PENA
MORTE: VIAGGIO A FLORENCE, GUANTANAMO DELL'ARIZONA
IL CONDANNATO ROSSI, NOI SIAMO CAVIE PER GUERRA A TERRORISMO
(dell'inviato Marco
Bardazzi) - FLORENCE (ARIZONA), - Per
23 ore e mezzo al giorno, il mondo di Richard Rossi e' una
tomba di cemento
di tre metri per 2,5, senza finestre e con una porta blindata
traforata che
non concede niente alla privacy. La mezz'ora restante e' quella
'd'aria', in
una gabbia solitaria all'aperto nei 40 gradi dell'Arizona, con
l'unica
compagnia di una pallina da gomma da tirare contro un muro, per
fare
esercizio.
''E' giusto che il mondo presti cosi' grande attenzione in
questo
periodo a cio' che accade a Guantanamo - dice Rossi -, ma e'
importante che
l'Europa non dimentichi che quello che stanno facendo la', lo
hanno gia'
sperimentato in questi anni su di noi, i condannati a morte''.
Rossi, 57
anni, e' un italo- americano di Brooklyn con radici a Roma e
Napoli. Da 21
anni e' un residente fisso di Florence, la citta'-prigione
dell' Arizona, in
attesa di essere giustiziato per un omicidio commesso nel 1983.
Tra i 3.500 condannati a morte d'America, Rossi e' ormai uno di
quelli
con la piu' lunga detenzione e, suo malgrado, un vero esperto
del sistema
penitenziario americano, al quale ha dedicato articoli, libri,
perfino
poesie.
Un viaggio nei rigori di Florence aiuta a mettere in
discussione l' idea
che il regime carcerario duro che gli Usa applicano agli oltre
600
prigionieri della guerra al terrorismo, nella base militare di
Guantanamo
Bay (Cuba), sia una totale anomalia. ''E' almeno dal 1997, con
l'apertura di
unita' speciali come questa, che siamo diventati le cavie dei
nuovi metodi
di detenzione'', spiega Rossi all'Ansa nella sala colloqui del
carcere. Per
farsi sentire, deve parlare ad alta voce con la bocca quasi
appoggiata ad
una sottile intercapedine metallica, l'unica fessura attraverso
cui i suoni
possono raggiungere l'interlocutore, dall'altra parte di un
vetro
antiproiettile che separa detenuti e visitatori.
Florence sorge in un deserto dove crescono solo i cactus, ad
un'ora
d'auto a sud-est di Phoenix. All'orizzonte si stagliano le
Superstition
Mountains, che devono il nome ai sogni infranti di centinaia di
cercatori
d'oro. Ad est, la valle sterminata e' chiusa dalle alture delle
riserve
Apache. In mezzo ci sono le reti altissime e il filo spinato di
una
quindicina di istituti di pena. E' dalla fine dell'800 che
l'Arizona
concentra i suoi detenuti a Florence ed e' dal 1910 che sempre
qui li
giustizia.
Un tempo il metodo era l'impiccagione, cancellata nel 1930 dopo
l'orrore
dell'esecuzione della prima donna condannata a
morte nello stato, Eva Dugan, che resto' decapitata. Adesso si
uccide con l'iniezione letale e, piu' di rado, con la camera a
gas.
Le prigioni di Florence sono piu' o meno accessibili secondo la
pericolosita' dei detenuti. Il carcere piu' nascosto e protetto
di tutti e'
l'Eyman Complex e al suo interno, l'unita' piu' isolata e
blindata e' la
Special Management Unit II (SMU- II), dove convivono 500
detenuti di massima
pericolosita' e i 128 condannati a morte dello stato. Per
entrarci occorrono
lunghi controlli al metal detector. Sono vietati i jeans, e'
vietato portare
praticamente qualsiasi oggetto (compresa carta e penna), sono
vietati soldi,
cosi' come gioielli che vadano oltre una fede e una catenina.
La lista dei
divieti e' lunga due pagine del regolamento.
''Le nostre condizioni di detenzione - racconta Rossi - sono
ogni anno
peggiori. Prima di essere trasferiti qui nella Smu-II, avevamo
vere e
proprie ore d'aria, potevo lavorare, la cella aveva perfino una
finestra.
Adesso sono sette anni che non vedo il sole (perche' la gabbia
all'esterno
e' coperta da un muro), la luna o la pioggia. Ho letto come
vivono a
Guantanamo. E' senza dubbio terribile, ma abbiamo le stesse
tute arancioni,
gli stessi servizi igienici in cella aperti alla vista di
tutti, le stesse
porte metalliche traforate, gli stessi letti saldati alla
parete. Di recente mi hanno condotto ad eseguire visite mediche e per la prima
volta, oltre ad
incatenarmi i piedi e bloccarmi le manette ai fianchi, mi hanno
fatto
indossare una sorta di guanto che copriva l'avambraccio. Mi
hanno spiegato
che le guardie, premendo un telecomando, con quell'affare
possono
trasmetterti una scarica di 15 mila volts. Ho passato tutto il
tempo
terrorizzato dall'idea che premessero il bottone per errore.
Dicono che
quando arriva la scarica, te la fai sotto, orini nei pantaloni
e poi
svieni''.
Secondo Rossi, il sistema penitenziario americano, specie in
stati del
sud particolarmente duri come l'Arizona, ''e' sempre piu'
punitivo, votato
alla vendetta. Non c'e' alcun aspetto rieducativo, ci sono
sempre meno
liberta'. Cosi' anche chi, a differenza di me, prima o poi puo'
uscire, si
trova cosi' tagliato fuori dalla societa' che alla fine finisce
per
commettere gli stessi sbagli e torna dentro. In questo modo il
business
carcerario mantiene in vita se
stesso''.
Il 'business', come lo chiama Rossi, in effetti negli Usa e'
diventato
di dimensioni smisurate. Dalle 200 mila persone che si
trovavano in carcere
negli Usa nel 1973, si e' passati oggi a due milioni, che
costano al paese
ogni anno 55 miliardi di dollari. Gli Usa imprigionano gente ad
un ritmo 14
volte superiore al Giappone, 8 volte la Francia e sei il
Canada. Ogni anno vengono rilasciate dalle carceri 600 mila persone che
quasi sempre non
vi hanno imparato niente e che molto spesso vi tornano. In
tutto, secondo
stime recenti, 13 milioni di americani, il 7% della popolazione
adulta,
hanno trascorso del tempo in una cella almeno una volta nella
vita.
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