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NO alla Pena di Morte
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Comunità di Sant'Egidio

 

Comunit� di Sant'Egidio

 

Una Testimonianza di Tamara Chikunova

 

In ricordo di mio figlio Dimitri Chicunov, fucilato nel carcere di Tashkent il 10 luglio 2000, � stata fondata l’ONG “Madri contro la pena di morte e la tortura”      

 

L’attivit� dell’organizzazione per la difesa dei diritti � rivolta a sostenere gli sviluppi democratici nella societ� della Repubblica dell’Uzbekistan. L’ONG “Madri contro la pena di morte  e la tortura” si batte contro la pena di morte in tutte le situazioni, senza eccezione.

 La PENA DI MORTE – � una forma di omicidio legalizzato da parte dello Stato.

Prima di venire ucciso, Dmitrij mi scrisse questa lettera:

 Ti voglio bene mia cara mammina; se riceverai questa lettera, ti prego di avere cura di te. Questa gente � capace di tutto!! Ti chiedo perdono se non ci dovessimo vedere durante il processo, ricordati che io sono innocente, che io non ho versato il sangue di nessuno!

Preferisco morire ma non permetter� che alcuno ti faccia del male. Ti voglio tanto bene, tu sei l’unica persona a me cara. Ti prego, ricordati di me. Ti abbraccio forte. Tuo figlio Dimitri.

 L’abolizione della pena di morte, � una parte di un complesso di valori connesi con i diritti dell’uomo, la democrazia e lo stato di diritto. Ci� che pi� conta nei diritti umani � il loro essere  inalienabili e che sono patrimonio di tutti, indipendentemente dallo stato sociale, dalle posizioni etiche e religiose e dal proprio passato.

L’essere umano non ne pu� esserne privato, qualsiasi delitto egli abbia commesso.

La pena di morte � l’estrema negazione dei diritti umani.

 Come la tortura, la pena di morte si configura come una estrema violenza fisica e psicologica sull’essere umano. “Non pu� essereci alcuna giustificazione alle torture ed a qualunque trattamento crudele”.

 Il problema principale in Uzbekistan, anche se non l’unico, � la mancanza di indipendenza del potere giudiziario dal potere esecutivo.

Qualunque tentativo di ristabilire la legalit�, finora si � arenato.     

Perci� sono molte le sentenze di morte emesse ed i condannati sono esposti al rischio  concreto di essere fucilati.

  La pena di morte, per sua natura � un frutto del male: negazione del diritto e della possibilit� di correggere un errore giudiziario; deficit di umanit� nei fondamenti della societ� e dello stato; porta con s� non solo l’errore, ma colpisce ci� che pi� conta: l’inalienabilit� del diritto alla vita di ogni esere umano.

 In questa situazione, solo l’istituzione di una moratoria delle esecuzioni capitali in Uzbekistan render� possibile una revisione dei processi e delle sentenze emesse.

 I diritti umani, appartengono anche ai peggiori fra noi, cos� come ai migliori; i diritti umani esistono per la difesa di ognuno. Ci salvano da noi stessi.

L’applicazione della pena di morte si pu� considerare alla stregua dell’omicidio di un persona concreta, per quanto criminale. Quando lo stato uccide un uomo,  allora dimostra che ci sono varie situazioni in cui l’omicidio pu� essere sancito ed approvato per legge. Chi ha il diritto di stabilire quali sono queste situazioni?

Se � possibile uccidere criminali efferati, allora � possibile anche uccidere gli oppositori politici, i membri delle minoranze, i poveri o qualsiasi altra persona che  rientri in una categoria marginale della societ�.

L’estrema misura di punizione � un omicidio, un omicidio giustificato dalla nostra paura, dall’ipocrisia e dal rifiuto di ascoltare il grido di aiuto.

Il criminale commette il delitto da solo o in gruppo, ma la pena capitale � comminata da un tribunale con il nostro tacito consenso all’omicidio. Qualunque delitto � un grido, il grido di un animo disorientato, il grido d’aiuto di un essere umano. E quale aiuto riceve da noi? Riceve la pena di morte. Perch� questa realt�  angosciante � una regola della vita in Uzbekistan? A mio parere, i primi a doversi occupare della soluzione di questo problema devono essere le persone che hanno dedicato la propria viat al servizio di Dio. Solo essi, con la loro comprensione dell’animo umano, con la loro piet�, possono aiutare a risolvere questo problema.

