Aachen 2003

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Luned� 8 Settembre 2003 - Eurogress
Europa e Africa: un nuovo pensiero solidale

  
  

Jean-Fran�ois Leguil-Bayart
Centro di Studi e Ricerche Internazionali, Parigi
  

La politica dell�Unione Europea riguardo all�Africa porta l�impronta del paradosso. Sotto l�influenza di due Stati fondatori del Mercato comune, il Belgio e soprattutto la Francia, l�aiuto pubblico allo sviluppo � stato il primo elemento � e per lungo tempo il solo � di un embrione di �politica estera e della sicurezza comune� (PESC). Sono stati creati alcuni strumenti istituzionali, in particolare la potente Direzione Generale VIII e il FED. Sono stati accordati dei crediti non insignificanti e concesse delle preferenze commerciali, di cui l�Africa sub sahariana � stata la principale beneficiaria.

Malgrado ci� la politica dell�Unione Europea nei confronti del sotto continente rimane esigua e incoerente. Passiamo oltre le contraddizione del dispositivo istituzionale di cooperazione, le insufficienze o il peso delle procedure finanziarie, l�ipocrisia o l�irrealismo degli accordi commerciali. Ci� che � pi� grave in questa materia � l�incapacit� dell�Europa, lungo tutti gli anni Ottanta e Novanta, di proporre una strategia per uscire dalla crisi pi� realista e meno suicidaria dei programmi di aggiustamento strutturale preconizzati dal Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e, sia detto per inciso, largamente finanziati dagli stessi Stati europei, che sono azionisti di peso di queste istituzioni multilaterali. Bruxelles ha seguito a ruota: ha tentato di temperare gli eccessi dei neo liberali, con il successo che si conosce, finendo con il sostenere, brontolando, la gestione clientelare del �cortile di casa� della Francia al Sud del Sahara, costringendola alla fine a svalutare il Franco CFA nel 1994.

Ma l�Unione Europea � largamente venuta meno alle sue responsabilit� politiche rinunciando a concepire un nuovo modo di integrazione dell�Africa sub sahariana nell�economia internazionale, al posto del vecchio �patto coloniale�, rivangato senza fine, sotto la copertura della �cooperazione�. Essa ha contribuito a rompere quello senza ricostruire una relazione forte e funzionale con i suoi partner di un tempo. In effetti essi hanno perso molta della loro attrattiva nel nuovo contesto internazionale. Il lancio del partenariato euro mediterraneo e soprattutto l�allargamento dell�Unione Europea ai Paesi dell�Europa centrale ed orientale (PECO) hanno fatto perdere valore agli Stati sub sahariani, di cui bisogna dire d�altra parte che han fatto molto per �stancare� Bruxelles. In oltre la pace tra Israele e l�Egitto, con l�inizio del processo di pace in Medio Oriente, il suo fallimento e la vittoria per K.O. di Gerusalemme, la fine della Guerra Fredda, la caduta degli investimenti diretti stranieri in Africa e la diminuzione delle quote di mercato di quest�ultima, lo smantellamento dell� apartheid che rappresentava una grande ragione di mobilitazione su scala internazionale, hanno condotto a �declassare� il sub continente.

