Comunità di Sant

Le Frontiere del Dialogo:
religioni e civilt� nel nuovo secolo

Meeting Internazionale Uomini e Religioni - Barcellona 2-4 settembre 2001


 Luned� 3 Settembre 2001
Palau de la Generalitat, Sal� de San Jordi
Il sistema mondo tra ordine e caos

Paul Grossrieder
Direttore Generale della CICR, Svizzera

   


Per la mia esperienza e i miei compiti, io non sono un conoscitore delle violenze urbane, n� della crescente criminalit� generale, n� delle violenze che caratterizzano le manifestazioni antiglobalizzazione. Rivolger� piuttosto la mia attenzione ad alcune caratteristiche e forme della violenza assunte dalla guerra dopo la guerra fredda, in Occidente in particolare.

1. Dopo la guerra fredda, l�annuncio di un nuovo ordine internazionale

Cominciamo da due citazioni impregnate d�ottimismo e d�idealismo. La prima � del presidente G. Bush (padre) nell�ottobre 1990: �Noi abbiamo la visione di una nuova collaborazione fra le nazioni che trascender� la guerra fredda. Una collaborazione fondata sui principi e la supremazia del diritto e sostenuta da una divisione equa tanto dei costi che dell�impegno. Partenariato che avr� come fine pi� democrazia, pi� prosperit�, pi� pace, e meno armamenti�.

La seconda, del presidente democratico Clinton, � meno conosciuta, ma di medesima ispirazione, anche se pronunciata tre anni pi� tardi: �In un�era caratterizzata da nuovi pericoli e nuove possibilit�, il nostro primo obiettivo deve essere di allargare e rafforzare la comunit� mondiale delle democrazie fondate sul mercato. Durante la guerra fredda ci siamo sforzati di fare blocco contro il pericolo che minacciava la sopravvivenza delle istituzioni libere. Noi oggi vogliamo allargare il cerchio delle nazioni che vivono sotto queste istituzioni libere, perch� noi sogniamo il giorno in cui le opinioni e le energie di ciascuno potranno esprimersi pienamente in un mondo di democrazie fiorenti, che coopereranno le une con le altre e vivranno in pace�,

Contrariamente a queste due dichiarazioni, la fine della guerra fredda non � stata seguita da un periodo di pace dominato dal diritto, ma da guerre, non solo nei paesi dell�emisfero sud, ma anche in Occidente, nei Balcani e in Cecenia in particolare. Mai degli eserciti occidentali erano stati cos� attivi dalla fine della Seconda Guerra mondiale.

Non c�� in questo niente di stupefacente, perch� di fatto tutti i periodi di transizione fra la fine di un sistema internazionale e l�inizio di uno nuovo sono stati dei periodi perturbati. Ogni volta che le entit� che formano un ordine internazionale cambiano carattere, segue un periodo di perturbamenti. La Guerra dei Trent�anni deriv� in gran parte dal passaggio dalle societ� feudali, fondate sulla tradizione e aspiranti all�universalit�, al sistema degli Stati moderni che poggiava sulla ragion di Stato. Le guerre della Rivoluzione francese segnarono la transizione verso lo Stato-nazione, definito da una comunit� di lingua e di cultura. Quelle del XX secolo sono state causate dalla disintegrazione dell�Impero Asburgico e di quello Ottomano, la contestazione dell�egemonia europea e la fine del colonialismo. Ad ogni transizione, quello che era stato dato per acquisito � andato in frantumi.

2. Un mondo unipolare

La fine della guerra fredda ha fatto degli Stati Uniti d�America la sola ed unica potenza dominante. L�esistenza di questa unica superpotenza fa del mondo un sistema �unipolare� ma che non garantisce di per s� un ordine mondiale. L�istituzione di un sistema di sicurezza generale supporrebbe una volont� determinata dalla superpotenza di lanciare delle operazioni di pacificazione, ogni volta che il sistema si trova in pericolo. Ora, anche se questo � stato il caso dopo l�invasione del Kuwait da parte dell�Iraq, la superpotenza � piuttosto restia ad intervenire militarmente per rimuovere le vere minacce all�ordine mondiale. Nella condizione attuale di funzionamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, queste ultime sono totalmente paralizzate se uno dei membri permanenti esercita il suo diritto di veto. Di conseguenza, dal punto di vista della sicurezza internazionale, l�atteggiamento della superpotenza controlla anche le decisioni politico-militari dell�ONU.

