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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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4 Ottobre 2010 09:30 | Museu Picasso

Barcellona 2010 - Intervento di Francesc TORRALBA


Francesc Torralba


Filosofo e teologo cattolico, Spagna

Aldilà della ragione strumentale

1. Introduzione

In questa conferenza ci proponiamo di esplorare una delle idee più suggestive espresse dal magistero di Benedetto XVI: la sua proposta di ampliare il concetto di ragione moderna, per inserire al suo interno la logica del dono, ispirata al principio della gratuità. Certamente non rientra nei nostri obbiettivi esplorare tutti i testi, i discorsi e le allocuzioni dove, in modo implicito o esplicito, si identifica tale proposta, poiché questo trascende, di molto, i limiti della nostra conferenza, ma certamente è necessario delimitare le linee maestre per aprire strade a nuove ricerche.

La crisi ecologica che affligge il pianeta richiede di pensare un’altra forma di relazione tra l’essere umano e l’ambiente naturale. Questo esige di ricreare un’altra forma di razionalità che trascenda la razionalità strumentale.

Per questo presteremo attenzione speciale alla sua ultima enciclica, Caritas in veritate, e come scenario di fondo, confronteremo tre discorsi chiave per questo tema: quello noto come il discorso di Ratisbona, l’allocuzione all’università “La Sapienza”, e la sua conferenza al VI Congresso di professori universitari celebrato a Roma il 27 giugno del 2008.

Nella Caritas in veritate, Joseph Ratzinger evidenzia due fattori chiave per comprendere il mondo attuale: da un lato la costituzione di una società globale, dove i differenti poteri politici, economici e culturali sono sempre più interdipendenti e, dall’altro, lo sviluppo delle possibilità umane (sia per creare, come per distruggere) che il problema del controllo etico e giuridico del potere prospetta. In ultima istanza, afferma ciò che è la perenne questione tra il bene e il male.

 

2. Trascendere la ragione moderna

Benedetto XVI pone nelle modernità le chiavi del problema della ragione. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali [...] Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica e metodo empirico ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, hanno cercato di avvicinarsi a questo canone di scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. In questo modo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione nell’ambito della scienza e della ragione che è doveroso mettere in questione. Ma dobbiamo aggiungere altro: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove va", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica”

Secondo Benedetto XVI potremmo superare il riduzionismo della ragione (che non è negare l’impressionante sviluppo della conoscenza scientifica e tecnica, ma al contrario assumerla assieme alle sue favolose conquiste e ai suoi rischi) solo se potremmo raggiungere una nozione di ragione ampliata.

In questa forma lo propone nella conclusione del suo discorso a Ratisbona: “Con ciò giungo alla conclusione…Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”. 

Il 27 giugno 2008 il papa torna a riaffermare questa stessa tesi come una proposta centrale del suo pontificato, in occasione del suo discorso inaugurale al VI Simposio europeo dei professori universitari sul tema: “Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la filosofia”

 “La proposta di allargare gli orizzonti della razionalità" non va, pertanto, semplicemente annoverata tra le nuove linee di pensiero teologico e filosofico, ma deve essere intesa come la richiesta di una nuova apertura verso la realtà a cui la persona umana nella sua uni-totalità è chiamata, superando antichi pregiudizi e riduzionismi, per aprirsi così anche il cammino verso una vera comprensione della modernità.”.

In definitiva si esorta ad allargare l’orizzonte della razionalità moderna, ampliamento che include la razionalizzazione della fede e con essa la ragione metafisica purificata dalla stessa fede. Jürgen Habermas, l’autore della celebre opera Teoria dell’ azione comunicativa (1981) è stato uno dei principali interlocutori di Ratzinger, già prima di essere Papa.

