Luned� 6 Settembre 2004
Casa Ildefonso Schuster, Sala Pio XII
La lotta alla povert�: prima frontiera di un nuovo umanesimo

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Riccardo Di Segni
Rabbino capo di Roma, Italia
  

In uno dei momenti pi� drammatici della storia del popolo ebraico nella sua terra, la repressione da parte dell�imperatore Adriano della rivolta ebraica antiromana, nel 135 dell�era. cristiana, Rabbi Aqiv�, il pi� autorevole dei rabbini di quell�epoca, e sostenitore ideologico della rivolta, fu catturato dai romani e condannato a morte. Il Talmud racconta i dialoghi tra il governatore romano Turnus Rufus e R. Aqiv� prigioniero, che rappresentano il culmine dell�opposizione e dell�incomprensione tra i due mondi. In uno scambio di battute divenuto famoso Turnus Rufus chiede al rabbino: �Se il vostro D. ama i poveri, perch� non procura loro il sostentamento?� Risposta di R. A.: �Perch� noi, per mezzo loro, si possa essere salvati dal decreto della gehenna� (TB Baba bathra 10a). Fermiamo un momento la scena e prima di vedere come prosegue la discussione, cerchiamo di capire di che si tratta.

Il romano coglieva una contraddizione tra due principi della fede ebraica: da una parte l�idea provvidenziale della conduzione divina del mondo e dall�altra l�amore divino per i sofferenti, i poveri in particolare, che malgrado l�amore continuano a soffrire. Il rabbino non negava nessuno dei due principi, ma risolveva la contraddizione con una soluzione tanto paradossale quanto fondamentale. La provvidenza, e con lei l�onnipotenza divina, hanno un limite necessario, quello della libert� umana. Non esiste mondo senza male, e molto spesso il male dipende dall�uomo stesso e dalle sue capacit� di scegliere, ma � la stessa capacit� di scegliere che d� all�uomo gli strumenti per correggere il male, e cos� acquistarsi dei meriti che saranno provvidenzialmente premiati. Dalla risposta di R.A. possiamo dedurre molte cose, anche se, come vedremo, le deduzioni non sono affatto scontate.

Primo problema. Che significa la salvezza dalla Gehenna? Gehenna, ghehinam in ebraico, termine biblico che indica una valle di Gerusalemme, �, come sanno anche i lettori dei Vangeli, sinonimo di inferno. Un concetto che nell�ebraismo � assai lontano dall�essere ben definito. Scordiamoci Dante o altre immaginari del pensiero cristiano. C�� un po� pi� di libert� interpretativa. Per cui ad esempio, in anni un p� sospetti e fortementi segnati dall�ideologia, nel �68 in Francia, qualche nostro teologo spiegava che non si tratta di un inferno metafisico, ma dell�inferno di questa terra e di questo mondo. Quindi R.A. avrebbe voluto dire che il vero inferno � quello delle sofferenze umane, dell�ingiustizia delle differenze economiche, contro le quali siamo chiamati ad operare; i poveri sono uno stimolo per tutti a risolvere le contraddizioni della societ� che prima o poi, qui e non in un altro mondo, potranno coinvolgerci e travolgerci. Questo tipo di lettura � chiaramente �datato� e non sfugge la forzatura esegetica legata a un clima politico particolarre. Ma se bisogna dare comunque una spiegazione alle parole di R.A. ci troveremo sempre a navigare tra due opposti, perch� se non sappiamo, come si � visto, di quale inferno si tratta, non sappiamo neppure come si debba operare per dare il necessario aiuto ai poveri. E gli opposti sono da una parte un intervento caritatevole che aiuta nell�immediato ma che mantiene immutata, anzi consolida l�opposizione ricchi-poveri, e dall�altra una trasformazione radicale della societ�, che assicuri la riduzione o la scomparsa della povert�. E il termine radicale pu� riferirsi alla qualit� del cambiamento come anche alla modalit� della sua attuazione, pi� o meno violenta o pacifica. Ma prima di vedere le soluzioni, chiariamo un secondo problema. Se bisogna comunque aiutare i poveri, com�� la povert�, un bene o un male? Una condizione ineluttabile o che si pu� risolvere?

Un Maestro del Talmud disse che la povert� si addice a Israele come un nastro rosso

al collo di un cavallo bianco da corsa, un accoppiamento perfetto, da una parte estetico, dall�altra morale. La ricchezza � una condizione rischiosa. D� troppa sicurezza e fa dimenticare i riferimenti e le necessit� spirituali. Lo ripete la Bibbia: �Israele si � ingrassato e ha cominciato a scalciare; si � ingrassato, ingrossato e ricoperto di grasso e ha abbandonato il D. che lo ha fatto e ha disprezzato il solido riferimento per la sua salvezza� (Deut. 32:15). E anche la Tor� non si conquista con gli agi e le ricchezze, ma a pane e acqua, dormendo per terra e con una vita di stenti (Avot 6:4).

Ma tutto questo non vuol dire ancora che la povert� sia una bella cosa, che vada cercata come un valore, tranne che in singole esperienze ascetiche e rigoristiche, e che vada mantenuta. Un conto � l�individuo un conto la societ�.