Poich� la potenza dominante � in linea di massima molto esitante ad intervenire, il campo � abbastanza libero per numerosi �piccoli� conflitti interni, rappresentati in Occidente dai conflitti dei Balcani e del Caucaso. Questo tipo di guerre � provocato, anche grazie all�indebolimento delle strutture statuali, da gruppi animati da interessi legati a diversi traffici e mescolati ad impulsi etnici e religiosi. Fenomeni simili si sono gi� osservati uscendo dalla Prima Guerra mondiale, ugualmente favoriti dall�incapacit� d�intervento d�una grande potenza, nelle zone di confine dei Paesi Baltici, nella Polonia del Trattato di Versailles, in Ucraina e nel Caucaso, cos� come nella Turchia nascente. Non dimentichiamo comunque che noi viviamo in tempi senza minacce di contrapposizioni fra potenze forti economicamente e militarmente e in una tranquillit� che non � imposta dall�una o l�altra di queste potenze. L�assenza di forti contrasti fra grandi potenze, in altre parole fra Stati, che per ben due volte in passato si sono trasformati in guerre mondiali, � una novit� che non si pu� sottovalutare. In compenso, il vuoto creato da una grande potenza passiva e dall�insigne debolezza politico-militare delle Nazioni Unite favorisce numerosi disordini violenti del tipo di quelli dei Balcani.

Le guerre contemporanee dei Balcani, che si sviluppano su un fondo di odio etnico e religioso, sono le prime che, in Occidente, seguono alla guerra fredda. La guerra del Kossovo, in particolare, dimostra dei cambiamenti nella natura della guerra, che Eric J. Hobsbawn ha cos� sintetizzato: �La novit� nella situazione dei Balcani, � che la linea di separazione fra conflitti interni e conflitti internazionali � scomparsa o tende a scomparire. In altre parole, la differenza fra guerra e pace, stato di guerra e stato di pace, si � ugualmente ridotta.� Questa cancellatura del limite fra guerra e pace � arrivata fino alla negazione della situazione di guerra da parte degli intervenienti stranieri, anche se ci sembra pi� che strano non vedere nel bombardamento di un altro stato un atto bellico. Altri hanno ribattezzato questo conflitto �guerra umanitaria�, matrimonio molto difficile � ai miei occhi impossibile � fra due termini contraddittori.

3. Il riemergere della violenza anarchica

Questo tipo di guerra del dopoguerra fredda, cos� come quella del Caucaso, denota un�evoluzione tipica dei conflitti armati e delle violenza che � loro intrinseca. Tutto avviene come se le nostre societ� democratiche fossero sempre meno capaci di affrontare le minoranze violente al loro interno e i conflitti violenti all�estero. Il problema si pone pi� in termini di tensioni fra societ� che fra Stati.

D�un tratto, la nozione di �forza� diventa ambigua in un mondo nel quale le distinzioni, in altri tempi nette, divengono sfumate. L�opposizione dei blocchi � poco netta, i limiti che separavano il nazionale e l�internazionale, lo Stato e la societ�, il pubblico e il privato, il politico e l�economico, la criminalit� organizzata e la guerra civile, non sono pi� molto netti. In un mondo cos�, la nozione di guerra � sostituita da quella di �intervento�, che consiste nell�impiegare efficacemente una forza limitata per far cessare dei conflitti distanti. Un tale intervento non � tanto giustificato dagli imperativi dell�interesse nazionale quanto dall�imperativo ambiguo dei principi universali o dell�ordine internazionale.

Bench� siano gli Stati che, in primo luogo devono ubbidire a questi imperativi, essi sono sempre pi� rimessi in discussione dalla riemersione politica della comunit� mondiale, da un parte, e dall�anarchia, tanto interna che transnazionale, dall�altra. P.Hassner vede in questa evoluzione un ritorno al Medioevo con al tempo stesso la ricomparsa simultanea della legittimit� universale e della violenza privata.

Le guerre dei Balcani e del Caucaso settentrionale illustrano bene questa evoluzione. La guerra che contrappone fra loro degli Stati � in declino. Essa � sostituita sia dall�anarchia violenta sia dall�esercizio di una forza limitata e disciplinata al servizio della comunit� mondiale che lotta contro la violenza interna e transnazionale.

Questo sfumare del limite fra guerra e pace ha come effetto di prolungare i periodi di insicurezza per i civili e pone ai sistemi di sicurezza dei problemi inediti.