Jürgen Habermas rifiuta questo allargamento, assumendo e difendendo la nozione riduttiva di ragione moderna, scientificamente empirica e filosoficamente dialogica, riducendo il dialogo alla questione del linguaggio come asse dell’azione comunicativa fra gli interlocutori. Egli ritiene che ciò che propone Benedetto XVI è in fondo un ritorno a tesi metafisiche anteriori alla modernità, all’idea di una ragione obbiettiva che non è stata depurata dallo scetticismo moderno. Jürgen Habermas afferma che è essenziale vegliare sulla ragione e sul suo potenziale, specialmente di fronte all’emotivismo e all’irrazionalismo postmoderno, però definisce una razionalità dialogica e fondata sul consenso, nel quadro del pensiero postmetafisico.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI riprende il problema della ragione, in particolare la questione della ragione etica e a tale proposito si domanda cosa sia la ragione, come può una affermazione razionale che costituisce una norma mortale dimostrarsi  accettabile.

Nel farlo, cita John Rawls che, sebbene neghi il carattere della ragione "pubblica" a dottrine religiose comprensive, vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono.. 

Si avvicina anche a Jürgen Habermas del quale recupera il suo discorso  sulla sensibilità per la verità come elemento necessario nel processo di argomentazione politica  tornando ad inserirla (più in là di ciò che Jürgen Habermas intende per verità) nel dibattito filosofico e politico.

Nei tempi moderni si sono aperte nuove dimensioni del sapere, tanto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione tra sperimentazione e presupposta razionalità della materia, come nell’ambito delle scienze storiche e umanistiche, nelle quali l’uomo cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo non solo si è data all’umanità una quantità enorme di sapere e di potere, ma anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo. Però ciò non vuole dire che il cammino si sia concluso, che non esistano rischi, poiché a tal proposito segnala che oggi il pericolo (soprattutto nel mondo occidentale) è che l’uomo, in virtù della grandezza del suo sapere e del suo potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E questo significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si arrenda di fronte alla pressione degli interessi e al fascino dell’utilità, e si veda forzata a riconoscerla come criterio ultimo.

 

3. Dalla logica strumentale alla logica del dono

Benedetto XVI, nella Spe Salvi, realizza una recezione critica della filosofia della Scuola di Francoforte, rappresentata soprattutto da due grandi pensatori tedeschi Max Horkheimer e Theodor Adorno. Condivide con essi la critica della ragione strumentale, però differisce nella maniera di criticarla e nella proposta della terapeutica della razionalità.

Max Horkheimer nella Crítica della ragione strumentale, rileva “L’ imperialismo spirituale del principio astratto dell’ interesse egoista”. “Il contenuto della ragione -dice- passa in modo arbitrario a veder ridotte le sue dimensioni ad una sola delle sue parti, o perlomeno ad uno solo dei suoi principi. Il particolare va ad occupare il posto del generale. Questo tour de force nell’ambito dello spirituale prepara il terreno al dominio della violenza nell’ambito del politico. Una volta spogliata della sua autonomia, la ragione si è convertita a mero strumento”. 

Quanto più automatiche e strumentalizzate sono le idee, meno c’è chi possa intravedere anche in queste idee con un senso proprio. Sono considerate come cose, come macchine. Il linguaggio resta ridotto, nel gigantesco apparato produttivo della società moderna, come  uno strumento in più tra gli altri.

 Il filosofo di Frankfurt si riferisce esplicitamente alla infermità della ragione che, secondo lui, non deve essere intesa in un senso storico determinato, ma come inseparabile dall’essenza della ragione nella civilizzazione.

Scrive Max Horkheimer “la malattia della ragione ha le sue radici nella sua origine, l’affanno dell’uomo nel dominare la natura, e la “cura” dipende dalla conoscenza dell’essenza della malattia originaria, non da un trattamento limitato ai sintomi più tardivi. La vera critica della ragione scoprirà necessariamente e porterà alla luce gli strati più profondi della civilizzazione e ricercherà la sua storia più antica. Dall’epoca nella quale la ragione si convertì in strumento di dominio della natura umana e sovrumana per l’uomo (questo è fin dai tempi più antichi) la sua propria intenzione, quella di scoprire la verità, si è vista frustrata. Ciò è da attribuirsi alla conversione della natura in mero oggetto,  e al fatto di avere fallito nell’impegno di scoprire l’orma di se stessa in tale oggettivazione, nei concetti di materia e di cosa e nondimeno in quelli degli dei e dello spirito”. 

