legali di ingresso in Europa è la via maestra. Per i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti economici, ma resta difficile distinguere i motivi di fuga o catalogatele vittime di catastrofi ambientali, come detto.
-Facilitare i ricongiungimenti familiari per i rifugiati. Ampliando le categorie di familiari ammesse. I siriani sono oltre 600 mila. Nei paesi europei e molti hanno familiari in grado di aiutare.
-Favorire il mutuo riconoscimento dello status giuridico tra i diversi paesi europei. La reciprocità come inizio di un modo innovativo di applicare la Convenzione di Dublino, ancor prima di una sua revisione e profonda. Per i profughi riconosciuti tali e con un lavoro potrebbe essere rilasciato un permesso di lungo-soggiorno prima del compimento dei 5 anni. È questo eviterebbe i cosiddetti "movimenti secondari" se c'è' una possibilità di accoglienza o un lavoro anche in un altro Paese diverso da quello di arrivo.

E ancora:

Una politica europea di asilo. Una domanda di asilo che possa iniziare dall’altra parte del Mediterraneo, per evitare I viaggi della morte e il finanziamento della criminalità e del terrorismo organizzato.

Migration compact sì, non come strumento difensivo, ma di sviluppo per Eurafrica, di breve e medio periodo. Investimento di amicizia e di sviluppo. Surreale un investimento di 3 miliardi replicabile per la Turchia, per il contenimento dei flussi migratori, e meno di questo per 23 paesi mediterranei e dell’Africa sub-sahariana.

Una decisione europea sul futuro. Migranti e un lavoro per l’integrazione subito. Come mostra il modello dei corridoi umanitari di Sant’Egidio e Chiese evangeliche. Dal giorno uno scuola di italiano, scuola, inserimento, corresponsabilizzazione. Un’alternativa alla radicalizzazione, che invece può crescere nei campi di accoglienza, nella terra di nessuno, in carcere. Solo una grande politica di dialogo e amicizia e inclusione svuoterà l’impazzimento violento endogeno e esogeno, permetterà di riassorbire i foreign fighters. 6, 9, 18 mesi in un campo senza fare nulla è solo un costo umano ed economico.

Una purificazione del linguaggio, per togliere terreno alla paura e alle contrapposizioni. Una grande responsabilità per i mezzi di informazione, i social media. Le nostre democrazie fanno fatica a prendere decisioni complesse nel tempo dei social media, delle semplificazioni, del linguaggio violento mai sottoposto al fact checking.

Una grande politica di investimenti di sviluppo, o non ci sarà tempo. Perché tutte le democrazie occidentali si stanno indebolendo, sulla spinta dei diversi populismi, cinici o ignoranti.

Si può fare. La vecchia Europa potrebbe trasformare questa crisi in un grande trapianto di cuore e di tessuti, senza rigetto. Le migrazioni sono una grande occasione: una medicina biologica per l’Europa, invece del trionfo della chirurgia plastica su una vecchia signora.

 

#peaceispossible #setedipace
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