Naturalmente i diplomatici europei presenteranno le cose in modo diverso. Essi faranno valere il fatto che gli Stati membri dell�Unione hanno saputo superare le loro rivalit� tradizionali, d�origine coloniale, per avanzare di concerto nel Sud del Sahara, soprattutto nel campo delle operazioni di mantenimento della pace. Di fatto il riavvicinamento tra la Francia e la Gran Bretagna, in nome dello �spirito di Saint Malo�, � stato spettacolare e si � consolidato attraverso le visite congiunte dei ministri degli Esteri in alcuni Paesi o regioni simbolicamente molto sensibili da un punto di vista storico o politico, come la Costa d�Avorio, il Ghana, o i Grandi Laghi. E l�operazione Artemis a Bunia, � stata una prima europea di cui tutti si rallegrano. D�altra parte, chi non vede i limiti di queste iniziative? Gli stati membri dell�UE utilizzano l�Africa per fare dell� Europa a buon mercato, proprio perch� la posta in gioco � pressoch� inesistente. Questo � stato il caso della Francia e della Germania all�inizio degli anni Novanta, e non c�� voluto molto tempo perch� l�esperienza sia andata in fumo e Parigi abbia sacrificato allegramente i suoi impegni d�oltre Reno per salvare la faccia al suo eterno cliente, il generale Eyadema. E questo � oggi l�obiettivo tra la Francia e la Gran Bretagna, preoccupate di mantenere il dialogo e un minimo di collaborazione diplomatica in questo tempo di tempesta irachena. Ma gli avvicinamenti restano strettamente nazionali quando si tratta delle cose serie. E� cos� per gli sforzi di pace (o di guerra) in Costa d�Avorio e in Serra Leone. L afamosa operazione Artemis ne � essa stessa un esempio. Essa � stata sostenuta direttamente, militarmente e finanziariamente, dalla Francia, ed � stata resa diplomaticamente possibile grazie alle pressioni amichevoli che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno esercitato sui loro alleati ruandesi. Essa � frutto di una volont� transatlantica e triangolare tra tre Stati che si contrappongono in Medio Oriente e che erano preoccupati di preservare il futuro, molto pi� che di un piano sovrano dell�Unione Europea. Altre crisi, come quella della Guinea Bissau, che ha dato luogo a rudi confronti tra Lisbona e Parigi, hanno mostrato che le passioni e le concorrenze nazionali non tardano a rinascere e divenire parassitarie della politica europea nel Sud Sahara.

In definitiva il contrasto � vertiginoso tra, da una parte, l�inanit� della politica europea o i limiti degli approcci nazionali e bilaterali, e, d�altra parte, l�ampiezza dei problemi africani e il loro carattere inedito. Ad esempio, una delle preoccupazioni degli eserciti europei chiamati a partecipare all�Operazione Artemis, era quella di doversi eventualmente confrontare con soldati-bambini, e dunque correre il rischio di doverli uccidere. E alcuni dei militari francesi utilizzati nell�operazione Turquoise, nel 1994, sono stati letteralmente traumatizzati dalla scoperta del genocidio e della loro funzione di becchini in seguito alla epidemia di colera a Goma. Ma ci� � evidente nelle difficolt� pi� sistemiche. Come favorire dei negoziati di pace quando i movimenti armati sono impiantati in societ� su base familiare in cui prevalgono delle leadership casuali, fragili e non durature, che danno luogo ad una logica incessante di scissioni delle ribellioni? Come realizzare e istituzionalizzare dei colloqui e il mantenimento della pace quando questi sono presi in ostaggio dalla �politica della pancia� e rispondono prima di tutto alla legge del giorno per giorno? Come concepire una strategia di sviluppo quando le statistiche sono fantasmagoriche e quando l�economia reale � per la pi� parte informale? Come mettere un freno alle pandemie dell�AIDS e della malaria dopo aver smantellato i sistemi sanitari a causa della riduzione della spesa pubblica e aver rinunciato al DDT che ha liberato l�Europa del Sud dalla malaria? Come assumersi la responsabilit� della descolarizzazione di massa che produce la mobilitazione dei giovani combattenti e le scuole coraniche, ostruisce la modernizzazione economica del sub continente e rende semplicemente fantasiosa la stessa idea di �good governance� (buon governo) e della costruzione di uno �Stato di diritto�? Si potrebbe moltiplicare la lista delle sfide da affrontare. Essa � immensa e drammatica. E tuttavia l�Europa non dice nemmeno una parola. Essa pu� certo mettersi la coscienza a posto sottolineando che fa di pi�, molto di pi� che gli Stati Uniti e che paga non soltanto con i denari, ma anche di persona, inviando sul terreno truppe quando ci� le pare possibile. Di fatto l�intervento di qualche centinaia di soldati � sufficiente spesso a rovesciare � ad esempio in Sierra Leone � o a congelare � in Costa d�Avorio � il rapporto di forze sul terreno. Ma la ricostruzione di un Paese � un altro affare come provano proprio questi due casi, senza parlare dell�immenso Congo.

