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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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12 Settembre 2011 16:00 | Hochschule für Philosophie

Le donne e le religioni di Tamara Chikunova



Tamara Chikunova


Attivista per i diritti umani, Uzbekistan

Io sono una donna russa cristiana, sono nata a Tashkent, in Uzbekistan, ex repubblica sovietica.
La famiglia di mio padre fuggì verso l’Uzbekistan dopo che nel 1938 mio nonno, che era un sacerdote, era stato arrestato e fucilato.
Su di loro si abbatterono molte sofferenze e prove, e due anni dopo anche mia nonna morì per il dolore.
Da allora l'Uzbekistan è diventato una nuova patria per la mia famiglia, che lì ha vissuto tutta la sua vita.  Nella mia famiglia, quando ero bambina, non si faceva cenno a ciò che era successo, per non coltivare il risentimento e l'odio verso coloro che si erano resi colpevoli dell’assassinio di mio nonno e del dolore che aveva ucciso mia nonna.
Mio padre e i suoi fratelli si sforzavano di inculcare nei loro figli il rispetto e l'amore per gli altri, l'amore per Dio e per la vita.
Mio padre diceva spesso:
“Non sprecate il tempo della vita, apprezzate ogni giorno e ogni ora, perché la vita è corta, come i calzoncini dei bambini, e prima che ve ne rendiate conto la vita passa e vi ritrovate davanti all'eternità.”
Ho finito la scuola dell’obbligo e sono andata all’università; mi piaceva molto studiare.
Mio padre era molto orgoglioso del fatto che io studiassi per ottenere un’istruzione superiore.
Per farvi capire bene, ci tengo a sottolineare che nel periodo sovietico, una famiglia che avesse avuto un parente che era stato arrestato perdeva molti diritti, tra cui quello di poter accedere all’università.
Nel 1970 mi sono sposata, mio marito era un ufficiale delle forze armate.
L’11 ottobre 1971 nacque a Berlino mio figlio Dimitri; eravamo a Berlino perché mio marito era stato destinato lì.
Dal 1971 non ho vissuto a Tashkent, ma mi spostavo di volta in volta là dove mio marito veniva trasferito.
Così nel 1975 siamo andati a vivere in Bielorussia, nella città di Borisov.
Nel 1978 mio figlio frequentò la prima elementare, e scrisse la sua prima composizione, dedicata a me.