Le presunte certezze evangeliche sulle strade che conducono al regno dei cieli o le beatitudini riservate ai poveri in opposizione ai ricchi sembrano essere molto pi� articolate e moderate nelle fonti ebraiche. L�ideale biblico � quello di una societ� in cui sia garantito per ognuno un minimo di risorse, il suo pezzo di terra, il suo fico e la sua vigna (1 Re 5, 5). L�accumulo di beni non sembra un valore da perseguire, come insegna il racconto sulla manna che doveva essere raccolta giorno per giorno, se se ne prendeva di pi�, tranne che per il Sabato, marciva (Esodo 16). Il ricco � a rischio, come si � detto, ma non condannato come tale e non deve farsi povero. Perch� anche il povero per altri versi � a rischio e non � automaticamente salvato in virt� della sua indigenza. Le sofferenze della miseria, senza tanta retorica, secondo il Talmud, allontanano l�uomo da s� stesso e dal suo Creatore (TB Eruvin 41b).

Il povero, dice la Tor�, non cesser� dalla terra (Deut. 15:11), ma la Tor� dice anche sette versi prima (ibid. v. 4) che in mezzo a te non ci sar� un povero. Una bella contraddizione, Che forse si risolve trattando il primo brano �la presenza del povero- come un dato di fatto con il quale bisogna misurarsi, e il secondo brano �la scomparsa del povero- come un obiettivo cui tendere. Perch� anche il pi� perfetto dei sistemi sociali, anche quello del giubileo biblico, non pu� essere immune da stravolgimenti ed eventi imprevedibili; non illudiamoci, con i nostri strumenti di pianificazione economica, di creare una situazione in grado di eliminare la povert�. Ma al tempo stesso l�ineluttabilit� di questo rischio non esime dall�obbligo morale di intervenire come societ� e come singoli per impedire che questo male dilaghi e per correggerlo ovunque lo si trovi. Perch� appunto di un male si tratta.

Ed ecco il terzo problema, quello del come. Per comprendere la risposta ebraica � necessaria una premessa. E cio� che il sistema normativo non si rivolge alla sola azione del singolo, ma coinvolge l�intera societ�; nei precedenti millenni per gli ebrei era uno stato organizzato, e poi si � frammentato in comunit�. Esiste in questa prospettiva un dovere collettivo che proprio per l�aspetto sociale del problema, non si pu� mai sostituire all�intervento del singolo; e d�altra parte il singolo non deve sfuggire alle responsabilit� personali con la scusa che il problema riguarda la struttura collettiva.

L�idea ebraica comprende prospettive integrate: il binomio singolo - collettivit� e il binomio: precetto religioso � impegno sociale, e trova espressione nel concetto che con termine ebraico � chiamato tzedaq�. Linguisticamente � la forma femminile di tzedeq, che vuol dire giustizia; in italiano giustizia � gi� femminile, in ebraico � maschile, che diventa donna sotto forma di tzedaq�. Anche qui un concetto integrato: non solo un�opera di giustizia, ma qualche cosa che l�arricchisce e �per dirla con i mistici- l�addolcisce nella dimensione della misericordia. T. � l�azione di sostegno al povero, dovere del singolo e della societ�, che pu� essere esercitata in vari modi, non tutti uguali nel loro valore morale, ma in una scala. Al gradino pi� basso c�� l�elemosina fatta al povero in cui il povero sa chi gliela d� e il ricco sa a chi � diretta. Al livello pi� alto � l�azione con cui si procura, a chi ne ha bisogno, un lavoro che lo renda indipendente dagli altri. La comunit� deve organizzare una cassa di assistenza cui tutti contribuiscono in ragione del loro stato. La T. � quindi ben altro che elemosina, � prefigurazione dei sistemi previdenziali e di sicurezza sociale degli stati moderni, e al tempo stesso valore religioso. T. � anche contrapposta, paradossalmente ad amore, e vale molto di pi� dell�amore che non cambia la societ�.

L�ebraismo ha conosciuto e prodotto nel corso della sua storia tutte le possibili forme di aiuto ai poveri; ha sostenuto negli scritti profetici biblici, come massimo valore religioso la condanna di ogni forma di ingiustizia sociale e di sfruttamento; ha previsto oltre alla T., istituzioni giuridiche di protezione e di assistenza, di norme per datori di lavoro e salariati; � stata capace di elaborare nell�esegesi di secoli visioni reazionarie (amore caritatevole del ricco verso il povero, con sottolineatura dei ruoli insostituibili di entrambi per l�equilibrio della societ�) e visioni progressiste; ha dato al mondo, in modo del tutto sproporzionato alla sua entit� numerica, economisti, pensatori e uomini di azione, pi� o meno rivoluzionaria, che hanno concentrato la loro vita sul problema della lotta alla povert�; anche se molto lontani dall�ebraismo tradizionale, comunque imbevuti della linfa che scorre ininterrotta dalle sue radici ai suo rami lontani, di richiesta di giustizia per la societ�.

Riflettiamo sul senso di questo enorme contributo ritornando a Turnus Rufus e R. dove li avevamo lasciati. T. R. non si convince della risposta di R.A.. Usando anche lui il linguaggio delle parabole gli risponde: �non mi pare logico che il vostro D. voglia che il povero sia aiutato: � come un re che vuole punire un servo, lo condanna alla fame in carcere. Se tu aiuti il servo e gli dai da mangiare, � naturale che tu incorra nelle ire del re� . La risposta di R. A. � una contro-parabola: � C�� un re che deve punire il figlio e lo mette in carcere proibendo di fargli arrivare il cibo. Se tu aiuti il figlio e gli dai da mangiare, il re, che � anche padre, non solo non ti punisce ma tiu premia�

L�originalit� fondamentale della risposta ebraica, antico nuovo umanesimo, sta proprio in questo: nell�integrazione della componente sociale e politica con una visione religiosa nella quale ogni uomo � figlio di D. e degno del suo amore.