Luned� 6 Settembre 2004
Hotel Marriott, Sala Washington 1
Migrazioni: domanda di un nuovo umanesimo

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Fabrizio Gatti
Giornalista, Italia
  

�O suprema liberalit� di Dio padre!

O suprema e mirabile felicit� dell�uomo!

A cui � concesso di ottenere ci� che desidera,

di essere ci� che vuole��

Giovanni Pico della Mirandola, Italia - 1463 � 1494

�Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti�

Francia � 26 agosto 1789

�Tutti gli essere umani nascono liberi

ed uguali in dignit� e diritti. Essi sono dotati di ragione

e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri

in spirito di tolleranza�

Assemblea generale delle Nazioni Unite - 10 dicembre 1948

�La Repubblica riconosce e garantisce

i diritti inviolabili dell�uomo� e richiede l�adempimento

dei doveri inderogabili di solidariet�

politica, economica e sociale�

Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 2 - 27 dicembre 1947

�Ci sono due modi di applicare la legge sull�immigrazione�

Io voglio sentire il rombo dei cannoni. Attenzione,

non regolamenti qualsiasi. Il rombo dei cannoni.

S�, al secondo o al terzo ammonimento, pum! Parte il cannone.

Senza tanti giri di parole. Il cannone che abbatte chiunque��

Ministro per le Riforme, Italia � 16 giugno 2003

Questo � il racconto di un massacro. E� la storia di migliaia di persone morte mentre cercavano di migliorare la propria vita, mentre tentavano di ottenere ci� che desideravano. Molte si sono perse per sempre sulle sabbie nel deserto del Sahara, durante il lungo viaggio verso l�Europa. Molte altre sono annegate nella traversata tra la Libia, o la Tunisia, e l�Italia e la loro migrazione si � fermata in fondo al mare Mediterraneo. Molte altre ancora sono sopravvissute, ma sono rimaste bloccate, stranded, senza pi� soldi, senza pi� niente, a Dirkou, nel deserto del T�n�r� in Niger, l�oasi dei nuovi schiavi. E con quelle sofferenze, la differenza tra l�essere vivi o l�essere morti � soltanto una condizione fisica.

La strage

E� una strage finora senza fine. E come ogni strage, ogni massacro, anche questo ha i suoi responsabili e i suoi complici. Responsabili consapevoli o complici involontari. Proveremo a individuarli. Perch� soltanto un intervento deciso e coraggioso su questi fattori potr� limitare la carneficina, se � questa la nostra intenzione. Sembrer� scontato e superfluo parlare di intenzioni, ma � proprio il caso di farlo: perch� non tutti i protagonisti di quanto sta accadendo tra l�Africa e l�Europa sembrano avere l�intenzione di ridurre il numero dei morti. Tra responsabili e complici della strage, vanno elencati i trafficanti di clandestini ma anche alcuni esponenti politici influenti dei Paesi attraversati dal traffico. Compresa l�Italia (e l�Unione Europea).

Pochi giorni fa il governo italiano ha provato a fare il conto dei migranti annegati vicino alla Sicilia. Negli ultimi anni (il periodo non � stato meglio precisato) sono stati raccolti 1167 cadaveri. Ma, come spiega il rapporto del ministero dell�Interno di Roma, si tratta soltanto dei morti ripescati nelle acque territoriali italiane. A questi, andrebbero aggiunti i cadaveri ripescati nel mare davanti alla Libia e davanti alla Tunisia. E le vittime mai segnalate, mai avvistate, sepolte dall�acqua del Mediterraneo o dalla sabbia del Sahara. Un conto che nessuno � in grado di tenere. Secondo un calcolo ufficioso e molto approssimativo della polizia militare tunisina, soltanto nell�estate 2003 i migranti annegati tra la Tunisia e l�Italia sarebbero un migliaio. E pi� della met� di questi cadaveri � rimasta in fondo al mare. Se prendiamo per buone le cifre italiane e tunisine, abbiamo gi� un�idea sull�entit� delle omissioni da parte delle autorit� dei Paesi lungo la rotta dei migranti. I raffronti con altre realt� di solito non aiutano l�analisi scientifica. Ma pu� essere interessante ricordare, come semplice confronto, che per cifre pi� ridotte nel biennio 1998-99 governi dell�Unione Europea (l�Italia in prima fila) e la Nato hanno sostenuto addirittura una guerra per fermare la pulizia etnica serba e l�esodo dei profughi kosovari. E, si diceva allora, per difendere i diritti umani in quella regione.

