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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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7 Settembre 2009 16:30 | Aula del Collegium Maius UJ

Contributo



Alberto Bobbio


Gionalista, Italia

Potrebbe già bastare un imperialismo amichevole. Vista da sud del Rio Bravo la svolta nella politica del “cortile di casa” della Casa Bianca di Barack Obama potrebbe fermarsi qui. Ma la crisi internazionale, la recessione americana e la gran massa di denaro che il nuovo inquilino della candida dimora di Washington dovrà tirar fuori dalle tasche portano qualche speranza in più. Per chi abita a sud dell’America il “crack perfetto” diventa più di un’opportunità per costruire economie più giuste e, forse, solidali. Ma, come sempre, le cose sono più complicate e complesse. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno speso per l’America Latina meno di quanto buttano in una settimana nel buco nero iracheno. E sono miliardi di dollari. Ma con quale risultato? Il fallimento di tutti i piani antidroga dimostrano negligenza totale nell’approccio di uno dei problemi. Obama ha annunciato in campagna elettorale che le sue politiche in America Latina procederanno da un principio semplice e inedito per gli Stati Uniti: “Ciò che è giusto per le popolazioni delle Americhe è giusto per gli Stati Uniti”. Può essere una rivoluzione. L’America latina è una regione mondiale ormai fuori dall’agenda internazionale. Pochi analisi vi si applicano, poiché l’attenzione sta da altre parti, in Medio Oriente e in Asia. Forse è giusto così, perché la Cina ha le chiavi del debito americano, perché l’Afghanistan rischia di diventare un nuovo Vietnam, perché il Medio Oriente potrebbe potrebbe essere il segnale che fa cambiare la disastrosa politica estera americana. Eppure una “Nuova cooperazione per le Americhe” potrebbe essere in politica estera un simbolo altrettanto importante. E’ qui che si giocano, in maniera forse più visibile, le regole attorno a quelle che Roosevelt chiamava le “quattro libertà”: libertà politica, democrazia, libertà dalla paura, libertà dai bisogni. In una parola rispetto e lotta alla povertà, cioè fine della rapina delle risorse e autodeterminazione dei popoli. I nuovi presidenti, che in America Latina tentano di dare gambe buone alle democrazie popolari pur in mezzo ad errori ed eccessi ideologici, devono rispondere ad una domanda: fidarsi di Obama? Ma non è l’unica, perché vale anche il contrario: Obama può fidarsi di loro? Come sempre le cose sono complesse, perché non sono uniformi. Tra la Colombia di Uribe e l’Ecuador di Correa, tra il Cile della Bachelet e il Veneuela di Chavez, il Brasile di Lula e la Bolivia di Morales, l’Argentina, il Perù, il Paraguay dell’ex-vescovo Lugo il dialogo non è facile. E non è neppure una soluzione proporre il blocco della cosiddetta “vera sinistra” sudamericana contro gli altri e contro gli Usa. Ha ragione Rafael Correa, presidente movimentista dell’Ecuador, a dire che “più di un’epoca di cambiamenti stiamo vivendo un cambiamento d’epoca”. Tuttavia, se ciò vuol dire che si coglie la suggestione di una nuova seconda indipendenza dell’America latina, essa va costruita attraverso il dialogo e una forte cooperazione d’area che lasci da parte le suggestioni ideologiche di chi intende costruire qualcosa contro altri e contro gli Stati Uniti. Certamente il sogno, che per qualcuno è quello bolivariano di un nuovo vessillo pronto spalmarsi sull’intero subcontinente, è favorito dalla crisi mondiale del neoliberismo e del turbocapitalismo senza anima andato in scena negli ultimi anni. Ma non basta, anzi sarebbe un errore, limitarsi ad intonare “hasta siempre Comandante”, inno evocatico e rivendicativo di Carlos Puebla, note di un mito spazzato via dalla Storia, per gli uni e per gli altri, a nord e a sud della frontiera del “cortile di casa”. Anche Barack lo sa. Forse la mossa, azzardata, ma definitiva, il segnale che cambia le cose potrebbe essere quello di mettere fine all’embargo a Cuba. Appunto un cambiamento d’epoca, dopo l’ascesa al potere di quelli che George W. Bush considereva i “presidenti ribelli” e che non ha mai sopportato il presidente “indio” della Bolivia Evo Morales, quella dell’Equador Correa, il paragayano Fernando Lugo e il “caudillo rosso”, il presidente venezuaelano Hugo Chavez Li ho visti a Belem insieme all’ultimo social forum mondiale, accolti dal presidente brasiliano Lula. Il summit serviva per indagare la  futura politica in America Latina di Barack Obama. Ci sono tante questioni ambientali, ma soprattutto c’è il problema di nuovo accordi economici, dopo il fallimento dell’Alca, il mercato panamericano spalmato dall’Alaska a Punta