Benedetto XVI lamenta la metamorfosi della ragione moderna in ragione strumentale e rivendica la necessità di recuperare un concetto ampio e profondo della ragione, permeabile all’emozione e alla fede, capace di riconoscere nella ragione un altro tipo di logica oltre alla logica del calcolo che ha generato tanti frutti positivi in campo tecnologico, economico e sociale. 

Nel paragrafo 34 della  “Caritas in Veritate” il  Papa afferma La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono”. E qui appare una nozione profonda e suggestiva : il dono L'essere umano è fatto per il dono- prosegue l’enciclica -  che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza.” Benedetto XVI rivendica la logica del dono, la capacità di mostrare che aldilà di un uso strumentale della ragione, possa avere un uso contemplativo, oblativo della stessa. 

Esistono azioni disinteressate, dove il disinteresse non risulti una maschera di interessi velati, come diceva La Rochefoucauld? Un disinteresse tale avrebbe rilevanza politica? Qualora esistesse, lo collocheremmo preferibilmente sul piano del pubblico o del privato? Così come in un determinato momento storico le passioni furono superate e dominate, si potrebbe oggi fare lo stesso con il gioco degli interessi, siano essi derivazioni dell’interesse statale (generale) o degli interessi particolari?

Sono domande queste che possono ricevere una risposta attraverso i concetti dell’antropologia del sacrificio e dono iniziato dal sociologo Marcel Mauss (1872-1950), discepolo di  Émile Durkheim, dal quale se ne  distacca specialmente col Saggio sopra il dono.

 Per Marcel Mauss, l’interscambio è il comune denominatore di un gran numero di attività sociali. L’interscambio economico, per definizione interscambio “interessato”, è uno di essi.  La sua origine sta nel compromesso sacrificale, ritorno alla legge di sangue, sulla quale si è fondata l’economia, però questo interscambio sacrificato, con la sua presenza travolgente, ha lasciato in ombra altri tipi di interscambio che storicamente si sostituirono al sacrificio del prigioniero. Questi interscambi non sono economici, sono disinteressati. Sono interscambi sociali incrociati e continui che permettono di simbolizzare la vita collettiva. Interscambi che non dividono e separano dal punto di vista degli interessi, ma che uniscono la società attraverso i suoi interessi. 

Marcel Mauss mostra che nelle società tradizionali questo tipo di interscambio si manifestava attraverso tre doveri: il dovere di dare (rifiutare un dono è rifiutare un’alleanza); quello di ricevere (è una forte minaccia sociale, poiché non si può rifiutare una donazione) e il dovere di rendere (controdonazione o controprestazione). Questo sistema di prestazioni totali non poggia tanto, in tali società, sopra i beni e le ricchezze ma sulla cortesia, le feste, i riti,  le cerimonie realizzate da gruppi (clan, tribù, famiglia) e non da individui isolati. 

L’individualismo moderno, il nostro attuale narcisismo atomista, nasce quando il mondo perde il suo incanto, proporzionato al grande ordine teologico-metafisico de la respublica christiana. Tale fascino perduto era legato all’io premoderno eroico ed aristocratico, tutta passione: al dispendio disinteressato e a volte prodigo di se stesso.  

4. Ampliare la ragione economica ed imprenditrice.

La riflessione sopra la ragione strumentale e la necessità di trascenderla si applica sul piano economico. Uno dei temi della Caritas in veritate che ha suscitato interesse pubblico per la novità che implica, è la riflessione sulla ragione economica e la possibilità di ripensarla alla luce del principio della gratuità. “Lo sviluppo , se vuole essere autenticamente umano – dice Benedetto XVI- deve dare spazio al principio della gratuità”.

Caritas in veritate aiuta a prender coscienza del fatto che la società non è capace di futuro se si dissolve il principio della gratuità, cioè, non è capace di progredire se esiste e si sviluppa solo la logica del calcolo, dell’interesse, del beneficio, del dare per avere o del dare per senso di dovere. Da ciò né la concezione individualista per cui tutto è interscambio, né la visione statale per cui tutto costituisce un dovere, sono guide sicure per poter trovare la via migliore verso il futuro. 

