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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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4 Ottobre 2010 18:00 | Parroquia de S.Francisco

Barcellona 2010 - Intervento di Marco BARTOLI

Marco Bartoli


Storico del Francescanesimo, Comunità di Sant’Egidio, Italia
Siamo convinti, noi tutti che crediamo in Dio, che è Lui a darci la pace. Più le situazioni di conflitto diventano intricate e le difficoltà umanamente insormontabili, più le minacce gravano sull’umanità, più dobbiamo rivolgerci a Dio, affinché ci dia la grazia di vivere da fratelli, in un mondo riconciliato. Le nostre risorse e i mezzi umani, infatti, non bastano. E l’alternativa non è che la distruzione e la morte.
Era il 14 settembre del 1986 e il papa Giovanni Paolo II si era affacciato, come ogni domenica, alla sua finestra per salutare le folle che si erano raccolte per la recita della preghiera dell’Angelus. Le parole pronunziate quella domenica colpivano al cuore la sensazione di un mondo che si sentiva stretto sotto la minaccia di una guerra fredda che non accennava a finire e, anzi, si era andata acutizzando. Il 27 dicembre dell’anno prima due attacchi terroristici negli aeroporti di Roma Fiumicino e Vienna avevano provocato stragi. Il 26 aprile del 1986 era esploso il reattore nucleare di Cernobyl. In molti sentivano le minacce che gravavano sull’umanità e avvertivano le difficoltà del momento come insormontabili. Ma il papa, in questo contesto, invitava a rivolgersi con fiducia a Dio per ottenere da lui la grazia di vivere come fratelli in un mondo riconciliato. E lo faceva, questa era la novità che era stata anticipata in un discorso ai cardinali nel gennaio di quell’anno, rivolgendosi non solo a tutti i cristiani, ma a tutti i credenti in Dio, a qualunque religione appartenessero. Subito dopo, per spiegare il senso del suo invito, Giovanni Paolo II evocava l’esempio di Francesco d’Assisi.
Torna alla memoria quel che accadde a Francesco di Pietro di Bernardone, il quale intuì questa semplice verità in un momento fondamentale della sua vita, dopo aver partecipato ad uno scontro armato, mentre vari Comuni erano in guerra tra loro. Francesco, sconfitto, venne messo in prigione là restò per un anno. Fu quella esperienza che gli portò una diversa concezione della vita; lo spinse a divenire un autentico operatore di pace. Uno straordinario servitore della pace interiore e sociale.
La semplice verità scoperta da Francesco, mentre stava in carcere sconfitto, era che Dio interviene nella storia degli uomini e manifesta la sua sovrana libertà proprio nel momento in cui tutto sembra essere irrimediabilmente perduto. Perché, come continua il papa, «Dio non vuole la “perdizione dei viventi”. E’ un Dio che “ama la vita”.». Di qui l’idea di andare ad Assisi, a ritrovare, sui passi di Francesco, l’intuizione di pace di quell’uomo sconfitto.
Forti di questa convinzione, comune a tutti coloro che credono in Dio, andremo insieme ad Assisi a presentare le nostre suppliche affinché l’umanità non sia travolta da una simile catastrofe… La preghiera è lo strumento più inoffensivo a cui si possa ricorrere, eppure è un’arma potentissima; essa è una chiave, capace di forzare anche le situazioni di odio più inveterato.
Il 27 ottobre 1986 è stato un giorno straordinario. Chi, come me, insieme a tanti altri della Comunità di Sant’Egidio, ha avuto la grazia di parteciparvi, ha avuto subito la sensazione di trovarsi  a vivere non soltanto un evento storico, ma un grande evento spirituale. Qualche tempo dopo il card. Etchegaray, che era stato tra gli organizzatori dell’evento, sottolineava l’impressione che suscitò in tutti l’arcobaleno apparso improvvisamente in cielo nel pomeriggio, dopo una mattinata di pioggia. Anche il cielo sembrava manifestare la sua benedizione, pur nel freddo di quella serata di ottobre.
Tornando a commentare la giornata di Assisi davanti al corpo diplomatico per i saluti di fine anno, Giovanni Paolo II sottolineava il valore spirituale di quella giornata.
La preghiera autentica cambia già il cuore dell’uomo. Dio sa bene di che cosa abbiamo bisogno. Se egli ci invita a chiedere la pace, è perché questo umile atto trasforma misteriosamente le persone che pregano e le mette sul cammino della riconciliazione, della fratellanza. Infatti, colui che prega Dio sinceramente, come abbiamo cercato di fare ad Assisi, contempla l’armonia voluta da Dio creatore, l’amore che è in Dio, l’ideale di pace tra gli uomini, questo ideale che San Francesco ha incarnato in modo incomparabile. Di tutto questo egli rende grazie a Dio.
Il cammino di Assisi, che la Comunità di Sant’Egidio ha voluto intraprendere subito dopo il grande incontro di Assisi e che in questi giorni è tornato, per la seconda volta, nella città di Barcellona, è stato ed è anzitutto proprio questo: un cammino di uomini e di donne che si sono rivolti a Dio in preghiera. Come ha ricordato Andrea Riccardi lo scorso anno a Cracovia:
La Comunità di Sant’Egidio comprese che Assisi andava continuata dopo l’86. Risento la voce forte di Giovanni Paolo II, a Assisi, nel 1986, che invitava a continuare: la avvertii come una chiamata. Lo spirito di Assisi è dialogo tra le religioni, coscienti dell’apporto decisivo delle religioni e dello spirito alla pace. Anno dopo anno, ci siamo mossi in paesi differenti. Giovanni Paolo II appoggiò questo pellegrinaggio. Al termine di quell’indimenticabile giornata del 1986, disse: “Insieme abbiamo riempito i nostri occhi di visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie. La pace attende i suoi artefici…”
Vorrei dire qualcosa sul legame tra lo Spirito di Assisi e la figura di Francesco, figlio di Bernardone, il santo la cui memoria ha spinto Giovanni Paolo II a convocare proprio ad Assisi la prima giornata di preghiera per la pace. Si tratta di un uomo che la cui vita tocca il cuore di tutti, anche di chi viene da culture e tradizioni religiose le più lontane.
Una volta ho accompagnato ad Assisi uno dei responsabili musulmani che hanno partecipato ai nostri incontri, lo sheik Idriss Sakouta, che divide il suo tempo tra Alessandria d’Egitto e la Mecca ed è riconosciuto come un sufi, un saggio spirituale. Durante il viaggio gli raccontavo la vita di Francesco d’Assisi. Quando sono arrivato al racconto della rinuncia ai suoi beni davanti al vescovo di Assisi, lo sheik mi ha fermato e mi ha detto: «Adesso inizia il suo pellegrinaggio verso la casa di Dio». Quando ho chiesto spiegazioni mi ha detto: «quando un pellegrino decide di fare il viaggio alla Mecca, la prima cosa che deve fare è lasciare gli abiti della vita ordinaria per indossare i due teli bianchi che formano l’abito del pellegrino, gli stessi teli che serviranno per la sua sepoltura. Così anche fu per Francesco». Quando poi siamo arrivati alla Basilica superiore ho ripreso il discorso sulla vita del Poverello e, quando siamo passati davanti all’affresco che rappresenta la visione dei troni nel cielo, ho spiegato che un frate aveva udito una voce dal cielo che gli spiegava che il trono di Lucifero, l’angelo più superbo che era stato cacciato dal Paradiso, era stato riservato a Francesco perché era l’uomo più umile». A questo punto lo sheik Sakouta si è lasciato cadere su una panca della basilica ed ha esclamato: «C’è un hadit del Profeta che dice: il trono dell’angelo più superbo sarà riservato all’uomo più umile. Ma noi non ne conoscevamo il nome!». E quando siamo scesi alla tomba di Francesco si è voluto togliere le scarpe, perché, ha detto, «questo è luogo sacro».
 
