NO alla Pena di Morte
Campagna Internazionale

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 L'ultimo lager dei ghiacci. Viaggio nella fortezza dei condannati a morte russi

Un monastero, a mille chilometri da Mosca, trasformato in una gabbia. Intorno, un deserto di neve. Dentro, 150 prigionieri che attendono la fine. Storia di un gruppo di uomini sospesi sull'orlo dell'abisso. E di un carcerato che ripete: "Piet�, uccidetemi".

di ERALDO AFFINATI

da Beleo Ozero (Russia) 12/1/2001

La prigione di "Isola in fiamme" dista quasi mille chilometri da Mosca. Il centro pi� vicino, Vologda, � a 250 chilometri. In inverno la temperatura tocca i -50�.

C'� un penitenziario di massima sicurezza a Beloe Ozero (in italiano Lago Bianco), quasi mille chilometri a nord di Mosca, dove sono rinchiusi 150 uomini perduti. L'edificio, circondato da filo spinato, appare all'improvviso sul ponte di legno che conduce all'entrata. Nelle carte questo istituto viene registrato con un semplice numero, 256/5, ma lo sperone roccioso su cui � stato costruito si chiama Isola in fiamme, dal nome che gli diedero alcuni monaci all'indomani della rivoluzione bolscevica, quando vi fondarono un monastero.

 Da tanti anni, quelle che furono le celle dei religiosi sono delimitate da sbarre di ferro. Le pareti che un tempo esponevano icone vennero presto costellate di scritte oscene. Alle preghiere si sostituirono imprecazioni e bestemmie.

 D'inverno l'acqua del lago diventa una lastra di ghiaccio. L'aria sembra tagliente come vetro scheggiato. Il giorno del mio arrivo il termometro segna 30 sotto lo zero. Nessuno � mai evaso da questo carcere speciale: chi riusc� a prendere il largo fu costretto a tornare indietro perch� nel giro di centinaia di chilometri le condizioni climatiche vietano la sopravvivenza umana.

Raggiungo il reclusorio partendo da Vologda, patria di Varlam Shalamov, indimenticabile autore dei "Racconti di Kolyma". Viaggio a bordo di una Zhigul� 1500 guidata da un giovane sottufficiale delle forze armate capace di governare la vettura sulle superfici precarie come fosse una slitta.

In Russia le strade verso il Circolo polare artico sembrano sentieri nella foresta, viottoli di fango e sterpi che danno l'idea di procedere verso l'ignoto, ai confini del mondo. Dopo un lungo tragitto, eccoci davanti alla Fortezza Bastiani dei nostri tempi, reduci da infinite mediazioni burocratiche, richieste, permessi, visti, colloqui, questionari. Alla fine il cancello si apre e noi entriamo.

Pochi occidentali hanno varcato questa soglia. Qui scontano la loro pena i peggiori criminali della societ� russa. Individui della nostra specie che la grande maggioranza dell'opinione pubblica vorrebbe schiacciati sotto la suola delle scarpe come orribili scarafaggi: omicidi, stupratori, serial killer.

Gente da tenere lontana dal consorzio umano che, secondo il parere comune, non vale il costo del cibo necessario a nutrirla. Essi, come conferma il direttore del carcere, Aleksej Vasilievic Rozov, pur essendo gi� stati condannati a morte, vivono ancora in virt� di una decisione del Consiglio d'Europa.

L'organismo, di cui la Russia fa parte insieme ad altri 40 paesi, ha posto come condizione per la permanenza agli stati membri la condivisione di alcuni principi essenziali, tra i quali la rinuncia al patibolo. Fino a qualche anno fa, in Russia i condannati a morte subivano il colpo alla nuca da distanza ravvicinata.

 I corpi venivano cremati e le ceneri erano disperse al vento per evitare che i parenti potessero venire a piangere sulle tombe. Questa era la situazione fino a quando, quattro anni fa, una moratoria ha temporaneamente sospeso le esecuzioni. La Russia, cio�, non vuole rischiare l'espulsione dal Consiglio d'Europa.

Ma nella Duma di Mosca i partiti, spinti anche dalla pressione popolare, stanno esaminando la possibilit� di rendere nuovamente attiva la pena capitale. Perfino Zoia Kolesnikova, tenente colonnello dell'esercito russo, responsabile del Dipartimento psicologico dei 13 penitenziari presenti nella regione di Vologda, mi dice che � ingiusto tenere in vita i pluriomicidi. Nel frattempo, mentre i politici discutono, i detenuti scontano la condanna del carcere a vita.

