Luned� 6 Settembre 2004
Universit� Cattolica del Sacro Cuore, Aula Vito
La civilt� della convivenza

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Claude Dagens
Vescovo cattolico, Francia
  

CIVILTA� DELLA CONVIVENZA

A quali condizioni?

I � CONVIVENZA, VIOLENZA E PREGHIERA

Non si pu� partecipare ad un incontro della Comunit� di Sant�Egidio se non credendo al dialogo delle culture e delle religioni per costruire una civilt� della convivenza, invece di rassegnarsi allo scontro delle civilt� annunciato da alcuni profeti.

Soprattutto dopo i terribili attentati di New York, per�, sappiamo tutti che le violenze e i fanatismi si moltiplicano attraverso il mondo cos� come i desideri e le possibilit� di convivenza.

Come manifestare pubblicamente questo desiderio di convivenza in mezzo a tali violenze e alle paure che esse suscitano? Per rispondere a questa domanda ricorrer� alla mia esperienza di vescovo e alle iniziative che sono stato portato a prendere, da quattro anni, affinch� questo desiderio di convivenza appaia pi� forte delle paure e delle minacce. In tre riprese, in tre momenti di tensione e di inquietudine, ho voluto radunare i fedeli della mia diocesi nella nostra cattedrale per celebrare l�Eucarestia e per pregare per la pace e la riconciliazione. In queste tre circostanze, i responsabili musulmani della citt� di Angoul�me e della periferia si sono associati spontaneamente all�iniziativa con la loro presenza.

Prima iniziativa: il 18 settembre 2001, una settimana dopo gli atti terroristici di New York. La nostra cattedrale era piena, alla presenza delle pubbliche autorit� venute di loro iniziativa. Avevo scelto il brano del Vangelo della passione di Ges� secondo San Luca, con la parola sconvolgente: �Padre, perdonali, perch� non sanno quello che fanno�. (Lc 23, 34). La cosa pi� bella fu per� un imprevisto. Poco prima della fine della messa, vedo un uomo avanzare dal fondo della cattedrale e venire verso di me, nel coro. Mi dice allora: �Ho un messaggio per voi da parte dell�imam�. Gli ho domandato: �Quale messaggio?� Mi ha risposto: �Chiediamo perdono per quelle persone�. Con il suo consenso, ho annunciato quel messaggio a tutta l�assemblea, e ho rivisto quel uomo, quel musulmano, che si forma adesso per provare dei tentativi di mediazione nei quartieri difficili.

L�anno scorso, nel marzo 2003, iniziava la guerra in Irak. Ho di nuovo preso l�iniziativa di una messa nella nostra cattedrale. Sono stato sorpreso di vedere che in mezzo a dei fedeli cattolici si trovavano numerosi responsabili musulmani, che erano venuti senza alcun invito esplicito, incoraggiati dai preti dei loro quartieri. Alla fine della messa, li ho salutati e mi hanno invitato ad associarmi, il venerd� seguente, alla loro preghiera. Ho accettato, tanto pi� che qualche anno prima avevo contribuito all�arrangiamento della sala dove si trovavano, in quanto precedentemente si riunivano in delle cantine. Ognuno a suo modo ha supplicato Dio perch� venisse la pace.

Questo anno ancora, dopo gli attentati di Madrid, nel mese di marzo, ho creduto bene di suscitare un nuovo incontro di preghiera nella cattedrale, celebrando la messa. Come l�anno precedente, numerosi responsabili musulmani erano presenti ed hanno potuto, alla fine della celebrazione, esprimersi pubblicamente, spiegando perch� si erano associati all�iniziativa.

Da queste poche esperienze, che implicano anche incontri pi� abituali tra cristiani e musulmani, cerco di trarre un insegnamento che non vorrei generalizzare, ma che mi sembra importante per noi, in Francia, nella nostra societ� laica.

E� che il segno della preghiera, della supplica per la pace indirizzata ardentemente a Dio pu� divenire un segno pubblico e che, per dare questo segno, la Chiesa cattolica � a volte chiamata a giocare un ruolo di iniziativa e forse di mediazione. Mi sembra che lo stato laico, soprattutto se ha memoria, se ricorda i lunghi affronti tra la Repubblica e la Chiesa, non pu� che trarre vantaggio dal fatto che le religioni e i culti religiosi, e in particolare il culto cattolico, possano permettere degli incontri pubblici che non siano estranei alla convivenza sociale.

A quali condizioni, per�, possiamo progredire nel desiderio e nella pratica della convivenza sociale e religiosa?

II � GLOBALIZZAZIONE, RELIGIONI E LAICITA�

E� evidente come questa convivenza delle religioni e delle culture sia facilitata dalla globalizzazione, grazie agli scambi, ai contatti, agli incontri che permette, senza dimenticare le alleanze familiari, i matrimoni cosiddetti misti e le semplici relazioni di vicinato e di amicizia.