La rotta

I profughi delle ultime guerre in Sierra Leone, Liberia, Costa d�Avorio, Sudan e Somalia non hanno ottenuto lo stesso spazio nelle agende della comunit� internazionale. Sorte identica per i migranti degli altri Paesi a Sud del Sahara, uomini e donne che decidono di partire per migliorare le condizioni economiche proprie e delle proprie famiglie. E che in fondo sono loro stesse vittime delle guerre commerciali che vedono l�Africa sconfitta davanti al protezionismo di Europa e Stati Uniti � principalmente nel settore agricolo. I prossimi a emigrare saranno probabilmente i pescatori della costa del Senegal, messi in crisi dai colleghi italiani e russi che, con navi pi� moderne, stanno pescando tutto il pescabile in quel tratto di Oceano. Secondo dati del 2003 dell�Istituto di statistica di Rabat, in Marocco, ogni anno sono ottantamila i migranti che attraversano il Sahara per raggiungere il Maghreb, con la speranza di continuare il viaggio fino in Europa. A questi vanno aggiunti i cittadini del Maghreb, tunisini e marocchini, che a loro volta si imbarcano per superare il Canale di Sicilia o lo Stretto di Gibilterra.

Gli accordi tra Spagna e Marocco e le conseguenti operazioni di polizia per contrastare il passaggio dei migranti hanno spostato a Est la rotta per attraversare il Sahara. Un antico percorso che dall�Impero Romano in poi non ha mai cambiato nome: la Pista degli schiavi. Dal 2002 il flusso principale affronta il deserto partendo da Agadez, in Niger, verso la Libia. Solo chi pu� permettersi un ulteriore costo del viaggio arriva fino in Tunisia, da dove il tratto in barca verso l�Italia � pi� breve e a volte pi� sicuro. La maggior parte si ferma in Libia, andando cos� ad aggravare una situazione gi� esplosiva. Il Paese di Gheddafi accanto ai cinque milioni di abitanti libici gi� ospitava due milioni e mezzo di immigrati subsahariani e maghrebini: spesso sfruttati nelle attivit� agricole ed edilizie e praticamente senza alcun diritto.

Cosa succederebbe a noi

Agadez � collegata con il resto dell�Africa del Sahel da una strada asfaltata. Dalla capitale del Niger, Niamey, sono 940 chilometri. Su questa strada convergono le linee di autobus da Mali, Guinea, Burkina Faso, Costa d�Avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria e Camerun. Qualche migliaio di chilometri e si arriva ad Agadez, su pullman, camion o minibus affollati. La mitica citt� di fango rosso � la porta del deserto. Tutte le rotte principali passano di qui per poi entrare nel T�n�r� e nel Sahara. Sono altri 1490 chilometri di sabbia, dune e rocce, fino ad Al Gatrun, nel Sud della Libia, dove comincia la strada asfalta che porta a Tripoli. Dieci giorni di viaggio almeno, carichi di fatiche estreme, pericoli, violenze e dolore. Nel novembre 2003 sono passati in quindicimila. Altri quindicimila in dicembre. E pi� o meno lo stesso numero per ogni mese dell�inverno. Quasi tutti uomini. Poche donne. Raramente un bambino.

