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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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10 Settembre 2012 09:30 | Priests' House (Conference Hall)

Intervento di Carriquiry



Guzmán Carriquiry


Segretario della Pontificia Commissione per l'America Latina, Santa Sede

Uno dei fenomeni migratori più persistenti, imponenti e dalle profonde ripercussioni nel mondo contemporaneo è rappresentato dalla presenza massiccia e crescente degli “ispanici” negli Stati Uniti. Il riferimento agli “ispanici” comprende tutta l’eterogeneità espressa dalle 25 patrie latinoamericane di origine di tali flussi migratori, come anche la condizione degli immigrati ispanici negli Stati Uniti di prima, seconda e terza generazione, senza dimenticare i discendenti dei primi abitanti del paese, che furono ispanici.
I numeri parlano chiaro. La popolazione ispanica attualmente tocca i 52 milioni di persone, rappresentando più del 15% della popolazione totale del paese. Dal 1960 in poi, la popolazione ispanica negli Stati Uniti è aumentata del 200%. Nel 1990, negli Stati Uniti vivevano 2 milioni di ispanici. Nel 2025 il loro numero potrebbe arrivare a 66 milioni.
E sono anche molti di più i latinoamericani che lasciano il proprio paese di origine nel tentativo di raggiungere “El Dorado”, senza riuscirvi, a causa della rigida politica di controllo dell’immigrazione lungo l’estesissima frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti. Spinti dall’angoscia e dalla disperazione, a causa delle condizioni di miseria ed esclusione e privi di prospettive di una vita degna, centinaia di centroamericani abbandonano ogni giorno la propria terra e tentano di percorrere i 3000 chilometri del Messico fino alla frontiera, consapevoli che, nel migliore dei casi, lungo il percorso saranno vittima di estorsioni, rapine, stupri e soprusi d’ogni genere, e nel peggiore, subiranno il sequestro da parte dei “narcos” e la morte, giacché questa massa di profughi costituisce un gran “business” per i “mercanti” di persone.
L’immigrazione “ispanica” oggi non è più rappresentata soltanto dall’immagine dei braccianti agricoli “chicanos” al tempo del raccolto, dalle correnti migratorie degli esiliati cubani o da quella moltitudine di latinoamericani che si impegnano con grande spirito di sacrificio in servizi scarsamente qualificati e nelle occupazioni che i nordamericani rifiutano. Esiste anche un’impressionante crescita di questa presenza ispanica nei livelli economico, educativo, culturale e politico degli Stati Uniti. La classe media ispanica è una tra quelle in maggior crescita nel mondo : in 20 anni è aumentata dell’80 %. Gli ispanici che vivranno negli Stati Uniti nell’anno 2015 rappresenteranno la nona forza economica a livello mondiale.
Si avverte ovunque la sua prossima futura potenzialità, che può essere decisiva per le elezioni nazionali.
Tale crescente presenza ispanica ha speciali ripercussioni nell’ambito culturale e religioso della nazione. Infatti, il 72% degli ispanici negli Stati Uniti si professa cattolico. A partire dal 2020, ne costituiranno la metà e, secondo la Conferenza Episcopale, l’86% dei cattolici nel 2050.
La realtà ispanica è, a causa di ciò, presente nei dibattiti pubblici e nelle riflessioni strategiche del paese. Le politiche migratorie sono parte integrante delle attuali campagne elettorali. Si discute dappertutto su leggi e politiche di immigrazione, sul modo di affrontare la questione dei “sans papier” “senza documenti” nella nazione, e sull’assimilazione degli ispanici nel “credo americano” e nella convivenza nazionale.
Occorre comunque saper riconoscere, innanzitutto, la grandezza della nazione nordamericana, la quale ha saputo accogliere e integrare successive massicce ondate migratorie, provenienti dai più diversi circuiti culturali, in cerca di un futuro migliore, e ha saputo essere patria di libertà per moltitudini di rifugiati e ha proceduto ad assimilarli nel “melting pot” dell’americanizzazione.
Era tuttavia prevedibile e in larga misura inevitabile, che questa massiccia presenza di ispanici nel paese, l’alta percentuale di immigrati illegali e, per questo, privi di documenti (il 28% degli ispanici) e le moltitudini che cercano di entrare con tutti i mezzi, suscitassero, accanto a ragionevoli riflessioni e all’esigenza del rispetto della legalità, anche molti timori, resistenze, rifiuto e persino atteggiamenti xenofobi. Oggi emergono molti segnali in questo senso, alimentati dai timori suscitati dall’attuale crisi economica. Ed è una costante che in tempi di forte crisi economica siano proprio le masse migratorie, a volte prese come “capro espiatorio”, a soffrirne di più.
Negli Stati Uniti si è andati procedendo alla deportazione di migliaia di ispanici che da decenni vivono negli USA e persino nati in questo paese. È tristemente nota la legislazione anti-immigratoria dell’Arizona, che altri Stati come l’Alabama e il Sud Carolina hanno copiato .
