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Religioni e culture
tra conflitto e dialogo

Incontro Internazionale
Uomini e Religioni
Palermo 1-3 settembre 2002

Comunit� di Sant'Egidio

Arcidiocesi di Palermo

   

Marted� 3 Settembre 2002 - Teatro Massimo, sala principale
Immigrazione e futuro

Jean-Pierre Ricard
Arcivescovo, Presidente della Conferenza Episcopale Francese
  


Affronto il tema della nostra tavola rotonda a partire dalla situazione francese, che � il mio punto abituale di vita e di osservazione. Lo far� facendo anche riferimento alla riflessione e all'impegno dell'episcopato francese da un certo numero di anni su questa questione dell'immigrazione. Come punti di riferimento, cito due documenti pubblicati dal Comitato episcopale delle Migrazioni:

-Un Peuple en Devenir. L'Eglise et les migrants. [Uno popolo in divenire] 1995

-A la Rencontre de l'autre. L'immigration, un rendez-vous pour la foi. [Incontro all'altro. L'immigrazione, un appuntamento per la fede] 1997

Circa cinque mesi fa, il primo turno delle elezioni presidenziali vedeva una forte crescita del voto di estrema destra (circa un francese su 4 o su 5). La presenza di uno dei suoi leaders al secondo turno ne sarebbe stata una espressione tanto stupefacente, quanto inaspettata. Il dibattito politico era girato essenzialmente attorno ai problemi della sicurezza. Ora, questi problemi, posti spesso a partire dalle periferie o dai quartieri difficili o a partire da giovani in difficolt� di integrazione, si intrecciano con problemi legati all'immigrazione, Si intersecano cos� nel dibattito: la denuncia di difficolt� veramente reali ed amalgami e clich�s o slogans degradanti. Tutti gli ingredienti di un discorso xenofobo, se non apertamente razzista, erano presenti. Di qui viene la mia domanda: come pensare all'immigrazione e quale politica bisogna promuovere affinch� i fenomeni migratori nella nostra societ� non siano il terreno prediletto per la xenofobia ed il razzismo?

Io vorrei sottolineare anzitutto che � importante avere su questo problema alcune convinzioni chiare, Senza di esse, si rischia rapidamente di abbassare le braccia davanti alle difficolt� che si incontrano e molto rapidamente rendersi vulnerabili alle reazioni spontanee dell'opinione pubblica.


1.Ogni uomo ha il diritto di vivere nella sua patria

Le migrazioni possono avere molteplici cause ed essere vissute in maniere molto differenti. Alcuni possono andare all'estero per delle ragioni di studio, di professione, di commercio, o altro. Non dimentico cos� che pi� di un milione e mezzo di francesi vivono all'estero. Ci� che mi sembra pi� problematico � per� l'immigrazione non veramente scelta, l'immigrazione che � legata ad una situazione economica catastrofica del Paese di origine o anche ad una situazione di guerra civile o di conflitto interno (D'altronde in un certo numero di Paesi le due cose sono legate). Un uomo vorrebbe vivere, lavorare a casa sua. Ma non pu� non pu� pi�: "Il disequilibrio economico e sociale attuale, che alimenta in gran parte le correnti migratorie, non deve essere visto come una fatalit�, ma come una sfida al senso di responsabilit� del genere umano" (Giovanni Paolo II, Messaggio per Giornata mondiale dei Migranti, 1996). Non si pu� riflettere sull'immigrazione senza riflettere sulle cause di questa immigrazione, sia che siano legate a fattori interni dei Paesi di emigrazione o a fattori esterni, connessi con la situazione internazionale. Citiamo in particolare la marginalizzazione economica e finanziaria di un numero sempre pi� grande di regioni del mondo e la pauperizzazione, non soltanto di molti uomini, ma anche di Stati interi. Il fossato tra il Nord ed il Sud cresce, come le disparit� nel Nord e nel Sud. E' importante affrontare questa sfida per un nuovo ordine economico mondiale che deve essere promosso.


2.Ogni persona ha il dirittodi emigrare, specialmente se � privata della possibilit� di vivere nel proprio Paese con la propria famiglia

