Comunità di Sant

Summit Islamo Cristiano
Roma, 3-4 ottobe 2001


 Mercoled� 3 Ottobre 2001
Centro Congressi di Via di Porta Castello 44
Seduta inaugurale

Carlo Maria Martini
Cardinale, Arcivescovo di Milano, Italia

   


Anch�io ringrazio vivamente la Comunit� di Sant�Egidio e ringrazio tutti i presenti per avere organizzato questo incontro in questo momento molto doloroso per quanto � avvenuto e insieme gravido di pericoli per quanto potrebbe avvenire; � un momento quindi delicato, difficile, trepido, nel quale occorre molto vigilare, anche sul linguaggio.

Il tema che vorrei brevemente trattare lo riassumo cos�: le religioni non giustificano n� la violenza n� il terrorismo, e anzi devono collaborare per il rispetto reciproco e per la pace, e per uno sviluppo globale nella giustizia e nella solidariet�.

Per entrare pi� intimamente nel tema vorrei lasciarmi ispirare da qualche parola della Bibbia, che cito dai Salmi; (Ps 85) �Ascolter� che cosa dice Dio, il Signore: Egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore� e ancora �Misericordia e verit� si incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verit� germoglier� dalla terra e la giustizia si affaccer� dal cielo�. E vorrei ancora citare dal Vangelo secondo Matteo due beatitudini: la prima �Beati i miti, perch� erediteranno la terra� e la seconda �Beati gli operatori di pace, perch� saranno chiamati figli di Dio�. E ancora, sempre dal Vangelo secondo Matteo, dal Discorso della Montagna, vorrei citare le parole seguenti �Avete inteso che fu detto agli antichi: �Non uccidere; chi avr� ucciso sar� sottoposto a giudizio� Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sar� sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello �stupido� sar� sottoposto al Sinedrio, e chi gli dice �pazzo� sar� sottoposto al fuoco della Geenna.

Dunque la violenza, non solo quella delle mani, viene condannata, ma anche quella della mente e del cuore. E di fronte a questi brani della Scrittura comprendiamo ancora meglio la grande, drammatica sfida di questi giorni: stiamo infatti vivendo in questo inizio di millennio una gravissima crisi dell�umanit�. Le persone di buona volont� sono poste di fronte a una tragica sfida, una sfida che si ripresenta purtroppo a intervalli quasi regolari, nel cammino della civilt�. E� una sfida che l�umanit� ha vissuto anche in tempi recenti, come ad esempio dieci anni fa, all�epoca della guerra del Golfo. E in decenni ancora precedenti, come ad esempio al tempo di Papa Giovanni XXIII e della crisi di Cuba. Emerge cio� la domanda drammatica di come riuscire a spegnere con decisione e fermezza ogni focolaio di terrorismo omicida senza, al tempo stesso, moltiplicare e ingigantire le reazioni a catena della violenza e dell�odio.

E proprio per questo il Papa nell�udienza di mercoled� 12 settembre, proprio il giorno dopo i tragici eventi degli Stati Uniti, dopo aver espresso il suo profondo dolore per gli attacchi terroristici che avevano insanguinato l�America, dopo aver espresso la sua partecipazione al lutto di tante famiglie, e dopo aver detto la sua indignata condanna di un cos� inqualificabile orrore, ha riaffermato che mai le vie della violenza conducono a vere soluzioni dei problemi dell�umanit�, e ha proclamato che, se anche la forza delle tenebre sembra prevalere, il credente sa che il male e la morte non hanno l�ultima parola.

