- 09 Dicembre 2001
"Non
uccidete quella donna"
33
anni, donna, nigeriana. Per aver avuto un rapporto extraconiugale Safiya
Huseini � stata condannata a
morte da un tribunale islamico. A suo favore � nata una mobilitazione
internazionale perch� il governo nigeriano
annulli la sentenza
CARLO
LANIA
Chiusa
nella sua capanna con il padre cieco e la figlia di un anno, da due mesi
una donna nigeriana
aspetta
di essere lapidata dalla gente del suo villaggio. Il 9 ottobre scorso,
infatti, un tribunale islamico di
Gwadabawa, nello stato di Sokoto, nel nord del paese, ha condannato a
morte Safiya Huseini, 33 anni,
colpevole di aver avuto un rapporto extraconiugale. La confessione di
Safiya, che ha ammesso la relazione,
� stata decisiva per la condanna. Gli stessi giudici hanno invece assolto
l'uomo con cui la donna
ha avuto rapporti sessuali. In teoria Safiya dovrebbe essere gi� morta:
stando a quanto prevede la legge,
una settimana fa la donna avrebbe dovuto essere seppellita in una buca
fino al collo e poi lapidata a
colpi di pietra dai suoi vicini. La condanna � stata stata per� sospesa
il 27 novembre dopo la decisione
di Safiya di ricorrere in appello denunciando di essere stata violentata.
Da
alcune settimane � cominciata a favore di Safiya una campagna di
mobilitazione internazionale.
Organizzazioni
umanitarie si battono perch� il governo nigeriano annulli la condanna a
morte. In Italia a parlare
per prima del caso di Safiya � stata la comunit� di Sant'Egidio, che con
l'associazione Nessuno Tocchi
Caino e l'agenzia di stampa dei missionari Misna ha lanciato un appello
per la salvezza della donna
attraverso e-mail da inviare all'ambasciata nigeriana a Roma. Le risposte
sono state talmente numerose
che in pochi giorni la posta elettronica dell'ambasciata si � bloccata.
Contemporaneamente � stata
avviata una raccolta di firme tra deputati e senatori, mentre il ministro
per le Pari opportunit� Stefania
Prestigiacomo ha annunciato che il presidente del consiglio Silvio
Berlusconi chieder� al governo
nigeriano la grazia per Safiya.
Con
una rassegnazione difficile da capire per un occidentale, Safiya sembra
attendere che il suo destino si
compia senza apparentemente fare nulla per salvarsi. La donna non � agli
arresti e in teoria potrebbe allotanarsi
senza problemi dal suo villaggio. Invece Safiya non abbandona il padre e
la sua bambina, Adama,
nata quasi un anno fa e frutto della relazione di cui oggi deve rispondere
di fronte alla legge.
Paradossalmente
a portare Safiya in tribunale � stato proprio il suo presunto
violentatore. L'uomo, Yakubu
Abubakar, 53 anni, sposato con due mogli, era stato invitato dal padre di
Safiya a sposare la donna
o, almeno, a occuparsi del mantenimento della piccola Adama. Ma l'uomo,
pur ammettendo la relazione,
non si � assunto la reponsabilit� della paternit� e si � rivolto alla
polizia sporgendo denuncia.
Una
volta in tribunale, poi, ha negato di conoscere Safiya, nonostante vivano
entrambi nello stesso villaggio.
Secondo la legge islamica un uomo che ritratta la sua confessione deve
essere scagionato, a meno
che quattro uomini non affermino di aver assistito all'adulterio. Nessun
uomo, per�, si fatto avanti in
difesa di Safiya.
Un
altro paradosso riguarda lo stato civile dell'imputata. Safiya � infatti
una donna divorziata e questo agli
occhi della legge la rende maggiormente colpevole. Se fosse stata nubile,
infatti, per la sua "colpa" Safiya
sarebbe stata punita con 100 frustate. Ma l'essere divorziata l'ha resa
rea di adulterio, e per questo
destinata alla lapidazione.
Purtroppo
per la ragazza, anche il suo avvocato non sembra essere all'altezza della
situazione.
Secondo
la Bbc, che lo ha incontrato all'inizio di dicembre, il legale, Abdulkadar
Imama Ibrahim, non conoscerebbe
bene il caso e pur dicendosi ottimista sull'esito del processo di appello
si sarebbe opposto
a convocare Yakubu in tribunale per rispondere dell'accusa di stupro.