Ora, c�era una volta una superpotenza che non ha saputo assicurare il �servizio dopo la vendita� della sua implicazione nella lotta di liberazione nazionale in Afghanistan, nella guerra del Kuwait e nel conflitto del Medio Oriente. L�ammasso di frustrazioni e di collera che si sono accumulate man mano che marcivano queste situazioni, sotto gli auspici disinvolti degli Stati Uniti, � scoppiato improvvisamente l�11 settembre 2001. Per farvi fronte Washington si � lanciata in una nuova fuga in avanti. Si presagisce dove potr� condurre questo singolare itinerario in un orizzonte di una ventina d�anni.

Di fronte all�Africa sub sahariana l�Europa mostra la stessa leggerezza. Anch�essa si rifiuta di assicurare il �servizio dopo vendita� del Patto coloniale defunto e dei guasti dei piani di aggiustamento strutturale. Contrariamente a quel che essa esige dai PECO � la messa in opera di una doppia transizione verso la democrazia e l�economia di mercato � offrendole, pur nella confusione e negli equivoci, un�uscita verso l�alto � l�adesione all�Unione e l�entrata nella NATO � essa ha raccomandato una rivoluzione economica neo liberale, permettendo nei fatti la perpetuazione o la restaurazione autoritarie e bloccando nella maggior parte dei casi, le rivoluzioni politiche che sole avrebbero reso possibili le trasformazioni del tessuto produttivo. Facendo cos� essa ha condannato l�Africa alla generalizzazione delle rivoluzioni militari, sotto forma di guerre civili e di ingerenze incrociate para o proto coloniali, e delle rivoluzioni religiose, sotto l�algida delle sette o dei movimenti carismatici spesso oscurantisti. Ne consegue, oltre ad un degrado spaventoso delle condizioni di vita, una incontenibile emigrazione alla quale la �fortezza Europa� risponde ricorrendo alla coercizione burocratica e poliziesca.

Non c�� bisogno di essere dei grandi specialisti per sapere dove ci conduce questa politica da Arlecchino. La situazione attuale produce una o due generazioni di disperati senza cultura che avranno buone ragioni per divenire arrabbiati. Essa porta con s� anche il marasma economico, il rischio sanitario e ambientale, il che vuol dire, a medio termine, il ricorso alla azione violenta e alla minaccia balistica da parte degli Stati situati a portata dei missili del Vecchio continente e pronti a vendersi al migliore offerente. Sin d�ora il deterioramento della situazione sanitaria, il progresso della delinquenza, la deforestazione selvaggia, la brutalit� crescente dei conflitti, costituiscono degli indici che dovrebbero inquietare l�Europa e suggerirle che non rester� per sempre al riparo di queste turbolenze. In oltre la formazione di un apartheid crescente e gli ostacoli feroci messi alla circolazione delle persone metteranno rapidamente in pericolo le libert� pubbliche degli stessi europei.

