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14 Ottobre 2016

Migranti, un boom nelle mense solidali. "Spediscono in Africa i 5 euro per il cibo"

Don Martino (Migrantes): "L'unica alternativa è chiedere l'elemosina, con l'incubo del racket"

 
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Quei cinque euro al giorno non finiscono quasi mai in tavola: fanno un viaggio molto più lungo. È questa la cifra che i richiedenti asilo ricevono dalle associazioni che li accolgono in appartamento e che non forniscono anche i pasti: 2,50 euro di pocket money per le piccole spese, più altrettanti per comprare qualcosa da cucinare per conto proprio. «Ma molti profughi decidono di mettere questi soldi da parte - spiega don Giacomo Martino, direttore dell'Ufficio diocesano Migrantes - così, su 75 euro al mese, 50 li spediscono alle loro famiglie, in Africa». Il risultato è che per mangiare non rimane nulla. E ai richiedenti asilo non restano che due strade: quella dell'elemosina, che permette di guadagnare 5, 10 euro al giorno, «ma che mette i migranti in pericolo, con il rischio di finire reclutati dal racket», ragiona don Giacomo. Oppure, l'alternativa è mettersi in coda: alle mense dei bisognosi, poveri tra i poveri.
Basta fare un giro nei refettori della città, per rendersi conto delle nuove necessità che si continuano a sommare e sovrapporre, e il conto non torna mai. Alla Casa della Giovane in piazza Santa Sabina, tra Porta dei Vacca e piazza della Nunziata, la mensa gestita dalla Comunità di Sant'Egidio riflette la povertà come uno specchio: «All'inizio dell'anno siamo partiti con una media di 350 accessi al giorno - spiega Maurizio Scala di Sant'Egidio - adesso, a ottobre, siamo già a quota 450. In soli dieci mesi quasi il trenta per cento in più. Ma la causa non sono certo solo i richiedenti asilo: il fatto è che la crisi c'è ancora, e non frena».
Il fenomeno dei migranti in coda, che hanno rinunciato ai soldi del pasto per spedirli a casa, è recente. «Saranno una ventina al mese, si presentano qui e spesso non sanno una parola di italiano, ma nemmeno di inglese o francese - spiega Scala - noi proviamo a parlare con loro, siamo in difficoltà perché non vogliamo certo negargli il cibo, ma non è semplice. Il fatto è che le famiglie di questi ragazzi hanno investito tutto per farli partire, pagando loro il viaggio per l'Europa, anche duemila euro. E loro si sentono in dovere di inviare subito qualcosa a casa, far vedere che c'è un ritorno».
«Anche noi abbiamo questa sensazione - spiega Alberto Mortara di Caritas Auxilium - molte volte hanno bussato alle nostre mense anche migranti accolti nello Sprar, il sistema di protezione di richiedenti asilo e rifugiati: abbiamo negato loro l'accesso. Da noi si arriva o attraverso un ente pubblico o mediante un colloquio, dunque il controllo c'è. Il fenomeno si manifesta quindi nelle mense di pasto libero: dalle suore Brignoline o al Padre Santo». Il problema, in ogni caso, è solo rinviato. Perché la maggior parte dei richiedenti asilo, una volta ricevuti dalla commissione territoriale, si vedranno rispondere un sì o un no. E il diniego è la risposta più frequente: a Genova sfiora quasi l'80 per cento dei casi. «È allora che i migranti diventeranno irregolari - riflette Scala - in quel momento si troveranno per strada. Si presenteranno alle nostre mense. E il paradosso è che allora, purtroppo, ne avranno diritto».


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