Ho avuto modo di seguire la Pista degli schiavi per una serie di reportage pubblicati dal Corriere della Sera. Vale la pena fare uno sforzo con l�immaginazione e pensare di essere in questo momento in mezzo al deserto del T�n�r�, una distesa di sabbia pi� grande della Francia. L� non ci sono pi� strade, dobbiamo attraversarlo a piedi o con mezzi di fortuna. I pi� abili passati prima di noi hanno impiegato una decina di giorni. Dieci giorni in cui dovremo far bastare le nostre scorte misurate: cinque scatolette di sardine, due o tre di biscotti, pane secco, quattro barattoli di latte in polvere. Inutile comprarne di pi�, non avremmo i soldi per farlo, n� il tempo per mangiare. Dieci giorni con lo stomaco sottovuoto. E dieci notti senza mai dormire in cui dovremo camminare al buio o stare aggrappati alla sponda di un camion, con altri duecento come noi. Sempre svegli. Chi si addormenta cade sotto le ruote.

Non conosciamo la rotta. Dobbiamo fidarci di chi ci accompagna, ben sapendo che non sempre � affidabile e che, su questa distesa pi� grande della Francia, esistono soltanto sei pozzi d�acqua. Se ne mancate uno � molto probabile che vi sentiate presto come quelli di cui avete sentito parlare o di cui avete gi� visto le pietre che ne indicano la sepoltura. E non � finita. Immaginate che proprio all�inizio del viaggio agenti di polizia e militari vi fermino. Voi consegnate educatamente il vostro passaporto. Loro impugnano un bastone o un tubo di gomma e vi colpiscono. Voi li supplicate, piangete. Loro continuano. Vogliono i vostri soldi. Tutti. Vi spogliano nudi e vi fanno stare in ginocchio sotto il sole incandescente. Voi spiegate che quei soldi sono l�unica possibilit� per arrivare vivi. Loro intanto ve li hanno gi� trovati. E sar� peggio pi� avanti. Perch� lungo l�unica rotta che unisce i pozzi d�acqua vi attendono altri quattro posti di controllo di polizia e militari. E nessuno tra quei poliziotti e quei soldati accetter� l�idea che qualcun altro abbia rapinato i vostri soldi. Vi bastoneranno e vi frusteranno altre volte perch�, in fondo, � colpa vostra se vi siete lasciati prendere tutto. Se non morirete prima, arriverete al sesto pozzo d�acqua e soltanto l� scoprirete che, anche se avete attraversato una distesa pi� grande della Francia, avete concluso soltanto la prima tappa del vostro viaggio verso l�Europa. Davanti ci sono ancora il Sahara, la Libia, il Mediterraneo e, una volta arrivati in Europa, magari un decreto di espulsione che vi rimanda al punto di partenza.

Chi sopravvive alla fame, alle torture, alla fatica, alle razzie, raggiunge eroicamente la Libia aggrappato ai camion. Grappoli di teste, braccia, gambe e bidoni pieni d�acqua nascondo le lamiere dei grandi Mercedes 6x6 o dei modelli anni �50. Da Agadez ne partono almeno tre ogni giorno, guidati da autisti arabi o tub�: 150-200 persone per camion. Senza contare chi viaggia con i trasporti di capre e cammelli, i convogli mensili con le sigarette di contrabbando, i vecchi furgoni Toyota 45. Cinque giorni di Tener�, se tutto va bene, da Agadez a Dirkou: 660 chilometri, 15 mila franchi il biglietto, 23 euro. E poi il Sahara. Altri quattro o cinque giorni di piste, da Dirkou ad Al Gatrun, in Libia, dove comincia la strada asfaltata: 830 chilometri, 25 mila franchi, 38 euro e 50. I furgoni costano il doppio perch� arrivano prima. Se non si perdono e non si rompono. Nel maggio 2003, il mese pi� caldo, un autista ha preso una mescebed, una pista abbandonata. Il camion si � insabbiato: 63 morti di sete. Sempre in quel periodo un Toyota stracarico di clandestini si � guastato in mezzo al Tener�. C�era un altro furgone l� dietro. L�autista ha deciso di tornare all�oasi di Dirkou e cercare i pezzi di ricambio. Si � rotto anche quel Toyota. Il primo non l�hanno mai pi� ritrovato. Del secondo, si sono salvati in pochi. Altri sessanta morti.