Dunque la speranza � che non vinca il buio della notte, � che non trionfino le tenebre della morte; ma questo avverr� soltanto se ciascuno di noi, nel vivere quotidiano e nell�ambito delle sue responsabilit�, anche all�apparenza nascoste e insignificanti, sar� capace di bandire ogni violenza, anche soltanto nelle parole e nei sentimenti. E sar� importante, nella comprensibile ansia di una legittima difesa e nella giusta volont� di disarmare e di scoraggiare ogni possibile atto di terrorismo, agire nella ragionevolezza e nel rispetto della complessit� dei dati, senza facili semplificazioni di volti del nemico, senza affrettate creazioni di capri espiatori che possano soddisfare una volont� di rivalsa.

La violenza e il terrorismo vanno isolati e disarmati con energia e determinazione, ma proprio per questo non devono essere confusi con contesti culturali, religiosi o etnici molto pi� ampi, che solo una riduttiva ricerca di bersagli immediati da colpire potrebbe ritenere responsabili diretti di tanta crudelt�. E anche nel conflitto che tuttora insanguina il Medio Oriente occorrer� coraggiosamente e urgentememente mettere mano a iniziative di dialogo e di pace, di sospensione delle ostilit� e di moltiplicazione di gesti di mutuo ascolto, ignorando ogni volont� di rivalsa che genera soltanto nuove violenze.

Ed � in tutto questo che � essenziale il ruolo delle religioni: anzitutto nel rispetto mutuo e reciproco. E vorrei qui servirmi delle parole di Papa Giovanni Paolo II, che il 24 settembre, parlando al mondo della cultura in Kazakhstan, diceva cos�: �Desidero riaffermare il rispetto della Chiesa Cattolica per l�Islam, l�autentico Islam, l�Islam che prega, che sa farsi solidale con chi ha bisogno; memori degli errori del passato anche recente, tutti i credenti devono unire i loro sforzi affinch� mai Dio sia fatto ostaggio delle ambizioni degli uomini. L�odio, il fanatismo e il terrorismo profanano il nome di Dio, e sfigurano l�autentica immagine dell�uomo�. E per questo nello stesso viaggio, il giorno seguente, il Papa lanciava un fervido appello a tutti, cristiani e seguaci di altre religioni, affinch� cooperino, per edificare un mondo privo di violenza, un mondo che ami la vita e che si sviluppi nella giustizia e nella solidariet�: �Non dobbiamo permettere che quanto � accaduto conduca ad un inasprirsi delle divisioni; la religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto. E la pace, dunque, pu� essere costruita solo sulle solide fondamenta del rispetto reciproco, della giustizia nelle relazioni tra comunit� diverse e nella magnanimit� da parte dei forti.� Fin qui le parole del Papa.

E mi domando � pi� in concreto � che cosa significa ci� nell�attuale situazione mondiale, non soltanto cagionata da queste sofferenze, ma in cammino verso quella che viene chiamata la globalizzazione, che spesso viene considerata come causa remota di conflitti, di impoverimenti, di rabbie di popoli, di mutua lotta gli uni contro gli altri. Ed � per questo che se vogliamo raggiungere i risultati che ho indicato occorre dare vita � come ha ricordato pi� volte il Santo Padre � a una globalizzazione animata e sorretta da una cultura del dialogo, a una globalizzazione della solidariet�. Ed � qui che appare l�urgenza e la decisivit� di queste tematiche non solo culturali, ma anche economiche, finanziarie e politiche, in ordine alla realizzazione di quella pace di cui tutti oggi, pi� che mai, avvertono il richiamo e il bisogno, nella speranza che il nostro tempo, dopo essere stato provato da efferati atti di terrore e di morte, possa ancora conoscere giorni di serenit� e di pace.

