NO alla Pena di Morte
Campagna Internazionale 

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- Sabato 19 Maggio 2001

A proposito di Usa e pena di morte

Com'� vecchio lo Stato del taglione

Di Oddone Camerana E' di qualche settimana l'invito lanciato da Guido Ceronetti a poter almeno parlare di un argomento tab� come la pena capitale. Non sembra che l'appello sia stato raccolto, a meno che non si creda che lo abbia fatto il New York Times del 14 maggio in un articolo non firmato, intitolato "A Cultural Gulf". Prendendo spunto dalle polemiche sorte a seguito del rinvio dell'esecuzione di Timothy McVeigh, l'autore riferisce tra le altre cose l'insistenza con cui le autorit� statunitensi, trovandosi in Europa, vengono richieste di dare spiegazioni sul permanere nel loro paese di tale pena. Riconoscendo il fatto che si tratta di un paese formatosi attorno ad una cultura di frontiera, l'accusa che gli si muove � che quella pena non scoraggia il crimine, � esposta ad errori giudiziari e discrimina chi non ha i soldi per pagarsi un buon avvocato. Tutti argomenti eccellenti, se non che non spiegano perch� la stessa pena viene applicata ad esempio in Cina che non ha la giustificazione di essere un paese di frontiera, e dove la discriminante economica, almeno fino a ieri, non aveva peso. Tutto ci� dimostra come le discussioni sulla pena di morte si arenino tutte le volte che affrontano argomenti che non servono a far rivedere posizioni irremovibilmente attestate su fronti opposti. Un contributo a chiarire su come stanno le cose in materia lo d� uno studioso di tradizioni popolari nel suo libro di recente pubblicazione intitolato La morte in piazza (Argo editore). Accompagnando il lettore attraverso il racconto del lento e difficile affermarsi della giustizia statuale in aperta contesa con la giustizia privata, interessata quest'ultima ad applicare la vendetta per ristabilire il prestigio di un clan, lo studioso illustra come le esecuzioni capitali fossero macchine rituali in grado di produrre potere simbolico di cui il sovrano o lo stato aveva un bisogno vitale. Se ne deduce che, con buona pace di coloro che cercavano di eliminare il capestro sul presupposto che non fosse un deterrente e di coloro che lo facevano risalire alla legge del taglione, lo scopo della pena capitale era l'affermazione dell'autorit� di chi la infliggeva, fosse anche quella dello Stato pontificio dove l'autorit� terrena coincideva con quella divina. In omaggio a questo principio i cui scopi sostanziali andavano al di l� della punizione c'erano condannati che affrontavano la morte dopo aver abbracciato il boia, al quale riconoscevano la capacit� di trasformare l'impurit� della pena, di cui quest'ultimo si contaminava, nel suo esatto opposto. Cose del passato, si dir�. Ci� non toglie che aiutino a capire come permanga in taluni la convinzione che la pena capitale sia considerata necessaria perch� � la suprema affermazione del potere dello Stato. Se non si parte da qui non si potr� mai essere d'accordo sul fatto che uno Stato che ha ancora bisogno di questo atroce puntello � uno Stato, sia esso la Cina o gli Usa, gravato da un qualcosa di terribilmente arcaico, con tutta la considerazione, per lo meno storica, per ci� che � arcaico.