Jean-Arnold de Clermont
Presidente della Federazione Protestante di Francia
La guerra, l'Europa sa che cosa �. C'� mai stato un continente pi� segnato dalla guerra dell'Europa del XX� secolo? E' per questo che la volont� primaria che ispira i fondatori dell'unione europea � quella di fare dell'Europa un'area geografica di pace e uno strumento politico al servizio della pace nel mondo. L'elemento essenziale e il motore di tale progetto sar� la riconciliazione franco-tedesca. Non si pu� affermare che questo progetto sia gi� riuscito; tutti si ricordano del conflitto del Kossovo, sul finire del XX secolo, ma non era forse il risultato nella fase finale di questa profonda aspirazione europea a stabilire la pace, fosse anche a prezzo di un intervento militare inevitabilmente distruttore? La recente guerra in Iraq illustra bene � mi sembra � questa aspirazione europea. La quasi totalit� delle opinioni pubbliche dei paesi europei erano in favore di una soluzione negoziata e pacifica, sotto l'egida delle Nazioni Unite. Quanto ai governi, mi sembra che le loro posizioni erano meno nette di quello che � sembrato. Il governo di Tony Blair gi� impegnato in Iraq a partire dal primo intervento ha lungamente cercato di convincere Georges Bush a sottostare alle Nazioni Unite, e non c'� dubbio che una diplomazia meno arrogante della coppia Francia-Germania, basata su una migliore informazione e una maggiore condivisione con i loro vicini e alleati europei avrebbe evitato delle prese di posizione discordanti e soprattutto la "lettera degli otto". L'analisi che mi sembra oggi determinante � quella che sottolinea quanto gli stati Uniti d'America in questo inizio del XXI� secolo, dall'11 settembre 2001, sono in guerra! Ora anche se le minacce terroriste si sono manifestate in Europa e restano le stesse da un lato e dall'altro dell'Atlantico, nessun paese europeo n� l'Unione europea non riprenderebbe questa formula per suo conto. Prima di andare pi� a fondo, mi piacerebbe introdurre due osservazioni: 1. non bisognerebbe pertanto generalizzare la nozione di pacifismo, in Europa. Se la Germania e la Francia si sono trovate mano nella mano nel corso di tutta la recente crisi irachena, � stato perch� erano unite dalla convinzione che il ruolo delle nazioni Unite e del suo Consiglio di sicurezza era indispensabile per mettere in atto delle soluzioni esenti da ogni visione imperialista, in una prospettiva di risoluzione multilaterale del conflitto. Ma se le Nazioni Unite si fossero risolte per un intervento armato, l'unit� franco-tedesca sarebbe probabilmente andata in frantumi; la Francia si sarebbe trovata molto pi� favorevole della Germania a un intervento armato. 2. D'altra parte, si � poco sentita da noi la voce degli stati dell'Europa dell'Est che si ricordano di quello che � stata l'impresa comunista, e allo stesso tempo della debolezza dell'impegno europeo e del ruolo determinante della fermezza americana. Ora questa voce era pi� vicina a quella degli Stati Uniti che alla posizione franco-tedesca. Sarebbe dunque un errore parlare dell'Europa come di una vasta zona di pacifismo anche se, lo ripeto, l'ispirazione profonda dell'unit� europea � certamente quella della pace. Al di l� di questa descrizione, vorrei proporvi due riflessioni che mi sembrano strettamente legate al soggetto di cui ci occupiamo. Prima di tutto direi che secondo me, se l'Europa deve costruirsi in questa prospettiva di essere una zona di pace e di sostegno per la pace nel mondo, essa non lo sar� che dando la priorit� allo stabilirsi di una giustizia pi� larga riguardo ai paesi del sud. Che lo si voglia o no il terreno su cui pu� crescere il terrorismo � quello dell'ingiustizia sociale e della povert�. Che si tratti della situazione in Israele- Palestina, con centinaia di migliaia di uomini, di donne e di bambini costretti alla miseria alle porte di una nazione prospera; che si tratti di decine di paesi dove l'aspirazione di pi� del 50% dei giovani � quella di partire per andare a vivere all'estero; che si tratti di un continente intero, o quasi, l'Africa, di cui la speranza di vita � drammaticamente falciata dall'AIDS; tutti questi punti che evoco � e molti altri � sono sia dei fattori di instabilit� che terreno d'elezione per il terrorismo. E in un mondo dove le frontiere non significano pi� niente, l'Europa naturalmente pi� aperta di ogni altro continente non costruir� la propria pace e la pace del mondo che dandosi pienamente alla lotta contro la miseria e per lo sviluppo sostenibile del Mediterraneo e dell'Africa, suoi vicini pi� prossimi. Ma ne abbiamo fatto la nostra priorit�? Quale � essa in effetti? Le nostre priorit� sono senza dubbio troppo orientate verso noi stessi. Le nostre relazioni economiche restano principalmente condotte dalla concorrenza anche se coloro che praticano il commercio equo riescono qui e l� a far passare una altro messaggio; la preoccupazione della nostra salute, le somme che noi le dedichiamo che sono pi� che raddoppiate in venti anni non lasciano posto alla lotta contro le grandi malattie endemiche e allo sviluppo della prevenzione nei paesi del sud. E' un vero piano "giustizia e pace" quello a cui l'Europa deve applicarsi rispetto ai paesi del sud. Anche se essa non lo fa per convinzione essa deve metterlo in atto per interesse. La mia seconda osservazione tende a precisare il ruolo delle religioni per la pace. Mi sembra che esse hanno, per ognuna di esse, se non globalmente per tutte, una "lunghezza di vantaggio". Come cristiano io so, io mi sento di appartenere alla stessa famiglia spirituale e umana dei miei fratelli e delle mie sorelle cristiane in Palestina, in Marocco, in Camerun, in Ruanda, in Liberia� le loro situazioni umane, economiche o sociali, mi toccano quanto quelle dei miei compatrioti. La mia fede mi da una visione universalista della famiglia umana. Essa esige per me che la giustizia e la pace siano legate l'una all'altra. Se anche altri oltre che i credenti hanno fatto questa scelta, per la fede essa � un'esigenza. (Io parlo come cristiano ma sono convinto che gli stessi fondamenti si ritrovano nell'ebraismo o nell'Islam). Non � dunque sul piano dei principi che io sento che siamo deboli, ma sul piano pratico. Come le nostre chiese danno dei segni che � in questo progetto di solidariet� umana che noi dobbiamo essere impegnati? Le loro preoccupazioni principale consistono pi� nella ricerca del proprio sviluppo, della fedelt� alle loro tradizioni, che nell'impegnare i propri fedeli a testimoniare l'universalismo della loro fede con una solidariet� senza difetto verso i pi� piccoli del nostro mondo. Io esagero apposta, poich� conosco i tesori di immaginazione e di consacrazione di molti a tale progetto. Ma quello che io auguro � che i credenti di ogni confessione siano riconosciuti non tanto per la loro fedelt� alle tradizioni spirituali, sebbene esse siano importanti, ma per il loro consacrarsi al servizio della solidariet� della famiglia umana
|