MANILA
- The
Philippines'
Catholic bishops
are opposing the cancellation of the moratorium on the death penalty
and
reaffirmed their stance against capital punishment.
Their position was articulated at a public meeting by Archbishop
Fernando
Capalla
of Davao, president of the bishops' conference, AsiaNews reported.
The bishops voiced their view as news arrived of President Gloria Macapagal
Arroyo's ending of the moratorium. Only a few months ago Arroyo was
received by the Pope in the Vatican, where she reiterated her position against
capital punishment and promised to abide by moral principles.
"We do not believe it will deter crime unless there is a general
breakdown
of
law and order," said Archbishop Capalla, in a statement issued Monday.
Arroyo lifted the freeze on the death penalty last Friday after a recent rise
in kidnappings-for-ransom.
"As much as I am averse to the taking of human lives, as a matter of principle,
the president must yield to the higher public interest when dictated
by extraordinary circumstances," Arroyo said. She added that she would
not oppose prisoner executions scheduled for January.
Two men face execution by lethal injection on Jan. 30, said Dionisio Santiago,
warden of the State Bureau of Corrections.
There are 25 criminals on death row, guilty of kidnappings and drug-related
crimes, say officials. The Philippines is said to be the Asia's
kidnapping
capital, with an average of one abduction every three days.
This year alone, 158 incidents have been reported. Some cases remain unreported
for fear of retaliation by kidnappers on the victim's families.
Monsignor Rodolfo Diamante, executive secretary for the bishops' Commission
on Prison Pastoral Care, believes that Arroyo was pressured into lifting
the ban in order to appease the country's Chinese community, whose members
have been gravely affected as victims of kidnapping incidents in Manila.
The
president's move is purely political while "succumbing to pressure from
a group from which she needs assistance," the monsignor said.
Archbishop Capalla said that "as citizens of this country, we respect
the president's
right and prerogative to protect public order as well as the right
to change her mind."
Yet, he said, "the Roman Catholic Church must claim and uphold her right and
freedom to speak on moral issues while respecting the rights and
freedom of
the state government or of anyone dissenting or disagreeing with her."
ASIA/FILIPPINE
- A NESSUNA ATROCIT� SI PU� RISPONDERE CON L'ATROCIT� DELLA PENA
DI MORTE: DELUSIONE NELLA CHIESA DOPO LA REVOCA DELLA MORATORIA
Manila - Delusione e amarezza sono i sentimenti dominanti
nella
Chiesa cattolica della Filippine dopo che il 5 dicembre, la presidente Gloria
Arroyo ha revocato la moratoria sulle esecuzioni capitali nel paese.
Il
provvedimento - ha spiegato la Arroyo - � dovuto alla crescita di rapimenti
e sequestri a scopo di estorsione nel paese.
Negli
ambienti cattolici, nelle parrocchie, nei movimenti ecclesiali la delusione
� palpabile. La Conferenza Episcopale ha ribadito il "No" alla pena
capitale, spiegando che essa non funziona come deterrente: "Non crediamo
che la pena di morte blocchi la criminalit�", ha detto pubblicamente
Mons. Fernando Capalla, Arcivescovo di Davao e Presidente della
Conferenza Episcopale delle Filippine. Numerosi gruppi, associazioni e movimenti
cattolici stanno preparando iniziative e manifestazioni contro la pena
capitale. Intanto per la fine di gennaio sono gi� previste due esecuzioni
per iniezione letale e altre 25 persone accusate di rapimento e 4 condannate
per delitti di droga sono nel braccio della morte. Nelle Filippine
si registra una media di un rapimento ogni 3 giorni. Nel 2003 vi sono
stati oltre 150 rapimenti, ai danni dei ceti abbienti, all'interno dei quali
si trova la comunit� degli emigrati cinesi.
"Era
necessario dare un segnale forte contro il dilagare dei sequestri", hanno
detto i rappresentanti dell'alta borghesia che nel Nord e nel Sud del paese
subisce la piaga dei rapimenti a scopo di estorsione. Ad essere colpite
sono anche le famiglie che hanno un componente che lavora all' estero,
ritenute dalla criminalit� obiettivi con disponibilit� di denaro, date
le rimesse che arrivano dall'estero.
Il
cinese Hong Yu Hua, capo del Gruppo Cittadino Contro la Criminalit�, ha espresso
forte preoccupazione per il trend crescente dei rapimenti. Il 18 novembre,
la 32enne cinese Shi Mei Zhi, amministratrice di una nota multinazionale
nelle Filippine � stata sequestrata e uccisa. Tre giorni dopo,
una ragazza cinese di 10 anni � stata sequestrata all'uscita dalla scuola.
Il 2 dicembre stessa sorte � toccata a un bimbo di 2 anni. I giornali
cinesi editi nella Filippine all'estero riportano notizie del genere
ogni giorno. La comunit� cinese � caduta nel terrore. Alcuni non portano
pi� i figli a scuola oppure con utilizzano una scorta. "Chinatown"
a Manila
non � animata come prima: poca gente gira per strada, i negozi sono deserti,
ristoranti e sale da gioco sono poco frequentate.
Secondo
gli osservatori, il problema dei sequestri � collegato alla corruzione
e alla miseria che il governo non riesce ancora a contrastare con la
necessaria fermezza. Le masse di poveri che vivono nelle baraccopoli alle periferie
dei centri urbani sono consistenti, mentre cresce il fenomeno dell'emigrazione
dalle campagne verso le citt�, che causa l'aggravarsi della disoccupazione.
Sui problemi sociali irrisolti prospera la criminalit�, che oggi
il governo spera di contrastare riprendendo la pena capitale.
Nel
1987, l'allora presidente delle Filippine Corazon Aquino aveva abolito la
pena di morte, in vigore sotto la dittatura di Fernando Marcos. La pena capitale
venne reintrodotta nel 1994 dal presidente Ramos, preoccupato per la
criminalit� crescente. Nel 2000, Anno del Giubileo, sotto la pressione di numerose
organizzazioni a difesa dei diritti umani e della Chiesa, il governo
congel� le esecuzioni promulgando una moratoria a tempo indeterminato.
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