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28/05/02 �Se la vita � un valore, allora nulla pu� giustificare il toglierla; se c�entra un Creatore, spetta solo a lui dare o levare e ci� vale sempre, senza distinzioni Una democrazia non pu� fare questo errore: la funzione di una comunit� � proprio impedire al singolo di andare oltre il limite; ecco invece la follia di una societ� che uccide in nome della giustizia� A morte! Il braccio sbagliato della legge Vittorino Andreoli Si deve distinguere nettamente il caso in cui un uomo ammazza un altro per gelosia, o per una vendetta personale o per qualsiasi altro movente, dall�uccisione che avviene come pena capitale in base ad una legge dello Stato. Il risultato � sempre quello di togliere la vita, ma in un caso la motivazione va cercata nel singolo e pu� trattarsi di follia, nell�altro risiede invece nella comunit� e allora, semmai, la follia � collettiva, e rientra nella storia della "follia del mondo". Sono esistiti, e tuttora se ne contano un centinaio nel mondo, Stati in cui � proibito l�omicidio privato e viene permesso, anzi � esaltato, l�uccidere come decisione della giustizia. Insomma il singolo non pu�, l�autorit� invece lo deve, e per questo richiede rispetto. Il paradosso sta nel fatto che questo viene considerato un segno di civilt�. E basterebbe a testimoniarlo la constatazione che la pena di morte � applicata in Paesi che si ergono ad esempio di democrazia, come gli Stati Uniti d�America, baluardo dei diritti del mondo intero. Non si percepisce nemmeno l�anomalia sul piano della coerenza, n� il salto logico, n� l�assurda attribuzione alla morte di un doppio impossibile significato: in un caso provocarla � un segno infame, nell�altro un segnale di grande civilt� e giustizia. Uno scarto che esiste anche nelle guerre, ma che qui accade nei momenti di "tranquillit�", quando non c�� possibilit� di invocare il pericolo imminente che corre una nazione. Avere dato la morte per decisione di una Corte suprema ad un ragazzo che ha ammazzato il fratello, non � salvare la patria, ma condannare a morte, invece che assegnare una pena che contenga l�ipotesi della redenzione, del ravvedimento e persino di una riabilitazione sociale. l problema non � certo la colpa, bens� la pena e la pena capitale stabilita da un intero popolo a cui si lega una simile legge. � il dare la morte a rendere drammatico e folle un simile ordinamento. � l�arrogarsi il diritto di togliere la vita e nello stesso tempo magari di difendere un embrione: anche qui senza vedere la contraddizione. E chi, come me, non accetta che uno Stato ammazzi un uomo, si indigna sia per il rogo a Giordano Bruno da parte della Inquisizione, sia per la ghigliottina a Maria Antonietta da parte degli Illuministi. Gli uni in nome di Dio, gli altri in nome del popolo, anzi della �Libert�, fraternit�, egalit�. Uccidere non � applicare una pena umana, ma compiere un delitto di Stato, che significa di tutto un Paese. Per capire la ghigliottina in Francia durante la rivoluzione � inutile studiare psichiatricamente i boia, gli esecutori, occorre analizzare la follia del governo rivoluzionario e del popolo francese di allora. Sono due i princ�pi che meritano di essere valutati per affrontare questa follia: il primo riguarda il significato della vita e di riflesso il senso dell�uccidere, il secondo lo scopo della pena, del punire che � legittimo. Se la vita, l�esistere, � un valore, il che vuol dire che la vita in quanto tale e la persona che la esprime vanno difesi, allora nulla pu� giustificare di toglierla. Se si aggiunge che essa possa avere un senso anche misterioso, qualche cosa che sfugge lasciando quanto meno un dubbio sul suo destino, fino a farne un dono di Dio, allora non � possibile ammazzare poich� la vita va oltre l�uomo che la consuma e se c�entra un Dio creatore, spetta a lui e soltanto a lui occuparsene: spetta a lui darla e toglierla. E ci� deve valere sempre, senza distinzioni. Un comportamento coerente al significato della vita non cambia in funzione del colore della pelle, dello stadio di crescita o del grado di cultura o ceto sociale a cui appartiene. Io sento che la vita sfugge ad ogni spiegazione finora data, rimane in parte un noumenon, un mistero che la rende ancor pi� rispettabile e allora io non posso, non sono capace, non potrei toglierla per nessuno dei motivi che in quel momento sembrino plausibili. La vita � qualche cosa che mi sovrasta, che mi rende impotente e semmai che mi rimanda al mio limite. E allora non posso ammazzare un vecchio che soffre, uno che ha commesso un gravissimo errore nella sua vita, non ce la faccio a uccidere il bocciolo di un fiore. E se non credo in Dio, Signore padrone del cielo e della terra, credo nell�uomo, in quello stesso uomo che sbaglia. Ma non pu� fare questo errore una societ�, una democrazia: la funzione di una