Queste resistenze vengono espresse anche tra i principali pensatori del “Think tank”, delle quali il libro di Samuel Huntington –il famoso autore de “lo scontro di civiltà”–, “Who we are. The challenge to America’s National Identity” (New York, 2003), è un significativo esempio.
Secondo Huntington, la necessità di rafforzare l’identità della nazione è definita dal «credo americano» (per esempio, la Dichiarazione di Indipendenza) e, ancor più, dalla cultura americana di base anglo–protestante. Ciò porta a presentare l’immigrazione e la popolazione ispanica, specialmente quella di origine messicana, come una «invasione» che è una «minaccia» per l’identità nazionale. Secondo Huntington, le diverse ondate di immigrazione verificatesi negli ultimi secoli sono state «americanizzate» attraverso il melting pot, ma la popolazione ispanica, soprattutto messicana, non riesce ad essere assimilata dalla cultura nordamericana.
Per Huntington, la minaccia si risolve facendo tutto il possibile per estirpare agli ispanici la loro lingua, la loro religione cattolica e la loro cultura, assimilandoli agli «anglo-protestanti».
Alla base di pregiudizi e di resistenze, e anche di forme di discriminazione e razzismo contro gli ispanici, esiste una “leyenda negra” sull’America Latina e la sua gente, che si riversa sugli “ispanici”. Al di là di una diffusa indifferenza e ignoranza sull’America Latina, in vasti settori nordamericani prevale addirittura l’identificazione dell’America Latina con il disordine, il sottosviluppo e la violenza.
L’estrema irrazionalità della persistenza della “leyenda negra” e del conseguente “sciovinismo” si esprimono, ad esempio, in alcune espressioni di Pat Buchanam nel suo recente libro in cui si riferisce allo «stato di emergenza» provocato dalla «invasione e conquista dell’America da parte del Terzo Mondo». Basti una citazione relativa in special modo alla «invasione» ispana: «nel 2050, gli Stati Uniti saranno stati trasformati in un agglomerato multirazziale, multietnico, multiculturale e multilinguistico, un Brasile invaso da 420 milioni di abitanti, una torre di Babele, una replica del’impero romano dopo la calata dei Goti e dei Vandali» (traduzione dell’autore).
Parte integrante di questa “leyenda negra” è un certo anticattolicesimo –quello della stragrande maggioranza degli ispanici–, che è stato definito “il pregiudizio più persistente nella storia del popolo americano”, come si trattasse di un patrimonio religioso incompatibile con il “credo americano”.
L’Episcopato cattolico degli Stati Uniti ha ripetutamente affermato in vari documenti e interventi relativi alla presenza ispanica negli Stati Uniti, che questa non costituisce un problema, ancor meno un rischio e, in assoluto, una minaccia per il paese. Anzi, al contrario: essa è un “dono provvidenziale”, una “benedizione di Dio”, una risorsa “profetica”. E ricordano che –le persone hanno il diritto di trovare opportunità nella propria patria–; –quando tali opportunità non si presentino nella propria patria di origine, le persone hanno il diritto di emigrare per procurarsi un lavoro per il bene proprio e delle loro famiglie; –le nazioni sovrane hanno il diritto di controllare le proprie frontiere, ma le nazioni più forti economicamente hanno maggiormente l’obbligo di facilitare i flussi migratori; –i rifugiati e coloro i quali chiedono asilo a causa di guerre o persecuzioni debbono ricevere protezione; –la dignità umana e i diritti dei migranti privi di documenti debbono essere protetti e salvaguardata l’unità del nucleo matrimoniale e familiare.
Nessuno mette in dubbio il fatto che ogni paese ha il diritto e la responsabilità di dotarsi di una politica di immigrazione chiara e precisa, attraverso un’adeguata legislazione e il governo. Le modalità indiscriminate, incontrollabili e caotiche sull’immigrazione non fanno bene a nessuno. Le potenti e violente reti di delinquenza per il traffico di persone e droga nelle vaste zone di frontiera tra Messico e Stati Uniti vanno combattute con forte volontà politica e adeguati mezzi repressivi.
Ma tutt’altra cosa è la criminalizzazione degli immigrati ispanici, che si insinua in alcuni media, nella stampa, nei dibattiti politici e nella mentalità generale. È essenziale che nel paese esista una discussione pubblica ben informata, che tralasci pregiudizi ed atteggiamenti irrazionali, non si interessi degli ispanici soltanto a scopo elettorale, e abbia sempre presente la grandezza e la generosità con le quali si è fondato il paese, accogliendo successive migrazioni nel sogno americano.
Infatti, la presenza ispanica negli Stati Uniti sta contribuendo notevolmente al progresso del paese, dando il proprio contributo al profondo riallineamento culturale che la nazione vivrà nei prossimi decenni e facilitando una maggior comprensione e collaborazione tra Stati Uniti e America Latina, per mezzo di relazioni rispettose, degne, eque, di scambi fruttuosi.

Messaggio del papa per l'Incontro di Sarajevo
Benedetto XVI

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