Questi conflitti non hanno molto a che vedere con gli attori della vulgata clausewitziana: eserciti, generali e popoli che salgono alla riscossa. Come nota il politologo Dominique David, �si tratta di una guerra non stabilita (lo stato assente o che fatica a decidere), � smilitarizzata (con gli eserciti che cedono il posto a dai sistemi feudali o a dei gruppi armati in continua metamorfosi), � e infine decivilizzata (senza riferimenti ai codici giuridici e morali che si presume inquadrino, con successo variabile, i conflitti armati dei grandi paesi d�Occidente): ma sempre la guerra�. D�altronde le guerre esprimono in maniera pi� brutale gli impulsi profondi di violenza delle societ�, la lotta senza fine per la sopravvivenza e il gusto del teatro cruento. Questi conflitti sono favoriti dalla liquidazione degli eserciti dell�Est europeo.

Questo doppio uso della violenza armata ha determinato nei nostri paesi un curioso e contraddittorio approccio alla guerra. Agli altri la guerra barbara, selvaggia, sanguinosa, a noi la guerra ben educata e civilizzata. Ideale di una guerra onesta ed efficace. Onesta perch� si appoggia su un embrione di morale comune e condivisa. Efficace perch� fa uso di mezzi tecnici nelle mani di alcune potenze ricche che potranno ottenere degli effetti decisivi tenendosi fuori del campo di battaglia (bombardamenti da altitudini molto elevate, �guerra d�informazione�) e controllare precisamente l�escalation della violenza. La guerra del Kossovo fu una buona prova di questo approccio contraddittorio. Ma questo nuovo tipo di guerra che non vuole dire il suo nome � presto ripresa dalle realt� crudeli di ogni guerra.

Questo genere di conflitto �pulito� scaturisce dal sogno di risolvere tecnicamente i problemi politici che sono inerenti alle nostre societ�. Si tratta di un sogno sostenuto dalla convinzione di condurre una �guerra giusta� ma che, tuttavia, � la novit� della fine del secolo scorso in materia di guerra.

4. La violenza attuale e il fattore religioso.

In ragione di tesi molto diffuse, come quella di S.Huntington sulla guerra di civilt�, notiamo ancora rapidamente che se si confrontano queste tesi ai fatti, il ruolo delle idee e delle ideologie nelle guerre recenti appare debole. Solo quelle fazioni delle religioni che non riconoscono la separazione fra Chiesa e Stato, o piuttosto che sono sostenitrici di un amalgama totale fra queste due sfere della vita sociale, sono ancora causa notoria di violenze. � il caso per esempio di una certa ortodossia e di un certo Islam. Ma in questi due casi, non � la religione in quanto tale che pu� essere autrice di conflittualit�, ma la subordinazione a delle comunit� basate su queste religioni. Questi fenomeni, al di l� dei credo religiosi, contribuiscono alla �crescita del nazionalismo, alla disgregazione o quanto meno all�indebolimento di certi Stati, e al ruolo crescente di gruppi transnazionali alcuni dei quali attizzano le guerre civili�. Nell�insieme, bisogna concludere che noi non assistiamo a un conflitto globale di civilt�, n� a delle nuove crociate fra coalizioni fondate sulla loro appartenenza alle grandi religioni.

5. Il fallimento della lotta contro queste violenze.

Combattere questi conflitti � tanto pi� difficile in quanto i loro fautori nascono dallo stesso decadimento delle istituzioni nazionali. Questo indebolimento degli stati � rafforzato dall�apertura delle economie e delle societ�, sintetizzata dal termine mondializzazione. La circolazione delle tecnologie e delle armi ne � stata facilitata.

I meccanismi di sicurezza regionale esistenti (l�OCSE e l�UE per l�Europa) non si sono ancora adattati a questa evoluzione della violenza bellica e, di fatto, non sono stati operativi nei conflitti recenti. Non hanno reagito che tardi e fiaccamente alle guerre che sono esplose da una decina d�anni. Negli ultimi tempi la guerra ha ricordato ai rassicuranti profeti della fine dei conflitti il suo ruolo di ridefinizione delle unit� e dei teatri politici, fra gli altri nei Balcani.

Ci sembra dunque che attualmente non assistiamo per niente a un declino delle violenze belliche in occidente, ma ad un�evoluzione delle forme della guerra, che assume degli aspetti paradossali. La guerra, anche in occidente, non ne esce meno presente e attiva; sembra ancora promessa a un bell�avvenire.

Di fronte al persistere della guerra che non scompare, anche in Occidente, vale ancora la pena di rivedere e rinforzare i sistemi di sicurezza regionale e mondiale e di perfezionare i mezzi per limitarne gli effetti inumani. �Sogniamo dunque di circoscrivere la guerra, se non possiamo ucciderla�.