Noi abbiamo imparato a curare il corpo, di anno in anno la durata della vita si allunga, oltrepassiamo le frontiere, ogni tipo di ostacolo, quando si tratta di economia, che porta vantaggio – vantaggio al nostro benessere materiale. Ma nel perseguimento del benessere materiale diventiamo come sordi. Abbiamo smesso di ascoltare la voce della nostra coscienza e siamo diventati crudeli e insensibili. E ne approfittano coloro che danno una risposta perversa alle domande di chi soffre e non trova comprensione. E noi con la nostra sordit� e cecit� spirituale creiamo le condizioni dell’odio religioso, dell’estremismo, del terrorismo che non conosce confini.

Ma i profeti di sventura non dormono. Essi riempiono il vuoto spirituale, curano le ferite dell’anima, ma il risultato delle loro cure si ritorce contro di noi.

I fatti avvenuti in Uzbekistan, in Russia, in America, in Israele, in Messico ed in altri paesi, sono essi stesi il risultato della nostra cecit� e sordit�.

Allora, apriamo gli occhi, impariamo a non passare oltre di fronte alle sofferenze spirituali dell’essere umano. Sappiamo che ci sono persone che usano il nome di Dio per spargere l’odio e la violenza.  Per questo noi, con pi� impegno di ieri affermiamo che la religione non deve mai giustificare l’odio e laviolenza. Pace � il nome di Dio. Nessuno deve invocare il nome di Dio per benedire la guerra e la pena di morte. Solo la pace rende culto a Dio.

Il culto dell’odio produce violenza e umilia la speranza. A quelli che uccidono e benedicono la guerra e la pena di morte nel nome di Dio, noi diciamo: “Fermatevi! Non uccidete! LA violenza � una sconfitta per tutti! Cominciamo a dialogare e Dio ci illuminer�”

A quelli che calpestno gli uomini ed il pianeta noi diciamo: “In nome di Dio, rispettate l’universo e l’umanit�! LA loro vita � il nostro futuro e la nostra speranza!”

I credenti sono coloro che sanano le ferite dell’animo umano.  L’esistenza della pena di morte nella legislazione dello stato � anche una malattia spirituale della societ�, una malattia grave e pericolosa. Pi� pericolosa delle malattie del corpo. La scienza ed i medici curano il corpo, ma � Dio che guarisce l’animo dell’uomo.

Dio � Vita,  cio� Pace, Speranza, Umanit�, Compassione e Giustizia. Il principio dell’assoluta  inviolabilit� e santit� della vita umana, che  � stato disprezzato in uno dei secoli pi� sanguinosi della storia, deve essere restaurato.

Mi rivolgo a voi, membri della Comunit� di Sant’Egidio. Fratelli e Sorelle: “Voi con la vostra attenzione e partecipazione guarite la mia anima, il vostro calore mi d� la forza di continuare la lotta per l’abolizione della pena di mortte in Uzbekistan, infatti migliaia di sofferenti ed angosciati attendono la Vostra solidariet� e sperano nel vostro aiuto.”

L’umanit� da molto tempo ha imparato ad uccidere. Ora � giunto il momento di perdonare; � questa � forse la possibilita per tutti noi di essere salvati.

 

DIARIO DI EDUARD ACHMETSCIN (DAL BRACCIO DELLA MORTE)

 

Osservando e penetrando nell’animo di ogni condannato a morte, si vorrebbe trovare o cogliere qualcosa, quali sentimenti pi� di ogni altro lo occupano: che cosa egli prova? A cosa pensa quando ogni giorno vede allontanarsi la sua vita? Tutti vorrebbero saperlo.

Ma sfortunatamente, almeno a me cos� sembra, questi sentimenti restano misteriosamente nascosti nelle profondit� dell’anima umana, dietro la paura, dietro lo sgomento e dietro lo smarrimento e la confusione.

Mentre sto qui ora in questo luogo e medito su questo, posso dire una cosa, che anche il condannato a morte stesso pu� difficilmente vedere chiaro e spiegare ci� che gli � passato per la mente quando all’una esatta del pomeriggio si � aperta la “porta” della sua cella e dei due occupanti ne � stato scelto uno per eseguire la sentenza. Questo sentimento � inspiegabile, indescrivibile e assolutamente incomprensibile.

Il 28 maggio 2003 � stato qui da noi un esperto, si � intrattenuto con i detenuti delle ultime tre celle prima dell’esecuzione della condanna, cio� della fucilazione, aveva l’incarico di fare un’osservazione sui condannati a morte. Come si � passata la notte, si � dormito, che preoccupazioni si sono avute, se si aveva avuto esperienze di ricovero in ospedale psichiatrico?

Questo vuol dire che domani o forse oggi stesso qualcuno di quelle tre celle “verr� liberato nell’eternit�”. La situazione nella nostra cella � radicalmente cambiata e anche nelle altre. Qualcuno, nelle nostre celle, sicuramente se ne andr�, dico a Radik e forse sar� qualcuno della cella 3.3, dove sta Scerali.