"E' stato scagionato, perch�
farlo soffrire ancora?", avrebbe spiegato.
La
vicenda di Safiya rischia per� di trasformarsi in qualcosa di pi� grande
di un caso di adulterio. La Nigeria
� infatti da tempo divisa in un conflitto che contrappone la popolazione
musulmana (il 50 per cento
del totale) a quella cristiana (40 per cento) e negli ultimi due anni 12
dei 36 stati che compongono la
confederazione hanno adottato la Sharia, la legge coranica. Si tratta di
aree del paese la cui popolazione
� a maggioranza musulmana e tra queste figura anche Sokoto, lo stato in
cui vive Safiya.
L'introduzione
della Sharia con le sue punizioni corporali non � stata ovviamente ben
vista dalla popolazione
cristiana, che pur non essendo soggetta alla legge islamica avverte il
pericolo di un rafforzamento
dei poteri in mano ai leader musulmani. Anche per questo il governo
federale, dopo un iniziale
disinteressamento alla vicenda di Safiya, sembra adesso intenzionato a non
permettere che la condanna
a morte venga eseguita. L'occasione potrebbe presentarsi al termine del
processo di appello quando,
in caso di conferma della sentenza capitale, Safiya potrebbe ancora
appellarsi alla Corte d'Appello
federale e, in seguito, alla Corte Suprema federale, non soggette alla
legge islamica. "La questione
� stata assunta dal governo centrale e ci tengo a dire che questo tipo di
cose non accadranno nella
Nigeria del 2001", ha promesso a Voice of America Bola Ige,
Procuratore generale e ministro della Giustizia
federale (Africa News service, 15/11/2001).
Una
possibilit� che ha gi� aperto uno scontro con le autorit� di giustizia
dello stato di Sokoto, convinte che
il governo centrale non abbia alcun diritto a intromettersi. "Il
governo federale non ci ha ancora scritto
nulla sul caso - ha detto il Commissario di stato per le questioni della
giustizia del Sokoto in una dichiarazione
resa a novembre all'agenzia Reuters - ma se eventualmente lo far�
risponder� che il caso �
all'esame di un tribunale competente e che equivale a disprezzare la corte
continuare a fare simili commenti".
In
attesa dei futuri sviluppi giudiziari, la vicenda di Safiya � intanto
uscita dai confini della Nigeria trasformandosi
fortunatamente in un caso internazionale. Organizzazioni come Human Rights Watch, Civil
liberties organisation, Women's Rights Advancement and protection
association, Women's advocate
research and documentation centre si sono rivolte al governatore dello
stato di Sokoto, Alhaji Barafawa,
e al presidente del consiglio supremo degli affari islamici della Nigeria,
il sultano Muhammed Maccido
chiedendo di rivedere, per ragioni umanitarie, la sentenza di morte. In
Italia la mobilitazione � invece
partita nelle scorse settimane con l'appello lanciato dalla comunit� di
Sant'Egidio al presidente della
Nigeria Olugesun Obasanjo perch� intervenga a favore di Safiya e di sua
figlia Adama: "Chiediamo il
vostro intervento - scrive la comunit� - per evitarle questa punizione
crudele e disumana. Siamo certi che
vorr� prendere in considerazione questa vicenda che minaccia due
vite". Anche Nessuno tocchi Caino
si � mobilitata a favore di Safiya incontrando l'ambasciatore nigeriano a
Roma, che ha assicurato l'interessamento
del suo governo.
Nel
frattempo la mobilitazione a favore di Safiya si � allargata,
coinvolgendo personaggi dello spettacolo come
Alessia Marcuzzi, Michelle Hunzicker e Ambra Angiolini, ma anche della
politica. Interrogazioni parlamentari
sono state presentate al ministro degli Esteri Renato Ruggiero, mentre la
senatrice della Margherita
Patrizia Toia ha avviato una raccota di firme tra deputati e senatori.
La
sospensione della pena capitale rappresenta per� solo un piccolo passo.
Safiya infatti non � ancora salva.
Per questo � importante che all'ambasciata continuino ad arrivare lettere
di solidariet� con la donna
e la sua bambina. Basta poco, sono sufficienti quattro parole, "Safiya
non deve morire", indirizzate
al presidente nigeriano Olusegun Obasanjo presso l'ambasciata nigeriana di
Roma, via Orazio
18.
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