A rischio di gravi delusioni si impone un sussulto. Bisognerebbe avere anche una vaga visione della politica che si vorrebbe intraprendere. La prima urgenza � quella della pace. Le crisi della Sierra Leone e della Costa d�Avorio, l�episodio dell�operazione Artemis a Bunia confermano che i paesi europei, o, pi� esattamente, due tra di loro, la Gran Bretagna e la Francia, sono i soli a poter ristabilire la pace sul terreno. Gli Stati Uniti rifiutano di impegnarsi, se non in alcuni gesticolamenti e alcune operazioni o finanziamenti occulti come nella regione dei Grandi Laghi e nel Corno d�Africa negli anni Novanta. E l�affidamento del mantenimento della pace a Paesi africani che sono parte in causa nei conflitti ha i suoi limiti, del resto gi� da tempo superati. Essendo la politica l�arte del possibile, � compito di Gran Bretagna e Francia di divenire capi fila di interventi, quando essi si rivelano inevitabili, a una doppia condizione: che queste operazioni di mantenimento o di restaurazione della pace vedano associati anche altri Stati europei e africani e che esse siano effettuate su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Allo stesso tempo l�Unione Europea dovrebbe sistematicamente sospendere i suoi aiuti finanziari all�insieme degli Stati africani protagonisti di conflitti per rendere la guerra pi� costosa della pace. I precedenti dell�Uganda, dell�Angola, del Burkina Faso o del Ruanda hanno mostrato in effetti che i contribuenti occidentali o giapponesi hanno, volenti o nolenti, preso in carico le spese militari e le politiche di aggressione o di sterminio di regimi senza scrupoli. All�occorrenza poco importa sapere chi ha torto e chi ragione. Il solo criterio della partecipazione a un conflitto senza mandato dell�ONU dovrebbe essere sufficiente a congelare il concorso dei finanziatori e dei gestori dei fondi europei.

Rimane che la ricostruzione di un Paese e il consolidamento della pace sono dei compiti pi� difficili e di lunga lena. Quali che siano le sue ambiguit� e fragilit�, il precedente del Mozambico, caro alla Comunit� di Sant�Egidio, ispira un certo ottimismo. L�essenziale � forse di lasciar fare le cose come augurano molti agronomi dopo l�incendio di una foresta. Le societ� africane mostrano un dinamismo e un�inventivit� che dovrebbero incitare alla modestia. L�essenziale � senza dubbio garantire le condizioni macropolitiche e macromilitari della ripresa, senza cercare di andare troppo lontano nell�ingegneria dello sviluppo dell�aiuto umanitario. Questa presa di distanza � un�altra condizione perch� il ritorno dell�Europa nel Sud del Sahara non si riduca alla ricostruzione vergognosa della situazione coloniale, che nessuno � disposto a sostenere ideologicamente... o finanziariamente.

In realt� la vera difficolt� per gli europei � d�ordine filosofico e culturale. Essi faticano ancora a vedere l�Africa come un continente come gli altri, a �pensare la sua banalit�� come avevo scritto una quindicina di anni f�. Essi la collocano nella categoria classica della barbarie, o nella �novlangue� dello sviluppo, della �lotta contro la povert�� dell� �urgenza umanitaria�. Cos� facendo essi le impediscono la politica. Non inganniamoci. Non si tratta di rimpiangere le vecchie stagioni terzo mondiste. Io non sono nemmeno sicuro che noi avessimo �bisogno d�Africa� come avevano scritto simpaticamente alcuni miei amici. E� chiaro invece che noi non abbiamo alcun bisogno di un�Africa in preda alla malattia, alla guerra, alla collera, non fosse che per delle evidenti ragioni di prossimit� geografica. Bisogna aver verso di lei, come verso noi stessi lo stesso linguaggio di verit� relativa con il quale ci siamo rivolti all�Europa centrale e orientale: scambiare una doppia rivoluzione economica e democratica contro un arrembaggio all�Unione Europea in termini concreti che restano da definire. E farlo senza scappatoie possibili, che siano d�ordine finanziario, bancario o clientelare. L�impegno dell�Unione Europea nelle operazioni di mantenimento della pace non ha senso se non fa parte di questo disegno pi� generale.

