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18 Oktober 2017

Scuole della pace, palestre d'inclusione

Sant'Egidio. Anni di storie diventano un libro. Presenti Fedeli, Riccardi, Tarquinio e Impagliazzo

 
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La scuola è profondamente connessa con la pace, perché fare scuola - fare cultura - significa in fondo mettere solide basi al processo di convivenza civile. Ed è così in ogni periferia dell'Italia e del mondo. A dimostrarlo le scuole della pace che, a partire dal 1968 a Roma fino al moltiplicarsi oggi di questa esperienza in ogni comunità sparsa in settanta Paesi, la comunità di Sant'Egidio ha ideato per far sentire meno invisibili i bambini delle periferie. Storie d'integrazione e di storie di successi inaspettati racchiusi nel volume "Alla scuola della pace. Educare i bambini in un mondo globale", curato da Adriana Gullotta per le edizioni San Paolo e presentato ieri a Roma. A parlare di come «una scuola che non include, non riconosce le differenze» non sia vera scuola proprio il ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli, perché «senza istruzione, senza conoscenza non si può raggiungere la pace». La bambina soldato ugandese Mary, il piccolo Gigi ucciso da una pallottola vagante a Poggioreale, Michele e tutti gli altri sguardi che compongono il volume, infatti, per il responsabile del Miur «ci insegnano che gli adulti troppo spesso ignorano il mondo dei bambini». Ma insegnano anche «un metodo» - il libro andrebbe inserito «all'interno dei percorsi di formazione», suggerisce Fedeli - «quello dell'amicizia, della gentilezza, della qualità della relazione umana».
Dall'Argentina al Salvador, dal Malawi fino alle più vicine realtà di Napoli e Roma quello proposto non è altro che un modello educativo da cui i grandi potrebbero imparare: il mondo visto attraverso gli occhi dei bambini. Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi perciò sottolinea l'utilità di questa esperienza, per far uscire dal silenzio i drammi dei bambini che non potevano andare a scuola e per dimostrare che «uguaglianza e differenza si possono conciliare, anzi l'una non esiste senza l'altra». Come anche che «il primo contenuto di queste scuole è appunto la parola» data ai bimbi senza voce. Ed è così che, la conclusione di Riccardi, le scuole della pace «non sono altro che un cammino di quasi mezzo secolo per le strade di Roma e del pianeta, guardando il mondo con gli occhi dei più piccoli soprattutto poveri e fragili». Scuola e pace insomma, sono due «parole-seme nel tempo che viviamo» - gli fa eco il direttore di Avvenire Marco Tarquinio - perché la scuola diventa teatro di pace, «scuola di cittadinanza e del vivere insieme nella città del noi». Uno «slancio propulsivo», la dimostrazione che ci può essere una «sussidiarietà felice», il seguito del suo ragionamento, che rende le scuole della pace «non un modo di dire, ma un modo di fare». Ancor più - continua Tarquinio - in un momento in cui qualcuno pensa che «i bambini figli di immigrati siano un problema che non ci riguarda».
La storia invece dimostra che per cambiare la città bisogna partire dai bambini. Lo slogan usato dal presidente della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo per sintetizzare «l'avventura», lunga 50anni, delle scuole della pace che hanno portato a «storie di rinascita, di successi insperati, pur partendo da vite attraversate dal dolore». Scuole dell'inclusione - fa notare la giornalista de La Repubblica Maria Novella De Luca - in una missione «che dovrebbe essere ancora della scuola pubblica; un sostegno che adesso si sta invece perdendo». 


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