"La mia mamma"
"Mia mamma è un ingegnere. Lavora al Politecnico, insegna geodesia.
Mia mamma è molto buona e io le voglio molto bene.
I suoi studenti vogliono molto bene alla mia mamma e la rispettano.
Mia mamma è una grande ricamatrice, sa cucire molto bene e cucina torte molto gustose..
Mi piace molto la mia mamma.  Mia mamma è la migliore. "
All’età di nove anni Dimitri si ammalò gravemente e doveva essere operato al fegato a Mosca, ma i medici non davano garanzie sul fatto che sarebbe sopravvissuto.
Io decisi di far battezzare mio figlio e volai a Tashkent, perché in Unione Sovietica il battesimo era un grosso problema anche perché mio marito era ovviamente un membro del partito comunista.
Dopo il battesimo, il sacerdote mi disse:  "Adesso preghiamo insieme il nostro Signore Gesù Cristo e sua madre Maria, affinché concedano a vostro figlio la guarigione".
Due giorni dopo ripresi l’aereo per Mosca, ma durante la preparazione per l’intervento chirurgico, i medici si accorsero che la diagnosi fatta a mio figlio Dimitri era sbagliata.
Così ricevetti un segno dell’amore di Dio e del potere della preghiera.
"Dio opera in modi misteriosi," Le grazie del Signore sono infinite!
In seguito abbiamo vissuto in diversi paesi: in Germania, Bielorussia, Mongolia e Russia.
Dimitri intanto proseguiva i suoi studi con risultati eccellenti. Era uno studente molto brillante e gli si aprivano molte possibilità di una buona carriera.
Ma la vita ha disposto diversamente.
Nel 1993 io e mio figlio abbiamo deciso di tornare insieme a Tashkent, e così siamo partiti per l’ Uzbekistan.
A Tashkent, mio figlio ha iniziato a lavorare nel business, e io lavoravo come consulente legale.
Il 17 aprile 1999, una giornata che non faceva presagire nulla di male, è diventato il momento iniziale dell’orrore in cui io e mio figlio siamo sprofondati.
Quel giorno tre uomini in abiti civili entrarono nell’ufficio di mio figlio, dicendogli che doveva presentarsi al dipartimento di polizia di Tashkent. Mi trovavo lì e chiesi spiegazioni.
Mi risposero che era solo una formalità e che l’avrebbero lasciato andare subito.
Mio figlio mi rassicurò e mi disse di aspettarlo. Non l’ho più rivisto per i successivi sei mesi, fino alla conclusione delle indagini.
In seguito fui arrestata anch’io.
Chiedevo in continuazione di mio figlio ma nessuno mi rispondeva.
Poi mi dissero che dovevo portare dei vestiti puliti per mio figlio perché doveva presentarsi davanti al procuratore.
Mi diedero l’indirizzo del Dipartimento degli Affari Interni della regione di Tashkent e ci andai. Non fu facile da trovare perché non avevo mai avuto a che fare con la polizia, non sapevo nulla di queste cose. In tutta la mia vita non avevo mai violato le leggi e non sapevo dove si trovava il carcere e tutto ciò che aveva a che fare con esso.
Sono arrivata con i vestiti puliti e ho insistito perché mi venissero consegnati quelli che indossava mio figlio.  Mi diedero i vestiti tutti sporchi di sangue e così capii che l’avevano torturato.
Sei mesi dopo potei rivedere mio figlio. Era irriconoscibile. Mi raccontò tutte le cose terribili che gli avevano fatto per costringerlo a dichiararsi colpevole di un duplice omicidio. Ma Dimitri aveva sempre rifiutato di accusarsi di un delitto che non aveva commesso, finché non gli avevano fatto ascoltare una registrazione in cui udì che i poliziotti mi picchiavano. Lui aveva detto: “rilasciate mia madre, garantitemi la salvezza della sua vita, io firmerò i vostri documenti”.
Allora mio figlio ha ceduto e ha firmato la sua condanna a morte ottenendo in cambio la mia incolumità.
L’11 novembre 1999 fu pronunciata la sentenza:
“Chikunov Dmitrij, 28 anni, russo. Cristiano, cittadino della federazione russa non ha alcun valore per la società, non gli può essere comminata una semplice pena detentiva. Per questo, per aver commesso tale reato si condanna alla pena di morte per fucilazione”!!!
Sette mesi dopo mi fu dato il permesso di vedere mio figlio nel braccio della morte della prigione di Tashkent.
L’8 luglio ricevetti una lettera di Dimitri in cui scriveva così:
“ Mia cara mammina, non vedo l'ora di incontrarti.  Ho tante cose da dirti, ma il tempo del colloquio sarà breve e dovremo parlare del mio caso, di come preparare il ricorso e a chi appellarci contro la sentenza. Ma io voglio dirti quanto ti amo e ti stimo, quanto mi manchi, quanto ti penso e mi preoccupo per te”
Il 10 luglio eravamo in attesa di incontrarci, ma l'incontro non ebbe mai luogo…
Quello stesso giorno, alle dieci del mattino, nel carcere di Tashkent, il mio unico figlio, mio figlio Dimitri, venne segretamente fucilato!
Come continuare a vivere?  Non hanno ucciso solo mio figlio, hanno ucciso il mio futuro ... spegnendo la vita di mio figlio, hanno distrutto la mia vita.
Non volevo più vivere ....
Rimasta sola, urlavo: “Signore, perché mi hai punito così?  Perché sei così crudele, perché non hai preso me invece di mio figlio che era così giovane!”
Durante tutto il periodo delle indagini e del processo, mentre mio figlio stava nel braccio della morte, ogni giorno andavo in chiesa e chiedevo a Dio una cosa sola – di salvare la vita del mio bambino.
Il dolore per la morte di mio figlio oscurava la mia mente, dimenticavo di vivere, non ricordavo altro se non tutto ciò che riguardava mio figlio….
Per quaranta giorni ho cercato di ottenere delle testimonianze sulla fucilazione di mio figlio.
Al quarantesimo giorno mi ha telefonato una donna chiedendo di incontrarmi.
Si chiamava Irina Arutyunyants, madre di un condannato a morte, Vazgen Arutyunyants.
Chiedeva aiuto per la difesa di suo figlio, a cui Dmitrij prima di morire aveva detto:
“Se la mia mamma non farà in tempo e io sarò fucilato, rivolgetevi a lei, lei saprà aiutarti, io so che lei potrà proteggerti dalla morte”.
Irina mi consegnò anche l'ultima lettera scritta da mio figlio prima dell'esecuzione.
Era il suo testamento.