A dire il vero, per�, bisogna precisare che la globalizzazione comporta altrettanti pericoli e possibilit�. In particolare il pericolo di provocare una specie di diffusione delle violenze, soprattutto quando le immagini trasportate dai media infiammano le immaginazioni. Si vede chiaramente con gli scontri che contrappongono il popolo israeliano inquieto della propria sicurezza al popolo palestinese in cerca di uno Stato riconosciuto: tali violenze endemiche, che sono radicate in paure e tensioni aggravate da muri di separazione, sono come dei virus che circolano attraverso il mondo.

Quel conflitto interminabile ha delle evidenti cause politiche, che vengono da lontano, e che richiedono egualmente delle soluzioni politiche. Si deve per� costatare che purtroppo in Francia, tale conflitto � strumentalizzato culturalmente e religiosamente tra le popolazioni immigrate. Con il rischio pi� terribile che ci sia: la deviazione delle appartenenze etniche e religiose, e della stessa fede in Dio. Come se Dio armasse i suoi fedeli perch� abbiano ragione dei loro nemici.

Si comprende allora ancora di pi� il progresso che ha costituito da noi, in Francia, non solo la separazione tra Stato e Chiesa, ma anche la distinzione poco a poco accettata tra le lotte politiche e la causa di Dio, il temporale e lo spirituale. E� questa radicale distinzione, perseverante che permette una convivenza effettiva.

Non sono sicuro che la laicit� alla francese sia trasportabile, cos� com��, e applicabile in ogni angolo del mondo. Credo ancora di pi�, per�, che avremmo bisogno, anche tra paesi vicini, in Europa, di riconoscere le nostre reciproche ignoranze e le nostre differenze reali, spiegandoci sui nostri rispettivi modi di �rendere a Cesare ci� che � di Cesare e a Dio ci� che � di Dio�. E� per questo che il lavoro di educazione civica, che si appella a valori comuni, deve essere valorizzato nuovamente, allo stesso tempo del lavoro di educazione religiosa, che dovrebbe aiutare a comprendere le religioni nella loro natura religiosa, se cos� si pu� dire, e non solo nelle loro deviazioni nazionaliste e guerriere.

III � UN LAVORO DI EDUCAZIONE

Affinch� la convivenza progredisca tra culture e religioni, � indispensabile un lavoro permanente di comprensione e di educazione, sulla base di alcuni principi relativamente semplici, ma non per forza facili da mettere in pratica, soprattutto quando ci si fa portare dalle passioni.

Primo principio: il rispetto intransigente della distinzione tra Dio e Cesare, tra la religione e la politica, tra la Chiesa e lo Stato.

Ma � secondo principio essenziale � � ancora pi� necessario che lo Stato dia alle religioni la possibilit� di esprimersi religiosamente, vale a dire a partire dalla loro autentica identit�, dalle loro fonti, dalle loro coscienze e dalle loro esperienze spirituali. Da nessuna parte ci si pu� rassegnare al fatto che le religioni siano avvertite solo attraverso dei prismi deformanti, generalmente politici e a volte anche di mercato quando si trattano come oggetti di curiosit� e di consumo. Dire questo non equivale ad ammettere le deviazioni a volte terribili e anche criminali dovuti agli uomini di religione. Si tratta di riconoscere semplicemente che le religioni, le aspirazioni religiose, le adesioni religiose fanno parte dell�identit� umana e che domandano di essere nominate e comunicate in modo intelligibile e non selvaggio.

E poi � terzo principio essenziale � occorre che gli uomini e le donne di religione possano confrontarsi sul terreno della loro esistenza ordinaria, e non solo nei momenti di emozione e di crisi. Che ciascuno e ciascuna possano dire liberamente e pubblicamente: �Ecco le mie ragioni di vivere e di credere! Ecco il mio modo di comprendere il mondo! Ecco le mie ragioni di essere in relazione con altri credenti e anche con quelli e con quelle che non credono in Dio!�.

E che venga il tempo nel quale potremo riconoscere che lo scopo delle religioni non � di assicurare la propria sopravvivenza e ancora meno il proprio trionfo terrestre, ma di affermare e di difendere la dignit� di ogni essere umano e l�unit� della famiglia umana. Perch� l�essere umano � sacro e la famiglia umana � quella dei figli di Dio. E che non si esiti allora a fare appello agli uomini e alle donne di cultura, ai poeti, agli scrittori, ai musicisti, e anche a quei poveri che sanno tutto ci� che manca alla nostra umanit�, affinch� cresca il desiderio di un mondo liberato dal male. Questo desiderio attraversa la Bibbia intera fino alla rivelazione finale che ci abita gi�: �Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorer� tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sar� il "Dio-con-loro". E terger� ogni lacrima dai loro occhi; non ci sar� pi� la morte, n� lutto, n� lamento, n� affanno, perch� le cose di prima sono passate�. E Colui che sedeva sul trono disse: �Ecco, io faccio nuove tutte le cose� (Apoc. 21, 3-5).

Siamo sicuri che questo desiderio di un mondo liberato dal male � condiviso da molte persone e popoli che non condividono la nostra fede. E noi crediamo anche che questo desiderio sia ascoltato ed esaudito da Colui che ne � la fonte, Colui che chiamiamo Padre nostro, il Padre della nostra umanit� intera!