Noi siamo i pi� vecchi, Radik mi risponde, forse toccher� a noi due.

Forse oggi � stata l’ultima volta che ci siamo alzati dal letto. Mi accorgo che Radik � molto agitato e piange.

Anche Niver e Sascka, il coreano, “se ne sono andati” insieme dalla stessa cella, gli dico, e cos� � pi� probabile che accada che insieme siamo stati e insieme “ce ne andremo”. E’ dal risveglio di stamattina che ci portiamo dietro questo pensiero. Ripresosi dal pianto, Radik dice: metteremo in ordine la cella e puliremo il gabinetto e cos� saranno lavati i nostri peccati. Ci siamo decisi, � un anno che i nostri materassi restano arrotolati dentro a un sacco e ora � arrivato il giorno, li srotoliamo e mettiamo tutto sul materasso, le scodelle, i cucchiai.

Radik ricomincia a piangere e a ridere allo stesso tempo e io mi metto a scrivere. Scrivere qualche cosa per gli altri, le ultime parole che salgono dal cuore. Il tempo corre, � l’una e mezza. Radik, cosa c’� che non va? –“Vorrei rivedere per l’ultima volta il sole o il cielo”.

E’ curioso, mi rendo conto che per la disperazione mi viene voglia di cantare le canzoni di Viktor Zoi.

Che cosa stiamo provando? Paura? No. Dolore? Neanche. Confusione, emozioni penose, preoccupazione, niente di tutto questo, niente tranne un  senso di assoluta mancanza di forze.

Ci siamo preparati in pace e docilmente. Cosa ha provato Albert, il mio amico, a lui eterna memoria. Oppure Banzai, che non � pi� con noi? Con quelli delle celle vicine spesso ci si parlava. Con Albert sono stato pi� di tre mesi, il suo compagno � tra queste mura gi� da cinque anni ed � innocente, insieme si cantavano le canzoni. Sascka, il coreano cantava “Zoia”, non ho avuto occasione di conoscerlo. Albert cantava Gulbadan. Eccoci al 14 febbraio, le due meno un quarto, sul muro della mia cella si trascina un grosso scarafaggio nero, mezzo addormentato, da dove � saltato fuori questo scarafaggio?

Tintinnio di chiavi, sento rumore di passi, cella 3.7, 3.6….Il cuore si � messo a battere sempre pi� forte, 3.5, si sono fermati. Aprono la cella 3.4, si sente una voce. “Guief, prendi le tue cose” – ancora rumori di passi, si apre la porta della cella vicina, si richiude. Cinque secondi, dieci secondi, fucilato….

Di nuovo si sentono i passi in senso inverso, 3.7, 3.6, 3.5, 3.4. Albert batte tre colpi contro il muro, come si era soliti fare ogni sera per augurarci la buona notte.

Si fermano alla cella 3.2, mi sento il cuore in gola, il corpo mi trema senza sosta.

Fattakhov Albert Karimovic’, dice l’addetto del braccio della morte  con calma: “Albert, prendi le tue cose”.

Cosa provavo in quell’istante io, e Albert cosa provava? Era come se ciascuno percepisse i sentimenti dell’altro al di l� delle porte delle celle e del muro spesso un metro che ci separava; mi sembrava di sentirlo mentre mentalmente si congedava da me, mi sembrava di sentirlo gridare qualcosa, e sette secondi pi� tardi giaceva a terra.

E poi, il 15 maggio, all’una meno dieci, in un giorno di vento forte, di temporale, mentre il cielo si faceva buio, anche Khan Aleksandr e Niver presero le loro cose. Due dalla stessa cella nello stesso giorno.

Tanti vengono fucilati, ma alcuni non ce la fanno a reggere e impazziscono, altri la fanno finita e si impiccano, qui nei sotterranei. E oggi, 17 settembre 2003, oggi non so cosa scrivere, non so che fare……….stando qui, non so proprio cosa raccontarvi.

So che ci vorr� del tempo, ma le persone che pensano liberamente devono venire a sapere tutte queste cose. Devono comprendere quel sentimento profondo, amaro e doloroso che in modo subdolo conduce tanti alla pazzia. Forse ci sar� chi mi comprender�, chi capir� il mio pensiero e lo spiegher� meglio di quanto ora io, come tanti altri, non sia riuscito a fare.

 

 

Questa lettera � stata trovata infilata nel muro di una cella del braccio della morte. E’ stata scritta da Eduard Vladimirovic’ Achmetscin, condannato a morte e giustiziato il 29 ottobre 2003.