Cosa implica nella prassi accogliere il principio di gratuità all’interno dell’attuazione economica? E’ possibile ampliare i limiti della ragione economica e aprirla alla prospettiva del dono generoso. E’ una contradictio in terminis? Benedetto XVI risponde che la società ha bisogno di “persone aperte al dono reciproco”. (35-39). La reciprocità è il valore che fonda una società. 

Ci sono sfere della società dove per natura, osserviamo la pratica del dono generoso, l’esercizio del dono della gratuità. La famiglia, per esempio, aldilà della sua vulnerabilità interna ed esterna, è un ambito dove la gratuità si pratica quotidianamente. In essa si sviluppa la donazione tipica della fraternità. Anche in altri ambiti, come la cooperativa, l’impresa sociale, la ONG e le differenti forme di associazioni.

Il progresso civile ed economico di un paese dipende, in parte, da quanto siano diffuse tra i suoi cittadini le pratiche di reciprocità. Non si può negare che, attualmente, ci sono forme di donazione, atti di donazione. Benedetto XVI si riferisce alla “sorprendente esperienza del dono” (34). Si può affermare che, oltre alla  giustizia c’è il dono e una società non può dirsi veramente umana se si accontenta unicamente dei benefici della giustizia

La logica del dono che scaturisce dal principio di gratuità non si deve comprendere unicamente da un punto di vista etico, poiché la gratuità, in senso stretto, non è una virtù. La giustizia, come già indica Platone, e dopo di lui Aristotele, è una virtù cardinale, però la gratuità si colloca su un’altra dimensione, in un registro metaetico che trascende i limiti della ragione pratica. Si incardina nella logica dell’equivalenza, della simmetria tra il donato ed il ricevuto.   

Benedetto XVI invita a pensare se sia possibile inserire il principio di gratuità, e la logica del dono che deriva da esso, nella sfera pubblica. Il dono autentico, affermando la preminenza del vincolo intersoggettivo sul bene donato, dell’identità personale sull’utile, deve poter trovare un ambito di espressione dappertutto, in qualsiasi azione umana, anche nel quadro della ragione economica ed imprenditoriale.

Il messaggio della Caritas in veritate consiste nel pensare alla gratuità non come il dono generoso, non come qualcosa di irrazionale, strano, contraddittorio con la natura umana, ma come possibilità inerente al suo essere, in quanto imago Dei, in quanto riflesso di un essere che è Amore gratuito ed incondizionato, fonte di donazione eterna. Si può vedere nell’esercizio del dono generoso il presupposto indispensabile affinché stato e mercato possano funzionare avendo come obbiettivo un mercato efficiente e solidale. L’efficienza e la giustizia non sono sufficienti a dare al cittadino l’esperienza della felicità. 

I beni della giustizia sono quelli che nascono da un debito, mentre i beni della gratuità nascono da una obligatio. cioè, non si impone da fuori, come un dovere di legge, bensì nascono dal riconoscimento che sono unito all’altro, il quale in un certo senso è parte costitutiva del mio essere ed io del suo. Consiste nel trascendere l’atomismo individualista, la superfragmentazione postmoderna.

Nasce allora il ragionevole e il calcolabile uomo economico incentrato nel tranquillo interesse. Forse dovrei fare una correzione all’analisi di Hirschman: l’uomo economico dell’interesse è, egli stesso, divorato da una passione, la “la passione dell’io”, la passione acquisitiva. 

Per strade sbagliate, Jean Jacques Rousseau cercò di sostituire questa passione atomista con la passione verso l’”io comune” incarnato nella volonté genérale, ma la sua intenzione diede vita alla democrazia giacobina e totalitaria, e l’ “interés general” puro si trasformò in una copertura dell’usufrutto del reddito politico per una classe autoreferenziale.

E’ possibile liberare l’uomo postmoderno dalla cella utilitaristica dell’interesse e aprirlo un’altra volta alla passione?  Da un lato si osserva la necessità di surrogati e simulazioni dell’incantesimo perduto del mondo. Il successo delle saghe Tolkien e simili o i paradisi artificiali della droga, (per nominare due casi estremi), ci danno una risposta a livello immaginario. D’altra parte attraverso il dono essa ci appare e riappare ugualmente valida e ancorata nel reale. Se si guarda  con attenzione, esiste quasi un occultamento del dono, nella misura che cresce attorno a noi. Oggi si dona sangue, si donano organi, si dona tempo, si dona lavoro, il volontariato si sviluppa immensamente, si creano reti di sicurezza familiare e amicale davanti alle crisi economiche. 