comunit� � proprio di impedire al singolo di andare oltre il limite, di frenarlo. cco la follia di una comunit� che invece ammazza. Io non potrei essere parte di un popolo che uccide in nome della giustizia e persino di Dio. � falso, idiota, folle. Mi dedico da 43 anni a uomini che hanno ucciso un altro uomo e mi interrogo su questo comportamento estremo, cerco di capire che cosa possa aver disumanizzato una persona fino all�uccidere. Sono pieno di dubbi, ma un�ipotesi caso per caso sono riuscito a darla, quel che non posso capire � uno Stato che ammazza, una comunit� che nell�insieme, coralmente, ritenga di poter e persino di dover uccidere per fare giustizia. Non posso essere complice di una follia generale, del delirio che mostra un�azione insana come sacrosanta e necessaria alla societ�. Non posso sostenere i bracci della morte, discutere con quale tecnica sia meglio ammazzare e cosa permettere per l�ultima volont�. Si tratta di perversioni, di un caso di follia del mondo. Come fa un popolo a giustificare di uccidere chi ha ucciso? Capisco chi ha perduto il proprio marito o figlio. So che la solitudine e il dolore coprono la ragione e rendono difficile il controllo dei sentimenti, ma un popolo insieme dovrebbe proprio favorire la ragione, la comprensione e evitare la violenza. Un singolo pu� aver voglia di ammazzare, ma non una societ� intera. La seconda considerazione ci porta alla pena. Credo che la punizione abbia una funzione sociale e sia un dovere sociale, ma soltanto se tende alla rieducazione di chi ha commesso un reato, e nel caso specifico di chi ha ucciso. Se una legge religiosa pu� prevedere e anzi privilegiare il perdono, non lo pu� fare uno Stato civile che si occupa della visione e dell�agire su questo mondo. Perdonare chi ha ucciso il proprio fratello � un assurdo, e va contro il sentimento umano. Capisco perch� una religione che voglia trasformare l�uomo in un�immagine di Dio, possa trasgredire questa legge della terra, ma non possa farlo la legge. La legge deve sempre punire e farlo in maniera uguale per tutti, non pu� perdonare. In questa funzione, che non spetta al singolo mai, la pena deve rispettare il piano del recupero, e certo non pu� mai togliere la vita. Le scienze dell�uomo sanno che l�uomo pu� cambiare, anche perch� in parte � egli stesso frutto dell�educazione. Sappiamo che possiede una struttura, non solo psicologica ma persino biologica, che ammette delle modificazioni, dei cambiamenti. E punire � una strategia del cambiamento, avendo in animo di riportare dentro la legge. La riabilitazione passa attraverso delle tappe obbligate: il pentimento di aver ucciso, il bisogno di risarcire sia pure simbolicamente, l�accettazione della pena e l�impegno costante per il cambiamento. Tutto questo � possibile e deve essere o diventare la regola degli istituti di pena. l di fuori di un simile progetto la pena � solo rabbia in maschera, finzione di aiutare chi ha sbagliato. � il segno di rinunciare a capire, di indagare sulla storia di un gesto che � giunto a negare la vita. Se la pena in una societ� � solo violenza e vendetta, il grado di civilt� � basso, la cultura non mette al centro l�uomo, il suo significato e mistero, e non fa affidamento alla educazione. � cos� per tutti quei Paesi che esaltano ancora la pena di morte: segni o quantomeno residui di incivilt�, del potere guerriero. Ed ora un�altra considerazione. La vita � legata al respiro del corpo, all�azione della corteccia cerebrale e quindi uccidere significa annientare il corpo. Ma non � questa la sola morte e la sola maniera di uccidere. Si pu� ammazzare la personalit� senza nemmeno ferire il corpo: la morte psichica di una persona. Si pu� anche colpirla nei suoi bisogni sociali, facendo di un uomo un oggetto trasparente, che nessuno vede. Come se non ci fosse. La morte sociale. Credo che non si debba uccidere la persona che � un insieme di biologia, personalit� e espressioni sociali, e credo che la pena debba evitare tutte e tre le morti corrispondenti. Di conseguenza, ritenendo che l�ergastolo � una pena di morte psicologica e sociale, lo valuto un errore. Poich� toglie la speranza, la voglia di migliorarsi, uccide il desiderio. � una bara che permette di muoversi senza senso. � disumano l�ergastolo, � una violenza che piace a troppi anche nel nostro Paese. L�ho vista applicare molte volte, ho visto i pubblici ministeri chiederla con lo stesso ghigno di piacere di un pervertito del potere. Ho provato pena per la giustizia, non per chi l�ha subita. Mi vergogno di essere parte di un grande civilt� che, vinta la tentazione di ammazzare il corpo, continua a uccidere la personalit� e la dimensione sociale dell�uomo. � ora di cambiare e di parlarne. � ora che chi ha un Dio da rappresentare si metta a urlare e dica, anche per chi � stato condannato all�ergastolo, che la vita � del Signore. |