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Il Giornale di Vicenza

27 Maggio 2016

Festival Biblico. Ieri inaugurata la XII edizione con una doppia conversazione dello storico

Euro partita sui profughi

Andrea Riccardi: «Eravamo un continente estroverso, oggi temiamo l'invasione. Solo a Paesi uniti ritroveremo una identità»

 
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Amico dei vescovi siro-ortodosso Ibrahim e greco-ortodosso Yazigi, rapiti nel 2013, Andrea Riccardi confessa che il suo cuore batte in Siria. Ha negli occhi la via Recta di Damasco percorsa da San Paolo, i quartieri abitati dai cristiani. Un mondo che sparirà. «Una terra che amo e che conosco molto bene, dove ho incontrato l'Islam, e che è al centro di una guerra senza fine di tutti contro tutti, Arabia Saudita e Turchia, Usa e Russia». E' qui che oggi «si manifesta l'impotenza mondiale di Paesi che hanno perso il gusto della pace». Il mondo aveva sperato nel crollo dei muri, la fine delle guerre fredde nel 1989: non è durata. E a complicare l'inclinazione bellica connaturata all'uomo, oggi ci sono gli esodi. Di massa.
Lo storico Riccardi, già docente universitario, già ministro alla Cooperazione, fondatore della Comunità di Sant'Egidio capace di soccorrere i poveri di Roma ma anche di tessere relazioni diplomatiche internazionali - basta pensare alla pace in Mozambico - è a Vicenza per una doppia presenza: riceve il premio FriulAdria, prima edizione, "Una vita, una storia", e a San Lorenzo inaugura con una lectio la dodicesima edizione del Festival Biblico sul tema "Giustizia e pace si baceranno".
A palazzo Trissino ieri conversando con il giornalista Paolo Possamai, non sfugge le garbate provocazioni: «Abbiamo lasciato che tutto questo succedesse e la conseguenze di riversano su di noi. Ne abbiamo scritto in pochi e ora il dramma ci sta travolgendo». Quanto accade è un gioco di potere: «Quando i musulmani e i totalitarismi avranno eliminato i cristiani, toccherà alle loro minoranze». Cosa è lo scontro di civiltà, gli chiede Possamai: «Nessuna religione è cromosomicamente destinata allo scontro. Ma bisogna reagire alle pulsioni dello scontro. L'ideale è una civiltà di convivenze».
La contemporaneità però è quella della paura, del filo spinato e del muri, nessun Paese europeo ne è esente: «Si va in ordine sparso verso un problema epocale. La stessa Chiesa non ha avuto una voce univoca sul tema dei rifugiati. Papa Francesco aveva capito che l'Europa è vecchia già nel 2014, ha detto: è una nonna. Ma è anche l'unico che ha visione precisa di Europa: dialogo, integrazione e negoziazione. Non potremo negoziare la poligamia, ma tanti altri comportamenti sì». Proprio ora che teme l'invasione, la vecchia Unione deve ritrovare il grande disegno delle origini, quello di De Gasperi, Schuman e Adenauer: «Se non facciamo l'Europa che futuro abbiamo? - chiosa Riccardi - Oggi il centro di Londra è in mano agli arabi, l'Angola si sta comprando l'economia del Portogallo. Se non riusciamo a recuperare la nostra identità, finiremo a insegnare lirica nelle case dei ricchi indiani».
Paradosso per paradosso, è proprio il flusso dei profughi ad interrogare l'Europa: il migration compact di Renzi deve impegnare i governi africani. «Non ho mai visto presidenti africani venire a piangere sui loro morti a Lampedusa, è chiaro che l'emigrazione è una valvola di sfogo» commenta realisticamente.
Di fronte ad una società verticalizzata e dormiente, ín cui s'è persa la partecipazione, in cui dominano le solitudini, il tema odierno è riaggregare. La comunità di volontari di Sant'Egidio è in prima linea, traducendo in realtà sogni di pace: «La sfida è lavorare per l'inclusione dei poveri, per la coscienza delle responsabilità». In cima alla lista i profughi, «su cui si gioca tutto»: la comunità con la chiesa valdese sta realizzando un progetto di corridoio umanitario per mille siriani dotati di visto che vengano in Italia, seguiti da altrettante famiglie. Stesso progetto in Spagna, interesse anche da parte della chiesa polacca che ha posizioni opposte al suo governo. «E poi occorre rilanciare la passione per l'Africa. Ho in mente Senghor (poeta e presidente del Senegal, ndr) che parlava di Eurafrica, possiamo dare e ricevere molto». 


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