La passione per il dono corrisponde, ovviamente, ad un desiderio dell’altro, è un desiderio primario. Si dona, se si è disinteressati, per rompere l’isolamento, per fuggire dalla solitudine, per impegnarsi ed appartenere. Poiché la comunità come sappiamo dall’antichità, è dimensione costitutiva dell’individuo, e per questo l’altro ci risulta necessario. Il cammino verso l’altro non si muove per interesse individuale né per assistenzialismo nel nome dell’interesse “generale”, che crea servitù. Oggi nel cammino verso l’altro si sta delineando l’«homo reciprocus», all’ombra del disinteresse. 

L’interesse eccessivo sembra trovare un limite solo nell’attività disinteressata dell’homo reciprocus, che riscopre la necessità dell’altro in quanto altro.

 

5 Conclusioni

In definitiva il messaggio della Caritas en veritate è chiaro e allo stesso tempo sfumato: si impone la necessità di superare l’obsoleta dicotomia tra etica ed economia.

Il pensiero economico moderno sembra aver lasciato in eredità l’idea secondo la quale per poter operare nel campo scientifico dell’economia sia indispensabile cercare il beneficio, solo il beneficio e muoversi unicamente per proprio interesse, perché equivale a dire che non si è pienamente impresario se non si insegue la massimizzazione del profitto. L’ampliamento della ragione economica non significa la sua negazione, bensì il suo superamento dialettico. Può esistere un’economia non centrata unicamente nell’economia di mercato.

Caritas en veritate mostra come ci possa essere imprenditoria anche quando si perseguano fini di utilità sociale e si agisca per scopi di tipo sociale. E’ questo un modo per superare la dicotomia tra ciò che è economico e ciò che è etico. Se la gestione economica non include il dono, si disumanizza, ma se la gestione economica non include l’efficienza e l’efficacia, non sarebbe sostenibile. 

La globalizzazione dei mercati ha mostrato che il potere politico orientato verso il puro interesse nazionale risulta distruttivo per l’insieme del pianeta, per il suo bene comune. Il suo funzionamento di mercato sembra ingovernabile e produce effetti perversi quando si perseguono preferibilmente benefici puramente egoistici, attraverso operazioni in cui intervengono molteplici istanze, spesso anonime.

Dalla crisi che stiamo soffrendo a livello globale, sembra che si possa concludere che non ci sia una via d’uscita unilaterale, nè ci sia via d’uscita se non si trasforma la ragione economica. Si impone la necessità di sviluppare impostazioni interdisciplinari e autenticamente internazionali, approcci sintetici, la cui concertazione non può provenire da impostazioni nelle quali l’estraneo equivale al contrario e nelle quali solo uno può vincere se l’altro perde. 

A nostro giudizio, la logica del dono proposta da Benedetto XVI in Caritas in veritate libera nuove strategie per affrontare la crisi attuale, in modo che ciò che a priori risulta inconciliabile  si rivela compatibile e, inoltre, di vitale necessità. Apre la possibilità di applicare anche al mondo imprenditoriale, economico e finanziario, la logica del dono. Mostra come tutte organizzazioni umane, anche quelle destinate prioritariamente alla produttività e al benessere, debbano tener conto della necessità di aver bisogno del principio di gratuità come un fattore imprescindibile.

I tre capisaldi della Doctrina Sociale Della Chiesa, la dignità sublime della persona umana, il principio di solidarietà e il principio della sussidiarietà si  rivedono a partir da una forma concreta di democrazia economica.

La gratuità non si intende come mera infarinatura della giustizia e del bene comune, senza i quali, non si può parlare né di verità, né di carità. Quaranta anni dopo la Populorum progressio, Benedetto XVI evidenzia il problema ancora urgente dello sviluppo umano integrale nel contesto della globalizzazione dell’economia neoliberale. 

 

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Barcellona 2010

Messaggio
di Papa
Benedetto XVI


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