06/07/2001
L'America
che odia il boia Crescono le voci contro la pena di morte. Si schiera il
"New York Times"
dal
nostro inviato VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON
- Si ha quasi paura a scriverlo, come se il solo scriverlo potesse rompere
la speranza, ma la forca, la grande anomalia storica che ferisce il
prestigio degli Usa come un tempo lo avvilirono lo schiavismo e il
Vietnam, sta forse per chiudersi. Mai come in questo 2001, la pena di
morte � stata discussa da voci sempre pi� alte e forti della societ�
civile che sta ritrovando - e questa � la vera grande notizia - il
coraggio di parlare contro, senza il timore di sembrare "soft on
crime", tenera con i criminali.
Giudici
della Corte Suprema un tempo inflessibili come la signora Sandra Day O'Connor,
senatori importanti come il democratico Pat Leahy (di origine italiana,
incidentalmente), governatori di vari Stati osano fare quello che fino
ieri li avrebbe condannati alla morte politica, contestano il patibolo.
"Non ci sono mezze misure possibili" interviene il "New
York Times" riprendendo i dubbi del Giudice O'Connor e innalzandoli
alla logica conclusione: "L'unico obbiettivo possibile �
l'abolizione della pena capitale".
Finalmente.
E' come se una foschia velenosa avesse cominciato ad alzarsi sopra una
nazione intossicata da sentimenti spiegabili e incontrollati, che anche
noi in Europa conosciamo bene, il panico da criminalit�, l'angoscia del
cittadino di fronte all'apparente impunit� del male, il cinismo
demagogica dei politicanti che speculano sulle "emergenze
sicurezza". La "lotta al crimine", manifestata nelle
esecuzioni, era stato per 25 anni lo slogan pigliatutto e irriflessivo che
aveva sostituito l'ormai inutilizzabile "la lotta al comunismo",
e aveva condannato allo sconfitta chiunque fosse sospettato di non volere
la vendetta del boia, come un tempo condannava i candidati sospettati di
essere "soft on communism".
Mario
Cuomo, governatore di New York e abolizionista, fu la vittima pi� celebre
della demagogia forcaiola. Pu� dunque sembrare un paradosso che questo
Paese cominci ad alzare la voce contro il boia, anche nei suoi giuristi
pi� duri come l'ex inflessibile signora della forca, quando sbarca alla
Casa Bianca un Presidente che non ha avuto eguali, nel XX secolo, come
esecutore di pene capitali, George Bush.
Ma
� stato proprio l'avvento al potere del "chief executioner",
come si dice scherzando con un triste gioco di parole tra
"executive", amministratore, ed "executioner", boia,
ad alzare la brezza che sta dissipando la nube tossica. La sua figura �
stata il catalizzatore di un fronte abolizionista che si � semplicemente
messo paura, vedendo entrare nello Studio Ovale un personaggio che ha
fatto della propria spietatezza (mai una commutazione di pena in sei anni,
mai un dubbio) un manifesto politico assoluto. Neppure la macchina delle
immagini ha potuto cancellare quella smorfia sprezzante che Bush oppose a
un giornalista spagnolo a Madrid, quindici giorni or sono: "Io
applico la volont� del popolo".
Quasi
a dire, noi Americani siamo democratici e voi Europei, i soliti elitisti
che non ascoltano la voce dell'elettorato. Naturalmente sono state le
elites a reagire per prime, i senatori pi� rispettati e potenti come
l'italo americano Leahy (eletto per sei volte consecutive in Vermont), i
giornali di prestigio come il NY Times, i governatori turbati dal numero
di condannati innocenti, l'ordine nazionale degli avvocati, da tempo
perplesso se non apertamente contrario, e ora il Giudice O'Connore che
dalla sua Arizona nativa aveva portato alla Corte Suprema lo spirito degli
"hanging judges" del vecchio West, quei magistrati ambulanti che
avevano normalizzato la frontiera battendola con un cappio, un cavallo e
un ramo robusto.
Ma
in una societ� di massa come quella Americana, non sono mai le elites
politiche a creare il clima culturale collettivo. Pochi avrebbero osato
parlare se i favori per la pena capitale non fossero, da tempo, in
flessione nei sondaggi. Sono in flessione perch�, nella foschia del
taglione, l'America � rimasta fedele alla sua cultura del pragmatismo, �
arrivata al dubbio non con il cuore, ma con i numeri. Non sta discutendo
la moralit� della pena di morte, ma la inevitabile mostruosit� della sua
applicazione pratica. La constatazione, che a noi sembrava tanto ovvia,
che una pena perfetta come la morte non pu� essere applicata da uno
strumento imperfetto come la giustizia umana, si � fatta largo, tra
l'ideologie e le demagogia.
Il
Giudice O'Connor, che da sola potrebbe spostare l'intera Corte Suprema
alla ripresa del prossimo autunno, visto che lei rappresenta il voto di
maggioranza, 5 a 4, tra i nove giudici, non contesta infatti il principio
astratto del supplizio capitale. Si scandalizza davanti alla realt�,
quando pronuncia una sentenza terrificante come questa: "Se le
statistiche sono affidabili, il sistema (giudiziario) potrebbe avere
mandato a morte innocenti". Quale dubbio pu� essere pi�
sconvolgente? Quale condanna del sistema, pi� categorica? Non ha ancora
il coraggio di fare l'ultimo passo abolizionista, come fa il New York
Times, ma la conclusione logica � inevitabile: non esister� mai quel
processo infallibile che possa impedire il sacrificio di un innocente,
immolato per placare l'opinione pubblica, in un rito in fondo non tanto
diverso dalle vergini gettate nei vulcani per ammansire divinit�
misteriose e colleriche.
Oggi,
per la prima volta dal 1976, � legittimo sperare che l'America rinunci
all'ultima barbarie, "aborrente per una societ� civile" come
scrive il New York Times. Se l'isolazionista Roosevelt sped� i ragazzi
americani a morire in Normandia, se Nixon l'anticomunista virulento
strinse la mano a Mao Zedong e Brezhnev, � legittimo sperare che anche
"the Butcher of Texas", come � soprannominato Bush nelle
carceri, che anche il macellaio del Texas demolisca i gradini di quel
patibolo sul quale si era arrampicato per arrivare al potere.
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