Le torture in Niger

Elvis Benine, 15 anni, il pi� giovane dei passeggeri, l�hanno frustato sul piazzale del commissariato, nell�oasi di Dirkou in Niger. Il capoposto in tuta mimetica si � sfilato il cinturone militare e l�ha colpito davanti a tutti per rapinargli la banconota di 5000 franchi che stringeva nella mano, sette euro e 70 centesimi. Ernest e Victor Robson, in viaggio verso l�Italia con le foto dei loro bimbi e delle mogli in una tasca dei jeans, si sono dovuti inginocchiare sotto il sole di mezzogiorno: due ore nella sabbia rovente, immobili, fino a quando un capitano non si � convinto che loro di soldi non ne avevano pi�. Adama Traor�, e altri 21 ragazzi, sotto il sole ci sono da dodici giorni, mangiano topolini, insetti, una manciata di miglio. I soldati li hanno fatti scendere dal camion vicino a Dao Timmi, un pozzo sperduto nel deserto, perch� i 22 migranti non avevano pi� niente. Nemmeno un paio di scarpe bucate con cui pagare l�estorsione. Il 25 novembre 2003, Kofi, 24 anni, partito dal Ghana, � morto di fame e polmonite nell�autostazione di Agadez. Sei ore di convulsioni e invece del medico, i guardiani hanno chiamato i poliziotti: Kofi non aveva i 1000 franchi, un euro e 50, per pagare l�ospedale. Il 20 marzo 2003 un altro migrante, Oliver, arrivato dalla Nigeria, � morto soffocato da una pallottola di banconote, al posto di blocco della polizia all�ingresso di Agadez. Aveva 800 dollari. I gendarmi nigerini stavano spogliando e massacrando di botte tutti gli stranieri perquisiti prima di lui. E Oliver, disperato, ha ingoiato i soldi per nasconderli. La sua vita � finita cos�.

Il traffico dei clandestini verso l�Italia � il pi� grande affare di polizia, gendarmeria e forze armate del Niger. A ogni posto di controllo ogni immigrato deve sborsare una tangente. Militari e agenti nigerini chiedono 10 mila franchi, 15 euro e 40. Spesso si accontentano di cinquemila. Ma se nelle perquisizioni e nei pestaggi trovano di pi�, si tengono tutto: a volte sono rotoli di 800, mille dollari, messi da parte per pagare il viaggio finale in barca. Superare i 2040 chilometri tra Niamey, capitale del Niger, e la Libia pu� costare in estorsioni tra i 60 mila e i 100 mila franchi: pi� del prezzo del viaggio sulla stessa distanza, che � 55 mila franchi. I dodici posti di controllo, dalla capitale al fortino di Madama in mezzo al Sahara, rendono all�esercito e alla polizia nigerini tra il milione e mezzo e i due milioni di euro al mese. Fino a 20 milioni di euro all�anno. Con queste cifre, da queste parti, si armano squadroni speciali, si comprano campagne elettorali, si organizzano colpi di Stato.

Le trattative del governo italiano con la Libia e la Tunisia di questi mesi hanno finora ignorato la situazione in Niger. E, senza un intervento di sensibilizzazione sulle forze armate di Niamey, � prevedibile che gli accordi raggiunti con Tripoli e Tunisi portino semplicemente a un aumento dei costi del viaggio e a ulteriori sventure per i migranti.

Tunisia e Libia, il doppio gioco

Le forze di sicurezza tunisine e libiche hanno il primato poco invidiabile di occupare spesso le pagine dei rapporti di Amnesty International e di altre organizzazioni internazionali. Le accuse pi� frequenti: pestaggi durante gli interrogatori e in carcere, condizioni di detenzione disumane, mancato rispetto delle garanzie di difesa. E� indubbio che i governi di questi due Paesi abbiano sfruttato il traffico dei migranti per uscire dall�isolamento internazionale.