Tutti vorrebbero evitare la morte, tranne uno, il quale a gran voce la reclama. Il suo nome � Ravil Dashkin, nato il 18 aprile 1964 a Penza, sulle alture del Volga, condannato a morte per omicidio e furto d'auto. Poco tempo fa si � reso protagonista di un gesto clamoroso che ha attirato su di lui l'attenzione del mondo: convinto della propria colpevolezza, deciso a pagare sino in fondo per l'azione compiuta, ha scritto una lettera al ministero della Giustizia in cui chiede ufficialmente di essere ucciso.

Ho voluto andare a conoscere quest'uomo che, rinunciando per se stesso a ogni clemenza e misericordia, sembra uscito da una pagina di F�dor Dostoevskij. Lo incontro il 25 dicembre, giorno feriale per il calendario russo, sotto lo sguardo dei secondini impellicciati e molto sorpresi che un furfante della sua risma abbia potuto sollecitare l'interesse internazionale. Mentre sul lago infuria la bufera, ho l'impressione di scendere nel cortile a imbuto dove Van Gogh immagin� la ronda dei prigionieri in catene. Gli agenti bardati con stivali neri e colbacco di pelo azzurro mi scortano nelle segrete.

A destra e a sinistra intravedo qualche detenuto. Sono uomini estremi pervasi da una tensione incredibile. Ore e ore trascorse con gli occhi fissi nel vuoto per anni e anni lasciano il segno sulle facce e sui corpi.

Un ragazzetto esile e occhialuto proclama solennemente la sua innocenza rivolgendosi a me secondo la procedura: di profilo, braccia strette dietro i fianchi. Urlando contro il muro, afferma di essere vittima di una macchinazione. Dichiara di aver chiesto l'intervento umanitario dell'Onu. Poco dopo sapr� che i giudici l'hanno ritenuto responsabile di cinque omicidi. Non lontano, vive un detenuto che dalla sua cella � riuscito a vincere un concorso televisivo a premi organizzato per corrispondenza. Le domande vertevano su questioni teologiche. Il direttore del carcere mi sconsiglia di visitarlo perch� il suo reato � un abominio che non ammette indulgenze: ha ucciso una bambina di cinque anni dopo averla violentata. Le luci basse sul pavimento guidano il cammino della pattuglia. Ci dirigiamo verso il mio uomo. All'esterno di ogni cella � attaccata la fotografia del detenuto con la scritta in cirillico che, mi dicono, descrive il reato commesso.

Appena Ravil sente la nostra presenza, comincia ad agitarsi. Sapeva che un italiano aveva chiesto di lui. Chiss� da quanti giorni aspettava di vedermi. Adesso � arrivato il momento e non sta pi� nella pelle. Prima ascolto la voce che dialoga con il secondino, il quale gli annuncia l'ospite. Poi dallo spioncino finalmente lo vedo: � un giovane uomo pieno d'energia, i capelli corti, l'espressione intensa. Saltella avanti e indietro, attraversato da una corrente di frenesia e agilit�, come un puma sui legni plastificati dello zoo cittadino.

 Avverto nel mio colpo d'occhio il dramma e l'umiliazione della cattivit�: poter osservare un uomo senza chiedere il suo consenso significa ridurlo a una condizione animale. Scruto il volto di Ravil sul cartellino di identificazione inchiodato sulla lamiera: sembra quello di un uomo tranquillo. Eppure, le guardie avrebbero voluto impedirmi di sedere davanti a lui. Riesco a convincerle e cos� mi fanno entrare nella sua cella, ma solo dopo averlo ammanettato.