“Ti prego,  mia amata mammina
Se ti giungerà questa lettera, stai molto attenta,
questa gente è capace di qualunque bassezza!!!
Ti prego di perdonarmi. Se il destino non ci darà di rivederci,
ricordati che io non sono colpevole. Non ho versato il sangue di nessuno!
Preferisco morire piuttosto che permettere a chiunque di farti del male.
Ti voglio molto bene, sei l’unica persona che mi sta a cuore.
Per favore, ricordati di me. Ti bacio forte. Tuo figlio Dmitrij”
 
RICORDARE, e aiutare coloro che sono condannati a morte, questo era il testamento di mio figlio per cui ho continuato a vivere!
In memoria di mio figlio, per aiutare i condannati a morte, ho fondato una organizzazione:  "Madri contro la pena di morte e la tortura".
Inizialmente, nell'organizzazione lavoravano solo madri di condannati a morte in Uzbekistan, ma poi a noi si sono uniti padri, fratelli, sorelle, e molti altri che comprendevano che il diritto alla vita ci è donato da Dio e che nessuno ha il diritto di togliere la vita giustificandosi con le leggi!

Al di sopra della legge non può esserci che l’AMORE ... ,
al di sopra del diritto solo la MISERICORDIA....,
e sopra la giustizia solo il PERDONO...!!!!
(Alessio II)

Il Metropolita Vladimir, che era alla guida della diocesi di Tashkent mi diede la sua benedizione per il lavoro contro la pena di morte in Uzbekistan.
Abbiamo assistito a dei miracoli. Il 20 aprile 2001 al giovane Marat Rakhmanov venne commutata la condanna alla pena capitale.
Così ho ricevuto un segno dell’amore di Dio e della potenza della preghiera.
"Dio opera in modi misteriosi," Le grazie del Signore sono infinite!
Lavorando sui casi dei condannati a morte, ho lottato per la vita di ognuno, indipendentemente dalla loro fede e nazionalità, musulmani, ucraini, tatari, kazaki, coreani, ebrei, armeni, Hare Krishna e altri, tutti li ho difesi come se fossero miei figli di sangue!
In ciascuno di loro vedevo mio figlio, indipendentemente dal fatto che avessero commesso un crimine o no, che fossero colpevoli o innocenti. Ho lottato per salvare la loro vita!
Il destino mi ha gettato a terra, spezzando la mia vita e mi ha portato via il futuro.

Ma come sta scritto nella Bibbia: Dio mi prese e mi sollevò tra le sue braccia, mi rese la forza per continuare a vivere, mi liberò dai miei nemici!
E’ stato difficile perché in Uzbekistan molte persone non mi capivano. Io, una donna, una cristiana in un paese a maggioranza musulmana, ero alla ricerca di sostegno e comprensione.
Così all’inizio del 2002 scrissi una lettera alla Comunità di Sant’Egidio a Roma. Dio ascoltò le mie preghiere e mi rispose, anche se non ci speravo tanto ... mi dicevo: dov'è Roma, l’Italia e là si chiederanno dov’è Tashkent ….?!
Grazie a Dio, il mio cammino mi ha portato a incontrare la santa Comunità di Sant’Egidio che non solo ha condiviso con me il calore del suo cuore, ma mi ha anche insegnato come si poteva dialogare con un governo, che non voleva ascoltare gli appelli per l'abolizione della pena di morte.
Solo in Uzbekistan, in sei anni di lavoro insieme alla comunità, abbiamo ottenuto la commutazione di 23 sentenze capitali e a 57 condannati a morte in attesa di esecuzione è stata ridonata la vita grazie al fatto che il 1° gennaio 2008 l’Uzbekistan ha ufficialmente abolito la pena di morte.
Grazie al lavoro con la comunità è stata salvata la vita di tutti coloro che vivono e che vivranno  in Uzbekistan.
Abbiamo lavorato assieme anche negli altri paesi dell’Asia Centrale per l’abolizione della pena di morte. Oggi l’Asia Centrale è libera dalla pena di morte.
Questa lotta per la vita è molto dura. Ma la spiritualità e la solidarietà della comunità mi aiutano a sopravvivere nelle situazioni più difficili.
La comunità mi ha fatto un grande onore, quando ha proposto la mia candidatura per il premio «Colomba d’Oro per la Pace» e per molti altri riconoscimenti. Ma in Uzbekistan questo ha scatenato una grande ostilità verso di me. Ho condiviso le mie sofferenze con gli amici della comunità. E la Comunità con la sua fede e il suo amore mi ha sostenuto e sempre mi aiuta a vivere.
Ho tra le mani due lettere di mio figlio – la prima e l’ultima!

Mio figlio è venuto al mondo grazie a Dio che mi ha donato la gioia della maternità.
E ha perso la sua vita per salvare la mia vita, lasciando il suo ricordo.
CON LA MORTE HA VINTO LA MORTE!, perché attraverso la sua morte io ho intrapreso il mio lavoro per il DIRITTO ALLA VITA e ho salvato la vita di tanti giovani.
Davvero, "Dio opera in modi misteriosi," Le grazie del Signore sono infinite!



Messaggio
di Papa  Benedetto XVI


Incontro di dialogo tra le religioni, Monaco di Baviera 2011


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