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo afferma, all'art. 13,1: "Ogni persona ha il diritto di circolare liberamente e di scegliere la sua residenza all'interno di uno Stato" e, all'art. 13,2: "Ogni persona ha il diritto di lasciare ogni Paese, compreso il suo, e di tornare nel proprio Paese". Ragione di pi� quando questa persona � minacciata nella sua vita, quando � stretta inesorabilmente dalla miseria e della fame. Ci sono ricchezze e beni a sufficienza nel mondo per nutrire ed aiutare tutta l'umanit�. Ora, queste ricchezze, in una prospettiva cristiana, sono state donate perch� ciascuno possa vivere. Il diritto alla propriet� privata � esso stesso condizionato e limitato da quest'altro diritto, ancor pi� fondamentale. E' quel che viene chiamato "la destinazione universale dei beni": "Dio ha destinato la terra e tutto ci� che contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, cos� che i beni della creazione debbono affluire in maniera equa nelle mani di tutti� Quanto a colui che si trova nell'estrema necessit�, egli ha il diritto di procurarsi l'indispensabile a partire dalle ricchezze altrui. Davanti ad un numero cos� grande di affamati nel mondo, il Concilio insiste presso tutti gli uomini e presso le autorit� affinch� si ricordino di questa parola dei Padri: "d� da mangiare a colui che muore di fame, perch�, se non gli dai da mangiare, tu lo uccidi", e affinch�, secondo le possibilit� di ognuno, essi condividano e utilizzino veramente i loro beni per procurare anzitutto agli individui e ai popoli i mezzi che permetteranno loro di aiutarsi da loro stessi e di svilupparsi" (Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa nel mondo attuale, n. 69). Davanti alla situazione internazionale, non ci si pu� dunque accontentare di conservare il proprio piccolo spazio privato, la propria situazione personale o nazionale. C'� un dovere di solidariet� internazionale. Non si possono chiudere gli occhi e desiderare di rendere impenetrabili le proprie frontiere, con il pretesto che 'non si pu� mica accogliere tutta la miseria del mondo'.


3.Ogni integrazione di popolazione immigrata deve essere pensata e condotta in maniera responsabile.

Non � possibile in ogni caso accontentarsi di bei principi, pur generosi essi siano. Una riflessione etica (e cristiana) sull'immigrazione deve confrontarsi anche con la realt� e le sue difficolt�, le sue pesantezze, le sue resistenze. Ora, � facile constatare che l'accoglienza dell'altro non � una cosa spontanea. L'altro con la sua differenza fa paura. Spontaneamente le differenze che eglie sprime mi sembrano aggressive, mi sembrano minacciare la mia indentit�, il mio equilibrio interiore, il mondo che mi � familiare. Lo straniero viene allora respinto. Quel che accade ad un individuo, accade a maggior ragione ad un gruppo umano, una popolazione immigrata. SI parler� allora di 'invasione' di presenza 'deflagrante' di gruppi 'inassimilabili', di pericoli per il tessuto sociale o per la coesione nazionale. La xenofobia (a volte il razzismo) arriva cos�.

Insieme con coloro che vengono accolti e che intendono condividerne la vita, il Paese che accoglie deve pensare condizioni di una integrazione la pi� armoniosa possibile. Ci� invita all'elaborazione di un modo di vivere insieme in cui ciascuno tenga conto dell'universo culturale dell'altro, in cui siano tutti accettati allo stesso tempo come uguali e diversi, in cui ci si possa arricchire di tradizioni differenti (si parla allora di "metissage"). Due falsi modelli di integrazione sono da evitare: il 'comunitarismo', in cui ciascuno si chiude nel suo gruppo, il modello 'giacobino' in cui si prende in considerazione solo l'individuo con i suoi diritti e i suoi doveri, senza accorgersi che questo individuo ha delle radici, una lingua e un universo culturale (e talvolta religioso) che lo caratterizza.

L'integrazione passa tradizionalmente attraverso un certo numero di fattori: il lavoro, la struttura familiare, la scuola, la casa, la presa in considerazione di fattori culturali e religiosi, la cittadinanza. Ora, bisogna riconoscere che alcuni di questi fattori oggi sono in difficolt� nel giocare il loro ruolo: il lavoro a causa della disoccupazione, la scuola che non pu� sostenere da sola tutta la responsabilit� dell'integrazione, la casa con gli assembramenti in quartieri di cui si accentuano cos� le gi� pesanti difficolt�, una struttura familiare divenuta fragile, dei fattori culturali e religiosi che si comincia appena a prendere in considerazione (con anche dei problemi e delle apprensioni: si pensi ad esempio all'integrazione dell'Islam in Francia). Se non si fa uno sforzo nazionale per dare una risposta concreta a questi problemi economici e sociali, la violenza non potr� che prosperare, Niente � peggio per una popolazione che non avere un futuro, non avere un senso alla propria vita e alla propria presenza in una societ�. Alla violenza degli uni si rischia di rispondere con la violenza degli altri (dispositivi di sicurezza e repressivi - discorsi xenofobi).

A questa messa in opera di fattori di integrazione deve poi aggiungersi una necessaria informazione sulla situazione reale (e non sui fantasmi) dell'immigrazione in Francia, sulla falsit� di certe idee e di certi slogans. Al di l� dell'informazione, � proprio a tutta una educazione che bisogna fare appello: l'apprendimento dei una apertura all'altro, agli altri, l'appartenenza ad una nazione che si definisce non contro gli altri popoli, ma in relazioni fraterne e solidali con essi.

Io penso che i credenti, a partire dalle loro proprie tradizioni (e per quel che mi riguarda la tradizione cristiana) e delle loro proprie esperienze (ad esempio l'esperienze di una solidariet� nei quartieri, o quella dei cappellani delle diverse etnie) possono portare una collaborazione preziosa a questa riflessione e a questa azione, Il problema � importante oggi. E rischia di essere vitale e decisivo per il futuro.