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28 Ottobre 2015

«Amo confessare i fedeli e andare in giro in bicicletta La città? Non la conosco»

Don Matteo, da Roma al capoluogo emiliano: «Imparerò»

 
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Don Matteo Zuppi - la chiamo come la chiamano tutti a Roma- quando farà il suo «ingresso a Bologna»?
«Non lo so, devo prendere accordi con il cardinale Caffarra. Mi piacerebbe arrivare lassù quando partirà il Giubileo della Misericordia: non potrebbe esservi avvio migliore
».
Allora 1'8 dicembre?
«Quel giorno si festeggia l'Immacolata e si ricorda il cinquantesimo del Vaticano II: non potrebbe esservi giorno migliore, ma ancora non so. Bologna ha dato molto al Vaticano Il, con il cardinale Lercaro, Dossetti e tanti altri. L'insegnamento del Concilio che ci indica un atteggiamento chiave verso il mondo: quello del servizio di carità e dell'annuncio del Vangelo. Quello di un'immensa simpatia. Mi ispirerò a quell'eredità
».
Conosce Bologna?
«Sono stupito d'essere trasferito, dolorante per i tanti distacchi che si profilano. E sono stupito anche per la destinazione: io sono romano romano, non ho nessun precedente biografico che mi leghi a Bologna».
È intimorito? Lei è presentato da tutti come un prete di strada, da tre anni un vescovo di strada: che ci fa un prete di strada a Bologna? ·
«No, per questo non sono intimorito. Conosco i miei limiti, non presumo nulla. Imparerò, mi lascerò cambiare dall'incontro con quella città dalla grande storia e dalle forti esperienze sociali, dal grande umanesimo. Ma come prete di strada penso che mi ci troverò bene, perché è il Vangelo che ci spinge a uscire per le strade per incontrare tutti, a cominciare dai poveri. Gesù è sempre in cammino nei Vangeli e così dobbiamo fare noi vescovi, anzi noi cristiani. Così penso che farò».
Uscendo per le strade si corrono rischi ...
«Ma se resti al chiuso tì ammali, come dice papa Francesco. Non bisogna avere paura di contaminarsi. Il cristiano non deve avere alcun timore di quello che può venirgli da fuori. Deve temere solo il male che gli può uscire dal cuore. Vedo la Chiesa nella città, cioè nella comunità degli uomini, come un fiume che l'attraversa e non ha paura di sporcarsi attraversandola».
Lei è stato parroco a Trastevere e a Torre Angela, periferia con l'odore dell'Africa. Gira per Roma in bicicletta anche ora che è vescovo: pensa di cercare le periferie anche a Bologna?
«Non so nulla delle periferie di Bologna, ma penso che vi siano. Soprattutto so che vi sono, dappertutto e quindi anche a Bologna, tanti tipi di periferie: quella della solitudine, quella della sofferenza, quella delle molteplici emarginazioni, quella della lontananza da Dio. Indubbiamente le cercherò, o mi lascerò trovare se verranno a cercarmi».
Un suo libro è intitolato: «La confessione. Il perdono per cambiare» (San Paolo, 2010). Le piace confessare?
«Quel libro l'ho scritto da parroco, per i miei parrocchiani. Sì, amo confessare. La confessione ci mette in rapporto con l'abisso del cuore umano e con l'abisso della misericordia di Dio. È un dono straordinario e invece ne abbiamo fatto un appuntamento pauroso. Condivido spontaneamente l'idea di papa Francesco: abbiamo tutti un disperato bisogno di misericordia. La confessione è il sacramento della misericordia
»
Lei ha celebrato almeno due volte con il vecchio rito, in latino. Lo farà anche a Bologna?
«Mi è stato chiesto e l'ho fatto volentieri. Se me lo chiederanno immagino che lo farò, ma di ciò che farò a Bologna non so ancora nulla. Con i gruppi romani che mi fecero quella richiesta ho ritenuto giusto compiere un gesto di comunione e di vicinanza. Sono favorevole a ogni uscita da ogni chiusura».


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