Un incontro storico che ha trovato ampio risalto sui media internazionali e in rete. La preghiera per la pace che si è levata domenica sera dai giardini vaticani è stata raccontata in maniera estremamente dettagliata dai cronisti dí tutto il mondo. Così come è ampio è stato il ricorso alle immagini per descrivere quanto è accaduto in Vaticano: la successione dei gesti è già di per sé espressione di questo «giorno di preghiera - come scrivono Jim Yardley e Jodi Rudoren sul «New York Times» - tutto focalizzato sull'unità». Il settimanale «Time» è del resto convinto che la cerimonia di domenica abbia invertito la diplomazia medio-orientale, che per solito richiede prima un accordo e poi una celebrazione solenne. Sicuro che, anche senza la pace, il summit di preghiera voluto da Papa Francesco rappresenti comunque un fondamentale punto di svolta, John Allen, vaticanista del «Boston Globe », si sofferma, tra l'altro, sul significato della partecipazione del patriarca cli Costantinopoli: la presenza di Bartolomeo è una fortissima spinta verso il raggiungimento dell'unità per il mondo cristiano, ancora diviso.
Lo hagan lío del Papa non è solo uno slogan, un'espressione simpatica rivolta ai giovani brasiliani, scrive Pablo Ordaz su «El Pais» del 9 giugno, è qualcosa che Papa Francesco vuole attuare con la vecchia e imponente macchina diplomatica dello Stato della Città del Vaticano. «Vuole metterla a disposizione dei popoli in conflitto come se fossero dei Caschi blu dello spirito», continua Ordaz. La Chiesa si è già offerta come mediatrice in Venezuela, e con l'evento cli domenica si pone come agente di dialogo in Medio Oriente. «Non si tratta cli imprese facili - continua il giornalista del quotidiano spagnolo - ma se qualcuno può assumere un ruolo chiaro a favore del dialogo e contro la guerra questo è proprio Papa Francesco. Può contare su una rete di informazione privilegiata, visto che ci sono sacerdoti e monaci negli angoli più sperduti del pianeta che conoscono sia i palazzi del potere che i problemi della gente comune, e su un corpo diplomatico molto preparato e in costante contatto con i governi, ed è un leader internazionale costantemente sotto l'attenzione dei media che padroneggia alla perfezione ». Sulla stessa linea il commento di Stéphanie Le Bars sul quotidiano francese «Le Monde», in cui si individua nel viaggio in Terra santa il ritorno della diplomazia vaticana alla ribalta internazionale. Un gesto da non banalizzare e sottovalutare, come ha scritto Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sul portale Moked.it il giorno dell'incontro di preghiera sul Medio oriente in Vaticano. Sarebbe un grave errore, continua Gattegna, non vedere come negli ultimi cinquant'anni i progressi nelle relazioni ebraico-cristiane siano stati enormi. «Non dobbiamo permettere - continua - che la svolta epocale ed eccezionale, se paragonata alle problematiche relazioni e ai conflitti dei secoli precedenti, iniziata cinquant'anni fa, perda il suo carattere e il suo valore».
Una fiammella di speranza: così il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, reduce dall'incontro in Vaticano, ha commentato a caldo l'iniziativa. Un evento «religioso e non politico» che «ha voluto colpire i cuori, soprattutto dei giovani», sia israeliani sia palestinesi, ha continuato Pacifici, il quale ha poi aggiunto: «E ora nostro compito far sì che questa fiammella non si spenga». Del resto, il fatto che il novantenne Peres e il quasi ottantenne Abu Mazen siano verso fine mandato può rappresentare il segno della volontà, ha concluso Pacifici, di lasciare «una staffetta di speranza». «Tre fotogrammi suggestivi, tre immagini indimenticabili, tre momenti simbolici»: così Franca Giansoldati su «Il Messaggero» apre il suo racconto della storica serata. «L'abbraccio tra Peres e Abbas a Santa Marta; il viaggio con Papa Bergoglio su un pulmino fino al luogo della cerimonia; l'incedere solenne di questi uomini lungo un vialetto circondato da pareti di bosso color smeraldo. Istantanee già entrate nella storia perché non solo racchiudono il senso di una giornata fuori dal comune, mai accaduta prima, ma sono in grado di trasmettere la stessa forza emotiva che aleggiava nei giardini vaticani». E «quando il successore di Pietro - scrive Enzo Bianchi su «la Repubblica » del 9 giugno - chiede alla Chiesa di pregare, le chiede di essere conseguente più che mai con la propria fede, di stare nella storia con le armi che le sono proprie, le armi salvifiche dell'intercessione, le chiede di stare nel mondo senza essere mondana.
E quando il vescovo di Roma osa chiedere a uomini politici di altre fedi di unirsi a lui e agli altri cristiani per innalzare preghiere all'unico Dio e per invocarne il perdono, non compie un passo diplomatico, ma si pone come fratello accanto a loro, per essere assieme a loro intercessori presso Dio e, da quella posizione così ardua, insieme offrire ai contendenti e alle vittime un segno di speranza, di coraggio e di fiducia nelle capacità umane di rifuggire il male e scegliere il bene comune». Come avvenimento - commenta Andrea Riccardi sul «Corriere della Sera» - l'incontro «è sorprendente. Mai si erano sentite preghiere musulmane entro le mura vaticane. E, sempre sul quotidiano milanese, lo scrittore israeliano Amos Oz lancia un invito: «I leader religiosi - cristiani, musulmani ed ebrei - dovrebbero ricordare ai fanatici che la vita umana è più santa di qualsiasi luogo sacro; che la testa di ogni bambino - ebreo, arabo o cristiano - è più preziosa a Dio che non qualsiasi pietra cli qualsiasi patria al mondo».