E in questo senso ci si deve guardare da ogni semplificazione e da ogni generalizzazione, nella convinzione che la denuncia e il contrasto del fondamentalismo violento non pu� mai condurre a ingiuste identificazioni o confusioni tra ideologia della violenza e della guerra e religioni, e nemmeno pu� portare all�abbandono del dialogo e all�abbandono della ricerca della reciproca comprensione, anzi di una sincera collaborazione. Si tratta di riaffermare e di convincersi che la violenza � solo devastatrice, � solo distruttiva: non genera nulla di positivo, non d� niente, mentre toglie tutto, e non � mai la strada per giungere ad un�equa soluzione dei problemi esistenti. E vorrei qui ricordare alcune parole di papa Paolo VI, gi� citato, che diceva che �la violenza � l�esplosione di una cieca energia che degrada l�uomo il quale vi si abbandona, abbassandolo dal livello razionale a quello passionale. Essa � antisociale, conduce alla rivoluzione, e la rivoluzione alla perdita della libert��. Ed ancora: �La violenza non � fortezza; essa non esalta, ma umilia l�uomo che vi fa ricorso�. E si tratta allora, in definitiva, di combattere radicalmente la violenza, dando spazio alla responsabilit� di chi, riconoscendo nell�altro un volto che lo interpella, si apre all�impegno ed al servizio verso di lui.

A tutto questo devono collaborare le religioni nel loro impegno per la pace. E per questo deve nascere dalle religioni, sempre di pi�, la disponibilit� al dialogo, franco e rispettoso, con cui affrontare le diverse questioni, studiandone le cause, i metodi, le dinamiche e i fini. Dunque l�edificazione della pace, in un mondo sempre pi� globalizzato, comporta la coltivazione di un dialogo vero e la diffusione di un�autentica cultura del dialogo. Le questioni controverse devono essere risolte non con il ricorso alle armi, ma con i mezzi pacifici della trattativa e del dialogo, nella convinzione che questa linea d�impegno ben risponde alle fondamentali esigenze della solidariet� e della pace a cui gli esseri umani aspirano con crescente consapevolezza, e che la pace pu� essere costruita solo sulle solide fondamenta del rispetto reciproco, della giustizia, nelle relazioni fra comunit� diverse.

Il dialogo, dunque, � atteggiamento tipico degli spiriti rispettosi delle idee altrui, alieni da ogni dogmatismo ed integralismo, alieni dal litigio, dalla sopraffazione e dal sospetto. Il dialogo suppone la ricerca di ci� che � vero, buono e giusto, per ogni uomo, per ogni gruppo e per ogni societ�, e di ci� che � e resta comune a tutti gli uomini, anche in mezzo alla contrapposizione. Il dialogo esige l�apertura e l�accoglienza; consiste nella ricerca del bene con mezzi pacifici e volont� costante di ricorrere a tutte le possibili formule di negoziazione, di mediazione, di arbitrato, per far s� che i fattori di avvicinamento prevalgano sui fattori di divisione e di odio. Il dialogo � espressione del riconoscimento della dignit� inalienabile di ogni uomo e di tutti gli uomini, ed � proprio il riconoscimento della dignit� inalienabile di ogni uomo e donna e di tutti gli uomini la chiave di volta per la realizzazione di una pace autentica. Se tutti gli uomini sono figli di Dio, creati da Dio, devono riconoscersi come fratelli e guardarsi in faccia l�un l�altro con accoglienza, con amore e con spirito di responsabilit�.

Si tratta, perci�, ancora una volta e sempre, di riconoscere e riaffermare e promuovere la centralit� dell�uomo, considerato nella sua integralit� e nella sua dignit� inviolabile, e quindi riconosciuto ed onorato come persona. La sfida dunque pi� profonda, quella a cui devono rispondere anche tutte le religioni, � quella di dare corpo ad una convivenza che sia a servizio dell�uomo, di ciascuno e di tutti, e a una globalizzazione attuata mediante una autentica cultura dello scambio e secondo un vero atteggiamento di dialogo che rispetti e promuova i diritti sacrosanti ed inalienabili dell�uomo, non solo per alcuni, ma per tutti, ad iniziare dai pi� deboli e dai pi� poveri.

Ci auguriamo davvero che le religioni, anche partendo da questi fatti drammatici, possano contribuire a questa atmosfera di dialogo e di pace.