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11 Settembre 2017 16:30 | Franz-Hitze-Haus, Saal 1

Intervento di Faisal Bin Muaammar



Faisal Bin Muaammar


Segretario Generale del KAICIID, Arabia Saudita
Eminenze, Eccellenze, Signore e Signori,
 
vorrei salutare tutti voi di cuore. E’ un onore ed un privilegio per me partecipare a questo incontro importante. In particolare, vorrei congratularmi con gli organizzatori per la scelta del luogo. Le città in cui ci incontriamo in questi giorni ci ricordano con forza cosa i popoli di questo mondo si aspettano dai loro leader: collaborazione, unità e solidarietà a dispetto delle nostre differenze, e nel rispetto e nel riconoscimento di esse.
 
Oggi ci incontriamo nel contesto di molti conflitti violenti e di molte sfide.
 
Vari anni fa, il Prof. Riccardi osservò saggiamente che, quando siamo testimoni di conflitti, vediamo “la casa del vicino prendere fuoco”. Ci sono case che bruciano in Africa, nel mondo Arabo, in Asia.
 
Alcuni di questi conflitti violenti hanno, ovviamente, carattere militare. Ma ci sono anche altre sfide, come l’impoverimento economico, i movimenti di profughi, la marginalizzazione, discorsi pieni d’odio e l’incitamento alla violenza, solo per nominarne alcuni. In alcuni casi queste sfide sono il risultato di conflitti militari. In altri casi ne sono la causa.
 
Per noi che oggi siamo qui vi sono quindi due questioni importanti che devono essere affrontate:
 
  1. Qual è il ruolo della religione nel contesto di questi conflitti violenti, per capire sia come hanno inizio, sia come possono essere fatti cessare?
  2. Quali sono le modalità in cui possiamo, insieme, allontanarci dai conflitti violenti per incamminarci su sentieri di pace?
 
In breve, come possono le religioni ed i leader religiosi aiutarci a vincere la sfida del vivere insieme?
 
E’ diventato un luogo comune accusare le religioni di essere la causa della violenza. Ciò non è di aiuto, né è costruttivo. Se guardiamo a ciò che accade nel mondo, e se guardiamo alla storia del mondo, vediamo che è la manipolazione della religione per fini politici che porta a conflitti violenti. E’ la brama di potere e di controllo sugli altri dell’uomo. Vi è necessità di sicurezza e del riconoscimento delle nostre diverse identità. Cinque miliardi di persone nel mondo hanno un’identità religiosa. La religione è una parte molto importante del nostro io, della nostra identità, e quando la sentono attaccata, molti si sentono minacciati, ed alcuni reagiscono in maniera estrema. Questi sono i fattori che fanno si che la religione sia resa estremamente vulnerabile da parte di coloro che cercano la violenza per fini politici od economici, oppure per giustificare i loro crimini. Sostenere che sia l’esistenza della religione in sé e non la sua manipolazione a fini politici a causare i conflitti non fa altro che il loro gioco.
 
Per esempio, insieme ai nostri associati, abbiamo fatto uno studio riferito alla Nigeria, sul motivo per cui le persone si uniscono a Boko Haram. E, contrariamente a quanto comunemente si crede, la maggior parte delle persone hanno risposto che NON si sono radicalizzate frequentando luoghi di culto. Si sono radicalizzati attraverso i social network, la famiglia e gli amici.
 
Ciò mi porta alla seconda domanda, la più importante di quelle a cui noi che siamo riuniti qui dobbiamo dare una risposta. Cosa può essere fatto? La manipolazione della religione, o l’errata rappresentazione della religione, sta creando un ciclo di sfiducia che deve essere spezzato. E ciò è qualcosa che deve essere fatto dai leader religiosi e da chi ha autorità all’interno delle comunità religiose. Dobbiamo creare sempre più esempi di dialogo interreligioso attivo, di rispetto reciproco e di coesione sociale. Queste esperienze riusciranno a respingere i messaggi di coloro che cercano di nascondere la vera faccia della religione. Tutto ciò viene ovviamente già fatto da molti leader religiosi in tutto il mondo. Molte delle persone presenti oggi in questa stanza sono esempi viventi ed ambasciatori del dialogo interreligioso. Sento spesso una profonda deferenza verso la dedizione al dialogo di molti leader religiosi che incontro a causa del mio lavoro con il KAICIID. A partire dalla nostra fondazione, nel 2012, abbiamo incontrato e creato molti esempi di dialogo interreligioso attivo. La Dichiarazione di Vienna del KAICIID, pubblicata nel 2014, oppure la Dichiarazione di Atene del 2015 sono esempi di come alcuni leader religiosi si siano uniti per affermare ad una sola voce che la violenza nel nome della religione è violenza CONTRO tutte le religioni. Questi leader hanno sottoscritto un documento in cui chiedono la convivenza pacifica di musulmani, cristiani e di tutti gli altri. Tutte le nostre attività in questa parte del mondo si basano sui principi della cittadinanza comune e dell’uguaglianza dei diritti e delle responsabilità.
 
Nel Myanmar, tra gli attivisti e i responsabili che sosteniamo vi è un monaco buddista molto noto. Si è pronunciato pubblicamente a favore del divieto di predicazione per un monaco buddista che faceva sermoni carichi d’odio verso i musulmani. E’ stata un’iniziativa necessaria e coraggiosa, nata dal credere nel valore della convivenza tra musulmani e buddisti.
 
Vi sono esempi di dialogo interreligioso attivo in tutto il mondo, nell’ambito dell’istruzione, dei social media, della costruzione della pace, ed in altri campi.
 