Durante il colloquio, ci raggiunger� anche il direttore a sottolineare l'eccezionalit� dell'evento. Tutto il personale del carcere pare essere qui, occhi attenti osservano, orecchie ascoltano. Ravil raccoglie i trucioli sparsi della sua esistenza offrendomeli come li trova, un po' storti, sghembi e inceneriti, affinch� io li ricomponga e, magari, riesca a dargli un senso. Adesso li ho qui, davanti a me: battute sparse, affermazioni recise, dichiarazioni improvvise. "I miei genitori non so chi siano... Sono vissuto insieme a quattro fratelli e due sorelle... Ho frequentato le scuole fino a 17 anni, poi ho preso la patente... Volevo fare l'autista... Il periodo pi� bello della mia vita � stato il servizio militare... L'ho fatto a Sebastopoli, nelle truppe d'assalto... L� ho imparato l'importanza dell'amicizia...".Seduto a gambe larghe sullo sgabello, sembra una star: spalle al muro, con la scritta "Usa Champion's" cucita sulla tuta blu, ripercorre le tappe della sua strada verso il crimine. "Nel 1984 avevo bevuto... Guidavo un'automobile intestata a un amico... Ebbi un incidente stradale, di cui mi assunsi la responsabilit�... Due anni dopo fui coinvolto in una zuffa... Poi ho fatto quel che ho fatto... Io volevo solo rubare un'automobile. Da dieci anni mi passa davanti agli occhi quel giorno... Penso sempre ai parenti dell'uomo che ho ucciso... Non ho presentato la domanda di grazia... Merito la pena capitale... Sarebbe pi� giusta". Mentre il prigioniero racconta, il traduttore riporta le sue parole e io prendo appunti, il flash della macchina fotografica illumina i tre denti d'oro di quest'uomo giunto al limite della sopportazione. "� vero, ho chiesto di essere fucilato... Te lo ripeto... La Russia � un paese feroce e io sono russo... Anche Dio mi condannerebbe... Io non mi suiciderei mai... Sono religioso... Credo nella saggezza delle persone...". Le manette pi� volte tintinnano perch� Ravil nella foga alza le braccia come se fossero libere. Per spiegare i concetti che espone s'accalora, forse crede di avere di fronte una personalit� importante e vorrebbe vuotare il sacco, dirmi tutto in pochi secondi. "Ho un figlio di 14 anni, da sette lo vedo solo in fotografia... Vorrei che diventasse un vero uomo... Sai cosa intendo? Fedele agli amici, con amor di patria, coraggioso... Spero possa frequentare l'accademia militare, mi piacerebbe saperlo ufficiale di marina... Ringrazia a nome mio i rappresentanti italiani di Amnesty International perch� si sono occupati di me... ".

Ci alziamo in piedi. Siamo agli sgoccioli. Ravil Dashkin chiede un'offerta per poter acquistare il materiale necessario a ridipingere le pareti della sua cella e abbonarsi a una rivista. Verseremo la piccola somma all'amministrazione del carcere. Gli agenti scherzano, fanno battute. Stringo la mano al detenuto con i polsi legati. Mi risponde con un sorriso che le parole non possono dire. Chiss�, forse secondo la legge italiana sarebbe gi� libero. Quella russa per ora si limita a farlo marcire in carcere. Ma la sua coscienza gli chiede di pagare un prezzo pi� alto. Usciamo fuori nel gelo notturno. Mentre ci allontaniamo dal penitenziario, mi ricordo che oggi � Natale.

La "questione capitale" tra Mosca e l'Europa Dal '96 la Russia ha sospeso le esecuzioni. Ma a Strasburgo questo non basta Il dibattito sulla pena di morte in Russia � molto acceso. Si calcola che l'80 per cento della popolazione ritenga giusta la sua pratica per punire i reati pi� gravi. Le esecuzioni, fino a cinque anni fa, continuavano a essere praticate in certe carceri speciali mediante fucilazione. Era consentita la presenza di un medico, degli avvocati e dei parenti che chiedevano di assistere.

Dal 1996 il ministero della Giustizia ha dichiarato sospese le esecuzioni per venire incontro a una specifica richiesta del Consiglio d'Europa, organismo di cui fanno parte 41 stati e che ha il compito di predisporre convenzioni per la tutela dei diritti umani. Il Consiglio ha accettato la moratoria proposta da Mosca ma preme perch� il governo di Putin abolisca definitivamente la pena capitale. La situazione � dunque in stallo: Mosca deve tener conto dell'opinione pubblica ma non pu� rischiare di essere esclusa dal Consiglio interrompendo il processo di occidentalizzazione degli ultimi anni.

Dove si uccide nel nome dello stato

Sono 87 i paesi in cui il boia ha ancora lavoro. In testa:

 la Cina Sono state 1.813 le persone giustiziate nel 1999 (ultimo dato disponibile). I condannati sono stati 3.857 in 63 paesi. � della Cina il primato delle condanne a morte eseguite nel 2000: 236.

A seguire, Arabia Saudita (124), Stati Uniti (85), Iraq (61) ed Egitto (22). 87 i paesi al mondo che mantengono la pena di morte.76 i paesi che hanno abolito la pena di morte in questi ultimi anni per tutti i reati.

12 i paesi che mantengono la pena di morte solo per i reati di guerra.

21 i paesi che l'hanno abolita di fatto: pur mantenendo la pena non eseguono condanne a morte da oltre 10 anni.

In Algeria rientra tra i reati capitali anche l'incendio doloso.

Il furto di propriet� pubbliche � punito in Afghanistan con la fucilazione, l'impiccagione o la lapidazione.

In Arabia Saudita, l'adulterio � punito con la decapitazione.

Fucilazione in Armenia per chi commette uno dei 14 reati capitali, fra cui lo stupro.(C. A.)