La Tunisia ha ottenuto finanziamenti, motovedette per pattugliare la costa e accordi privilegiati con l�Italia. Tra questi accordi, il benemerito presidente Ben Al� avrebbe fatto inserire il fermo e il rimpatrio a Tunisi dei suoi oppositori in esilio in Italia. Sar� un caso, ma proprio nell�ultimo anno alcuni leader dell�opposizione a Ben Al� sono stati fermati dalla polizia italiana, rimpatriati senza possibilit� di difesa, rinchiusi nelle carceri di massima sicurezza tunisine. E dopo le pressioni italiane per una maggiore severit� contro le partenze dei clandestini, da circa un anno nelle prigioni tunisine finiscono non solo i passatori ma anche i migranti sopravvissuti ai naufragi. Nel giugno 2003, pochi giorni dopo gli oltre duecento morti davanti alle isole di Kerkenah, altri trenta clandestini annegarono di fronte a Cap Bon subito dopo la partenza: i sopravvissuti arrivati a riva a nuoto trovarono ad attenderli la polizia militare di Sidi Daoud.

L�incolumit� dei migranti in Libia dipende dalla comprensione o dal prezzo del funzionario di polizia o dell�ufficiale militare di turno. Chi non ha soldi per pagare l�ennesima rapina lungo la rotta, finisce in carcere e ci resta fino a un massimo di sei mesi. Migranti sorpresi nel deserto libico hanno raccontato di essere stati portati a Sebha, la prima citt� che si incontra arrivando dal Niger, e di essere stati rinchiusi a Katib Rashia, la Prigione 10. Una fama sinistra avvolge questo carcere. Il trattamento tipo, secondo le testimonianze, prevede almeno una settimana di detenzione e torture quotidiane. Gli stranieri vengono legati a un tavolo e bastonati sotto la pianta dei piedi.

Le pressioni italiane su Tripoli hanno avuto conseguenze drammatiche nel Sud del Paese. Periodicamente i militari ricevono l�ordine di chiudere la Pista degli schiavi. Cos� i camion gi� in viaggio con il loro carico di migranti restano bloccati nel deserto. Di solito si fermano a Madama, l�ultimo pozzo in Niger. L�acqua non manca, ma l� non si trova nulla da mangiare. L�altra conseguenza � il trasferimento del passaggio pi� a Ovest, tra le dune dell�Idhan Murzuq o le montagne del Tassili al confine con l�Algeria. Rotte senza punti di riferimento, ancor pi� pericolose. Nell�agosto 2004, secondo una fonte libica che non posso rivelare, diciotto migranti subsahariani sono stati espulsi e rimpatriati verso il Niger. Doveva essere un esperimento, in linea con le richieste dell�Italia e dell�Unione Europea. I diciotto sono stati scaricati al confine, nel deserto. Dopo qualche giorno un�altra pattuglia li ha ritrovati ancora da quelle parti. Tutti morti.

In questo tragico doppio gioco, la polizia libica ha finora agevolato la partenza verso l�Italia delle barche cariche di clandestini. E ha invece impedito la partenza di chi aveva i documenti in regola per prendere l�aereo. E� un�altra vicenda che posso raccontare senza rivelare la fonte. Risale a poche settimane fa. Un ex assistente universitario scappato dal suo Paese ha attraversato il Sahara e, dopo aver lavorato come meccanico a Tripoli, ha deciso di arrivare in Europa in aereo. Aveva ricevuto i soldi da un amico, aveva comprato il biglietto e aveva il visto sul passaporto. Doveva tenere una lezione in una universit�. Tutto in regola. Ancor prima di partire, la polizia libica l�ha fermato perch�, cos� gli hanno detto, ai neri non � consentito andare in Europa dalla Libia. Lui ha chiesto come mai, quando ha comprato il biglietto per l�aereo, nessuno gli avesse detto questo. Ha anche chiesto di parlare con un superiore. L�hanno arrestato, chiuso in una cella per quasi una settimana e torturato a bastonate. Se si fosse rivolto ai trafficanti pagando i mille dollari per il posto su una barca, magari oggi sarebbe qui con noi. Invece l�hanno rilasciato che defecava e urinava sangue. Il professore ha trovato il modo di arrivare fino all�ospedale. Ma al pronto soccorso, forse per non avere guai, un medico gli ha detto che per essere curato doveva tornare dalla polizia e farsi rilasciare una dichiarazione nella quale gli agenti ammettevano di averlo torturato. E� rimasto senza cure.