In questi anni abbiamo fatto esperienza di quell’«arma potentissima» che è la preghiera, di cui aveva parlato Giovanni Paolo II ad Assisi. E’ sempre Andrea Riccardi a ricordarlo:
Mi disse una volta il papa: “Vedendo l’89, si capisce che non si è pregato invano ad Assisi nel 1986!”. La preghiera è una forza storica.
La carovana della pace, che ha mosso i suoi passi da Assisi, è già passata una volta per Barcellona. Era l’inizio di settembre del 2001. Pochi giorni dopo, l’11 settembre, le televisioni di tutto il mondo hanno trasmesso le immagini dell’attacco suicida alle Twin Towers di New York. Un senso di smarrimento prese tutti, davanti a quella violenta esibizione della forza del male. Il papa Giovanni Paolo II si fece portavoce del sentimento comune quando, all’udienza generale del giorno dopo, disse: «il cuore dell'uomo è un abisso da cui emergono a volte disegni di inaudita ferocia» Il papa citava il salmo 64 che dice «baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso», ma soprattutto parlava come uno che conosce il cuore dell’uomo, come un testimone delle atrocità del XX secolo. E veramente tutti erano smarriti non solo vedendo la forza del male, ma anche di fronte alla profondità del male che può abitare nel cuore dell’uomo. Quali sentimenti erano nell’animo di quegli uomini che freddamente si erano preparati per mesi, forse anni, e poi han preso quegli aerei per dare la morte a migliaia di persone e darsi la morte?
Davanti a fatti come questi si resta attoniti. Il papa reagì convocando ancora una volta i rappresentanti di tutte le religioni ad Assisi il 24 gennaio dell’anno successivo. Siccome era inverno gli organizzatori avevano sistemato una grande struttura sulla piazza davanti alla basilica per coprire gli intervenuti in caso di pioggia. Quel giorno però soffiò un grande vento, che scuoteva tutta la struttura, al punto da far temere che potesse cadere. Quando il papa prese la parola disse: sentite questo vento? E’ come il giorno di pentecoste, quando lo Spirito di Dio si posò sui discepoli come vento che soffia gagliardo. Lo Spirito di Assisi forse non è diverso dallo stesso Spirito di Dio di cui ha profetizzato Isaia dicendo:
Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto;
allora il deserto diventerà un giardino
e il giardino sarà considerato una selva.
Nel deserto prenderà dimora il diritto
e la giustizia regnerà nel giardino.
Praticare la giustizia darà pace,
onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre.
Il mio popolo abiterà in una dimora di pace,
in abitazioni tranquille,
in luoghi sicuri,
anche se la selva cadrà
e la città sarà sprofondata.
 