Arenas, ma sempre controllato da Washington e dalla grandi multinazionali Usa, sogno svanito della presidenza di George W.Bush. Eppure nemmeno i Paesi latino americano non sono riusciti a trovare un punto di baricentro comune e anche il Mercosur e l’Alba, il mercato comune dell’America centrale, non è andato al di là di pochi accordi e qualche facilitazione nel passaggio delle frontiere. Lula cerca un rapporto privilegiato con gli Usa, mentre gli altri non sono del tutto d’accordo. Con Obama sarà diverso? Il tema affascina, non c’è dubbio. Ma non c’è grande entusiasmo. Molti dicono aspettiamo e vediamo. Certamente la politica della Casa Bianca deve cambiare. Ma temo che il presidente Obama dovrà saltare molti ostacoli che gli metteranno davanti, perché vi sono interessi troppo consolidati dei grandi gruppi industriali americani in America latina. Le materia prime sono sempre state oggetto di un commercio iniquio per i popoli latino americani, che hanno solo gonfiato i portafogli dei politici, degli imprenditori e di tanti gruppi criminali. Cambiare dunque non sarà facile per la nuovo casa Bianca. C’è un tema dal quale forse si può tuttavia partire ed è quello dell’immigrazione. Solo dal Messico ogni anno passano negli Stati Uniti oltre mezzo milioni di persone. Il contrasto della polizia non ha portato a nulla. Ma quel tipo di immigrazione invece serve agli Usa perché sfruttano manodopera a buon mercato. In pratica gli americani comperano lavoratori. Ma serve anche ai Paesi dell’America centrale e latina, che fanno i conti con le rimesse degli immigrati e che negli ultimi anni sono aumentate. Dobbiamo domandarci tuttavia se esse servono effettivamente alle economie dei Paesi oppure se esse vanno rafforzare econicamente la corruzzione, che è il principale problema in molti paesi latino americani. Ad esso è legata streettamente la questione del narcotraffico. E anche su questo la nuova amministrazione americana deve mettersi una mano sulla coscienza. Una nuova politica di contrasto della droga deve intervenire sulla domanda americana. Obama deve fare l’esame di coscienza. Perché gli americani consumano sempre più droga? Continuare ad inviare armi per le forze di polizia locale e aumentare il controllo militare non serve. Infatti aumenta la corruzione.  Non basta che un presidente sia eletto in maniera democratico con grande partecipazione popolare perché quel Paese sia definito un bel Paese. I nuovi presidenti dell’America Latina investono molto nella loro immagine, ma ciò non è sufficiente a combattere corruzione e ingiustizia. La corruzione è una ferita che anche le nuove politiche dei presidenti sudamericani non riescono a curare. E i narcotrafficanti hanno molto denaro a disposizione, perché tutto prosegua come prima.
Un’ultima cosa vorrei dire sul ruolo della Chiesa, che molte volte ha parlato con chiarezza di tutto ciò. La Caritas latinoamericana ha più volte chiesto regole più giuste, ma soprattutto noi chiediamo di essere rispettati come Paesi sovrani, in condizioni di parità anche dal punto di vista economico.
C’è da dire tuttavia che in generale che l’America Latina sta meglio di qulche anno fa
E’ passata dalle dittature al liberismo della scuola di Chicago, che modellato le prime democrazie, alle democrazie popolari. Ma non basta mettersi a sinistra per migliorare la vita dei popoli. Restano iniquità, ingiustizie e corruzione. Soprattutto nessun Paese
 può dire di essere arrivato a risultati straordinari. Con i diritti umani si continua a combattere in America Latina e il problema è la mancanza di democrazia economica, il peso delle lobby e l’ampiezza della corruzione. Il documento approvato dai vescovi ad Aparecida alla presenza del Papa spiega che anche l’economia deve rispettare l’uomo. Annunciare il Vangelo della vita dal concepimento alla morte vuol dire proprio questo: non smettere mai di denunciare le violazioni dei diritti dell’uomo. Le continue minacce di morte e vescovi, sacerdoti e laici, che spesso lavorano con la Caritas dimostrano che la strada è quella giusta. Vorrei ricordare a questo proposito che le liste dei condannati morte da parte del narcotrafficanti o dei signori dell’economia, quelli che per mestiere si occupa della rapina ai danni delle popolazioni sono colme di vescovi, sacerdoti e laici impegnati con i più poveri. Il Brasile ha questo triste primato. Eppure quella è una chiesa a volte martire, ma non si arrende. Oggi le più importanti e serie analisi sull’A.L. nel co ntesto della globalizzazione mondiale e soprattutto regionale le propone la Chiesa ei suoi movimenti e associazioni a sud del rio Bravo.


Cracovia 2009

Il saluto di papa Benedetto XVI all'Angelus


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