Alla polizia libica (e ai suoi metodi feroci) il governo italiano, il governo tedesco e la Commissione europea contano di delegare la questione dell�immigrazione verso l�Europa. E questi rischiano di essere anche i metodi di gestione dei campi di raccolta per clandestini che l�Europa vorrebbe costruire in Libia, secondo l�accordo dell�agosto 2004 tra i ministri dell�Interno di Italia e Germania.

L�Italia a porte chiuse

Nel gennaio 1999 la citt� che oggi ci ospita raggiunse il primato di nove morti ammazzati nei primi nove giorni dell�anno. Criminologi e sociologi invitarono ad attendere qualche settimana prima di concludere che si era di fronte a un violento attacco della criminalit�: e infatti cos� non era. Ma autorevoli rappresentanti dell�amministrazione cittadina e regionale e della politica nazionale scatenarono una delle campagne xenofobe pi� violente mai viste in Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale. Venivano organizzate manifestazioni e fiaccolate nelle quali i partecipanti chiedevano letteralmente le armi per farsi giustizia da s�. Alla polizia venne ordinato di passare al setaccio le fabbriche abbandonate dove dormivano i lavoratori stranieri senza casa e centinaia di badanti ucraine si ritrovarono sulla strada, in pieno inverno. Ovviamente le persone nel mirino di amministratori pubblici e manifestanti erano le stesse: gli immigrati. Le indagini di polizia e gli arresti dopo qualche mese dimostrarono che soltanto uno di quei nove omicidi era legato alla criminalit� straniera: un albanese aveva ucciso un albanese. Gli altri assassini erano tutti italiani, tranne un olandese. Ma ormai era tardi. Sull�onda emotiva di quella campagna xenofoba, il governo di centrosinistra e le autorit� cittadine di centrodestra accelerarono l�apertura di una delle pagine pi� tristi della storia che lega l�Italia alle migrazioni: il primo centro di detenzione per stranieri di via Corelli.

Milano era in ritardo con l�applicazione della nuova legge sull�immigrazione, la Turco-Napolitano entrata in vigore nel 1998. Cos�, forse per la fretta, i progettisti di quel primo centro pi� che a una struttura di accoglienza e assistenza si ispirarono a uno zoo. Una grande gabbia d�acciaio, alta sei metri, costruita all�aperto nel cortile di una ex base militare e illuminata a giorno anche di notte. Quella gabbia faceva davvero paura ai tanti clandestini che a Milano avevano trovato un lavoro e non potevano mettersi in regola con i documenti, semplicemente perch� la legge non lo consentiva: per sfuggire alla cattura, una gelida mattina di dicembre la famiglia di un muratore albanese, con i figli di 5 e 7 anni, si nascose per pi� di un�ora nell�acqua ghiacciata di uno scolmatore fognario. Ma a differenza di quanto sancisce la Costituzione italiana sul diritto all�informazione, ai giornalisti non era concesso di verificare le condizioni di detenzione dentro il campo di via Corelli. Notizie di maltrattamenti e di epidemie di scabbia e tubercolosi rendevano necessaria un�inchiesta. Fu cos� indispensabile uno stratagemma: fingersi clandestino e farsi prendere. Mi inventai il nome di Roman Ladu perch�, finendo per �u�, suonava romeno. Anche se era un nome italianissimo, scelto sfogliando gli elenchi telefonici di due citt� italiane, Vicenza e Nuoro. Fui rinchiuso nella gabbia di via Corelli e dopo la pubblicazione del reportage, il governo italiano decise immediatamente la chiusura del centro. Ne venne poi costruito un altro, un po� pi� attento alla dignit� dei reclusi.