In questi tempi di islamofobia galoppante io mi voglio invitare a forme supplementari di curiosit� culturale o storica. Sottolineare la parentela che lega gli europei, ma anche gli abitanti del Nuovo Mondo agli africani � se va male una torta alla crema, se va meglio una provocazione. E invece l�osmosi tra questi spazi storici � molto pi� importante che non supponga il discorso obbligato sulle eredit� della colonizzazione o della tratta degli schiavi. Quel che viene chiamato pomposamente le �grandi scoperte� ha scatenato dei processi complessi che hanno dato forma durante dei secoli ad uno spazio oceanico comune nel quale continuiamo a vivere, senza che noi siamo sempre coscienti della sua profonda unit�. C�� stato in particolare lo �scambio colombiano� nella dimensione biologica, con l�annientamento di intere popolazioni nelle isole Canarie, nei Carabi e nell�America del Sud, a causa della loro vulnerabilit� alle malattie portate dai conquistatori europei, con il meticciato tra le popolazioni alogene e quelle autoctone e tra le alogene tra loro, o con la circolazione di sementi, di piante e di specie animali da una parte all�altra dei mari. Questo incontro � stato tanto pi� complicato e molteplice di quanto l�abbia presentato per molto tempo la storiografia. Ad esempio si sa oggi che la coltura del riso � stata impiantata in America, specialmente in Carolina e Georgia, a partire dalla costa occidentale dell�Africa, deve era praticata da lunga data. Questo trasferimento di sementi e pi� ancora di conoscenze agricole, l�adattamento di questo cereale all�ambiente d�oltre Atlantico, sono stati fatti dagli schiavi stessi, negli interstizi di una economia di deportazione e di piantagione. In maniera generale gli Africani sono stati compartecipi e protagonisti dell�emersione di una civilt� afroamericana specifica, le cui espressioni si sono dapprima concretizzate nel reticolo di relazioni commerciali annodate tra l�Europa e le societ� del litorale sub sahariano, a partire dal XV secolo, prima di svilupparsi nell�esperienza tragica della tratta, nella seconda met� del XVII secolo. I due aspetti pi� conosciuti sono stati di ordine religioso (John Thornton fa un confronto tra il cristianesimo afroatlantico e la creazione del buddismo cinese o all�indianizzazione dell�islam) e di carattere musicale, con l�invenzione del jazz. Questo sarebbe sufficiente a dimostrare l�importanza dell�apporto africano alla civilt� transatlantica e la sua appropriazione da parte dei popoli che essa include, a condizione tuttavia di ricordare che questa forma artistica si � sviluppata altrettanto bene nei repertori europei che nell�eredit� culturale degli schiavi. Simili incroci si ritrovano d�altronde anche tra il Vecchio Mondo e gli Amerinidi. Studiando New Orleans e Londra Joseph Roach pu� dunque parlare di un mondo �circum-atlantico� che � stato un vero �vortice di comportamenti� e la cui riproduzione, spesso latente, � stata assicurata attraverso molteplici pratiche mnemoniche. Lo spazio della celebrazione dei morti, del carnevale, della danza del teatro, dell�immagine, del sogno, della rappresentazione fantasmatica del rapporto all�Altro nella trasmissione di questa memoria oceanica suggerisce come la visione che i politici o i media hanno dell�Africa rimane meschina e parziale. Pi� vicino a noi l�esperienza coloniale si � �riverberata� (secondo l�espressione degli storici) nella modernit� delle metropoli, e l�Africa sub sahariana � stata, cos� come l�India, il Maghreb, l�Indoneia e l�Indocina, un laboratorio di innovazioni burocratiche, urbanistiche, educative, artistiche o pastorali che si sono ripercosse nelle societ� europee. Cosa sarebbe oggi la pittura, la concezione dell�eroismo e tanti altri fenomeni sociali senza questa interazione imperiale da una parte e dall�altra dei mari e del deserto? Una migliore conoscenza della nostra storia comune � senza dubbio la condizione necessaria dell�accettazione politica di nuove forme di solidariet�.

 

 

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