Gli uomini e le donne di religione, che partecipano alle preghiere della pace non sono ingenui. Conoscono il mistero del male e sanno che il cuore dell’uomo, tante volte, è un abisso. Sono uniti però nella fede in un Dio di misericordia. Come dice lo stesso profeta parlando in nome di Dio:
 
Su, venite e discutiamo
– dice il Signore.
Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,
diventeranno bianchi come neve.
Se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana.
 
Lo Spirito di Assisi è Spirito di quel Dio che dice nell’Apocalisse: «Ecco io faccio nuove tutte le cose». 
In questi anni abbiamo avuto numerose testimonianze di come lo spirito di Dio può cambiare il cuore dell’uomo, il mondo e la storia. Vorrei solo ricordare l’ultima, l’anno scorso, nel campo di concentramento di Aushwitz, in Polonia. Prese allora la parola il rabbino Lau, che era stato prigioniero proprio in quel campo, durante la Shoà. Il rabbino ricordò un suo incontro con Giovanni Paolo II che proveniva dalla sua stessa città, Cracovia, ed aveva conosciuto suo nonno prima che venisse deportato ed ucciso insieme a 42 dei suoi 47 nipoti. Il rabbino Lau ha concluso il suo discorso dicendo:
Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II. Mi chiese: “Rabbino Capo, lei ha dei figli?” Risposi di sì. “Vivono in Israele?” mi chiese. “Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele.” Ed egli mi disse:”Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei.”
Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald, nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola “necumene”, in Yiddish "fai la vendetta".
Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo. Due o tre ore fa, qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’Incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. “Nonno, mezz'ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote." E’ nato oggi alle 7 in Israele. Questa è la mia vendetta. Questa è la mia risposta. Questa è la mia soluzione. Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace. Grazie.
Il rabbino Lau aveva trovato parole per parlare di vita in quel luogo di morte. Credo non ci siano parole più belle per dire cos’è lo Spirito di Assisi.
 

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Barcellona 2010

Messaggio
di Papa
Benedetto XVI


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