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18 Januar 2013

Il ministro della Cooperazione: "L'operazione francese non è colonialista, è l'Africa a chiedere aiuto. In gioco la nostra sicurezza"

Riccardi: "L'Italia appoggia un intervento necessario"

 
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ROMA - Se c'è una cosa su cui il ministro della Cooperazione Andrea Riccardi si è impegnato in questi 19 mesi di governo Monti è stata quella di "riportare" l'Italia nel Sahel. Di sventolare sotto il naso di tutti noi l'allarme rosso che veniva dalla sfida di Al Qaeda nel Nord del Mali. 

Ministro Riccardi, il Consiglio dei Ministri si prepara a decidere un appoggio militare alla Francia.

 «Noi ci prepariamo ad appoggiare un'operazione delle Nazioni Unite, in cui però vediamo una preponderante necessità di stabilizzazione, di aiuto umanitario per i profughi, di sostegno alla nascita di una governance politica e civile della regione. I francesi hanno perizia ed esperienza nell'area. Noi ci prepariamo a un profondo lavoro di sostegno umanitario alle popolazioni, e di composizione politica di un quadro intricatissimo. Non abbiamo alternative». 

Lei da mesi aveva lanciato un allarme sul pericolo Sahel, parlando con i giornali, viaggiando nella regione. 

«La mia esperienza ha reso possibile avere il polso della situazione, la conoscenza di dinamiche politiche e di sicurezza che - come era prevedibile -  ci hanno portato in uno stato di crisi pericolosissimo, per il nostro paese e per tutta l'Europa». 

In Burkina Faso avevate riaperto la Cooperazione italiana, al Niger avete offerto programmi di aiuto.

«Era stata una svista incredibile, un errore strategico da parte dell'Italia abbandonare il Sahel, chiudere uffici della Cooperazione in questo che chiaramente stava diventando il nuovo Afghanistan alle porte di casa. È chiaro, noi da soli non siamo risolutivi, quei pochi soldi di Cooperazione che abbiamo trovato non risolvono i problemi di paesi che vanno stabilizzati e aiutati economicamente. Ma quell'impegno economico deciso con visione dal presidente Monti serve anche a ridestare noi stessi: quei pochi soldi, le visite, i nuovi contatti, l'invito a Milano del presidente del Burkina Faso sono il segno di una attenzione che dobbiamo ritrovare. Oggi lo capiamo chiaramente: il Mali, il Burkina, la Mauritania sono anche una nuova frontiera per l'Italia. Un confine instabile per la fragilità della Libia, per i cambiamenti portati tra i regimi coinvolti dalle primavere arabe». 

Adesso però l'Italia sostiene la guerra della Francia, un'operazione che qualcuno accusa di essere "coloniale".

«I primi a chiedere di fermare la minaccia di Al Qaeda sono gli stati dell'Africa. I governi, le fragili e magari imperfette democrazie della regione. Il Mali è una miccia accesa per i paesi dell'area, per il fragilissimo Niger che ha un enorme problema con i touareg, per il Burkina Faso, che è un "sandwich" fra Al Qaeda in Mali e Boko Haram in Nigeria. Guerra coloniale quella della Francia? No,è l'Africa che chiede aiuto, dicendoci (e noi lo sappiamo benissimo) che lo strumento militare non risolve. Ma per ora tampona. La guerra in Libia ci ha insegnato che l'uso dello strumento militare spesso ha conseguenze non prevedibili, ma queste conseguenze vanno considerate. Non abbiamo alternative».


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