Lo stesso lavoro di Sant’Egidio è un esempio luminoso del potere della cooperazione e del rispetto interreligiosi, praticati senza far rumore, per il bene di tutta l’umanità.
 
Nel mondo arabo, il KAICIID sta creando per la prima volta una rete di facoltà teologiche e della Sharia, i cui membri lavorano per sviluppare un progetto condiviso di dialogo interreligioso. La nostra speranza è la prossima generazione di studiosi e di leader del mondo arabo abbia nel suo bagaglio culturale la capacità di dialogo, di cui avrà bisogno per costruire la pace, e che sia più attiva nel sostenere la cittadinanza comune di tutte le componenti delle società arabe.
 
Nella Nigeria, siamo orgogliosi di sostenere gli sforzi del Cardinale Onaiyekan e di Sultan Sa'ad Abubakar (che sono con noi oggi), per rafforzare la coesione sociale nel paese, attraverso una piattaforma in cui uomini e donne di tutte le religioni possano cooperare per il bene del paese.
 
Sono convinto che il dialogo interreligioso sia, oggi, uno dei percorsi più significativi verso la pace. Il dialogo è un antidoto universalmente efficace contro l’estremismo, il pregiudizio, l’indifferenza e l’esclusione, se saremo capaci di educare i nostri figli, i futuri leader e le istituzioni di farne uso.
 
Il dialogo non necessita di equipaggiamento, di mobilitazione, di investimenti infrastrutturali. Se il dialogo è portato avanti da persone dalla mente aperta, coraggiose e perseveranti, può essere causa di cambiamento.
 
Naturalmente c’è bisogno di competenze, che possono essere apprese attraverso la formazione.
 
La sfida umanitaria più seria che abbiamo conosciuto in questo secolo è stato un movimento di profughi su scala mai vista dall’ultima guerra mondiale. Il dialogo aiuta le persone a sviluppare una conoscenza più approfondita del principio in base al quale le soluzioni alle sfide globali non possono essere trovate chiudendo i mari, costruendo muri o mandando le persone indietro, consegnandole a coloro dai quali stavano fuggendo.
 
Stiamo vivendo tempi sempre più complessi. Non possiamo limitarci unicamente al dialogo ed alla cooperazione interreligiosi. Perciò, nel tempo che mi rimane, vorrei perorare la causa di un altro percorso verso la pace, e cioè di un’intensa cooperazione tra leader religiosi e responsabili politici.
 
L’organizzazione che rappresento, il Centro di Dialogo KAICIID, è stato concepito specificamente per proseguire ulteriormente su questa strada. Come forse già sapete, siamo l’unica organizzazione internazionale ad essere diretta sia dagli Stati che da leader religiosi. Siamo stati fondati a seguito dello storico incontro tra Sua Santità Papa Benedetto ed il Custode delle Due Sacre Moschee, Re Abdullah dell’Arabia Saudita, scomparso da poco. Ambedue questi leader governano sia stati che comunità religiose. La nostra struttura particolare è la risposta ad un’esigenza particolare, quella di una cooperazione costruttiva e paritetica tra comunità religiose e governi.
 
Negli ultimi cinque anni, la necessità di questa cooperazione si è resa sempre più evidente a tutti noi. Quando lavoriamo isolati l’uno dall’altro, possiamo vedere e risolvere soltanto parte del problema.
 
Ci sono stati vari passi in questa direzione. Per esempio, qui in Germania, ci siamo associati con la International Partnership on Religion and Sustainable Development (Partnership internazionale per la religione e lo sviluppo sostenibile), che cerca di sfruttare la forza positiva della religione per promuovere lo sviluppo.
 
A luglio con le Nazioni Unite abbiamo anche lanciato il primo piano d’azione concepito specificamente per leader religiosi mirante a prevenire la predicazione dell’odio e l’incitamento alla violenza. La predicazione dell’odio e l’incitamento alla violenza sono un grande ostacolo per lo sviluppo di una cultura della convivenza. Dobbiamo essere vigili nel prevenire la predicazione dell’odio e l’incitamento alla violenza.
 
Ma deve essere fatto di più per assicurarci che noi tutti, leader religiosi e responsabili politici, lavoriamo con gli stessi obiettivi, che le nostre forze siano utilizzate in maniera efficace e che non ci siano duplicazioni inutili nel nostro lavoro. Solo se lavoriamo insieme possiamo sconfiggere il terrorismo, la povertà e l’odio. Invito tutti noi a prendere in considerazione varie strade per la cooperazione, come per esempio un incontro tra responsabili politici e leader religiosi sul ruolo della religione nell’affrontare l’attuale sfida di come integrare i rifugiati e gli immigrati nelle società europee.
 
A febbraio 2018 convocheremo un incontro a Vienna per fare il punto sullo stato di avanzamento nella nostra attività di sostenere il dialogo per preservare la diversità nel mondo arabo. Stiamo lavorando intensamente per lanciare una piattaforma di cooperazione tra leader religiosi e responsabili politici della regione. Lo scopo della piattaforma è quella di creare un ambito in cui leader religiosi, la comunità internazionale e governi nazionali e regionali possano dialogare per raggiungere lo scopo di soluzioni sostenibili sulla strada della pace nel mondo arabo.
 
Mi sia consentito concludere chiedendo il vostro sostegno per quest’impresa. Dovrebbe essere ed è un’impresa ambiziosa ed ottimista. Spero che negli anni a venire possiamo continuare a vedere molti altri ponti gettati tra leader religiosi e responsabili politici, la comunità internazionale e le organizzazioni della società civile. Auguro a voi ogni bene per il lavoro che svolgete, e ringrazio ancora una volta gli organizzatori per il loro impegno a favore della pace e del dialogo.
 
 

 

#peaceispossible #stradedipace
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