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23 Maggio 2016

Nel libro di Riccardi «il legame tra periferie e cristianesimo»

 
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Il volume "Periferie: crisi e novità per la Chiesa", uscito quest'anno per i tipi Jaca Book, recente fatica editoriale di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è un testo complesso ma non complicato. Non complicato grazie allo stile comunicativo, al linguaggio scorrevole, non farraginoso, non astruso e - perciò - non astratto, forte anzi di un timbro concreto, sostenuto da consapevolezza storica, da lucidità analitica e da una sensibilità teologica di tipo pratico, potremmo dire "teologico-pastorale".
Complesso, tuttavia, perché esposto su diversi piani disciplinari, argomentato con più registri tematici tra di essi intrecciati e spesso innestati. Può valere, difatti, per questo libro sulle periferie ciò che l'Autore osserva riguardo al magistero che sulle periferie stesse sta offrendo al mondo papa Francesco: «Storia, esperienze, riflessione teologica, preoccupazioni per il futuro s'incrociano nella visione maturata dal papa argentino».
In questa prospettiva plurale, il magistero del papa sulle periferie è non esclusivamente l'oggetto della ricerca di Riccardi, ma piuttosto e più precisamente l'abbrivo di essa. Non è un caso che tale magistero venga citato esplicitamente proprio all'inizio del volume, essendo attinto peraltro dall'intervento di Jorge Mario Bergoglio nelle riunioni dei cardinali prima del conclave, nel marzo 2013: «La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e andare nelle periferie, non solo geografiche, ma anche [... ] esistenziali: dove alberga il mistero del peccato, il dolore, l'ingiustizia, l'ignoranza, dove c'è il disprezzo dei religiosi, del pensiero e dove vi sono tutte le miserie». Riccardi chiosa: per Bergoglio «la Chiesa deve uscire dal suo mondo, da una visione autocentrata della sua vita e del suo impegno». Così interpretato e parafrasato, il magistero del papa sulle periferie viene subito presentato non quale mero apriori sociologico, come qualcuno ha scritto polemicamente, bensì come l'eco dell'insegnamento conciliare sulla Chiesa-sacramento (è la lezione di "Lumen gentium"), cioè della Chiesa intesa come "segnale" che rinvia a Qualcun Altro, si smarca da se stessa, si decentra per riorientarsi verso il suo Signore e per orientare al suo Signore il mondo intero, da cui non vuole più fuggire (è la lezione di "Gaudium et spes"): essa, infatti, è invitata ormai a uscire verso il mondo e, semmai, come sottolinea Riccardi, a uscire dal «suo» mondo.
La tesi centrale del libro è questa: «C'è un legame vitale tra periferia, periferici e cristianesimo». Formula da cui emergono due elementi: il legame tra periferie e cristianesimo e lo spessore personale dei "periferici", giacché le periferie non sono realtà impersonali. Danno volto e nome alle periferie i numerosi «folli di Dio» di cui Riccardi scrive: essi riverberano esemplarmente «l'immagine del Cristo kenotico». In realtà sono i "periferici" di tutto il mondo, anche quelli che rimangono anonimi e sconosciuti, a testimoniare la perifericità di Dio stesso, la sua salvifica "sconfitta", la sua graziosa "debolezza". Riecheggio qui Quinzio e Jonas, ma rimando anche a una suggestiva pagina di "Conversazione in Sicilia" di Elio Vittorini: «Uccidete un uomo: egli sarà più uomo. E così è più uomo un malato, un affamato; è più genere umano il genere umano dei morti di fame». Mi sembra un input "ex partibus infidelium" per risanare «il divorzio tra il sacramento dell'altare e il sacramento del povero» denunciato a suo tempo da Olivier Clément, come ricorda Riccardi. D'altra parte, nella periferia centro-mediterranea che è la Sicilia degli sbarchi e dei naufragi, già un santo prete palermitano, Giacomo Cusmano, col suo "boccone del povero", ricordava sul finire dell'Ottocento che proprio i poveri sono l'ottavo sacramento.


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