La legge Turco-Napolitano almeno offriva qualche spiraglio agli stranieri in cerca di lavoro. Con l�istituto della sponsorizzazione, ad esempio. L�attuale legge sull�immigrazione, che porta la firma dei ministri italiani Umberto Bossi e Gianfranco Fini, ha invece sigillato le frontiere legali: il progetto ideologico cominciato con le manifestazioni di Milano nel 1999 si era cos� compiuto.

Il risultato ottenuto � paradossale. La legge Bossi-Fini ha regalato ai trafficanti di clandestini l�esclusiva degli ingressi in Italia, per quanti sono spinti a cercare lavoro in Europa o devono scappare dal proprio Paese. Se n�erano accorti prima partire i tredici profughi somali morti di freddo e fame nell�ottobre 2003 su una barca alla deriva tra la Libia e la Sicilia. Avevano lasciato un campo profughi in Kenia per raggiungere i familiari in Italia e in Francia. L�ennesima strage che ha scatenato le proteste della comunit� somala: la �Bossi-Fini� aveva infatti cancellato un accordo che prevedeva che ogni anno 750 cittadini della Somalia, ex colonia italiana, potessero ottenere il permesso di soggiorno in Italia per lavoro o ricongiungimento familiare (Hussein Aidid � dichiarazione al Corriere della Sera, 21 ottobre 2003). E per i somali la rotta del Sahara � ancora oggi l�unico modo per riunirsi alle proprie famiglie in esilio.

Altri ostacoli posti agli ingressi legali dall�attuale legge italiana sull�immigrazione riguardano il ricongiungimento familiare. L�articolo 23 della �Bossi-Fini� prevede infatti che se tra i familiari che chiedono il ricongiungimento c�� un figlio di et� inferiore ai 14 anni, lo straniero deve ottenere il consenso del proprietario della casa dove la famiglia abiter�. Questo ha esposto migliaia di immigrati in Italia a vere e proprie estorsioni: in cambio del consenso, i proprietari chiedono l�aumento dell�affitto. Possiamo tranquillamente osservare che in base all�attuale legge sull�immigrazione un bambino straniero abbia meno garanzie di un animale domestico. Per un immigrato sarebbe infatti pi� facile avere in casa un cane o un gatto, per il quale la �Bossi-Fini� non chiede alcun consenso, piuttosto che i propri figli.

Tra gli altri ostacoli, aggiungiamo la riduzione a dodici mesi del periodo di validit� dei permessi di soggiorno che, contrariamente alle intenzioni, costringe gli immigrati a rimanere senza documenti per buona parte dell�anno: fino a otto mesi, tempo richiesto dalle questure per il rinnovo, durante il quale lo straniero non ha possibilit� di uscire dall�Italia (perch� non vi potrebbe pi� rientrare, se non clandestinamente). Altra grande occasione di guadagno per i trafficanti di clandestini � lo sbarramento imposto dalle quote di ingresso, ben lontane dall�effettiva disponibilit� di posti di lavoro. Un caso tra tutti, il Veneto: 2200 ingressi autorizzati dal governo per il 2004 contro i 16 mila richiesti dagli imprenditori (Fonte: Associazione regionale degli imprenditori � Corriere della Sera, 23 agosto 2004, pagina 9). Un divario che favorisce il lavoro nero e, ancora una volta, gli ingressi illegali.

La nostra responsabilit�

Abbiamo visto come l�applicazione di una legge che ha la presunzione di sigillare le frontiere abbia finito con il favorire clamorosamente il fenomeno che voleva contrastare. E soprattutto come questa situazione metta in pericolo la vita di migliaia di persone. Ma sarebbe superficiale pensare che si tratti di una svista, di un errore o di un calcolo sbagliato. Pu� essere utile ricordare qui un�intervista rilasciata dal ministro italiano Umberto Bossi il 16 giugno 2003 al Corriere della Sera: �Inutile perdere tempo con le prese in giro� Io � dice Bossi � voglio sentire il rombo dei cannoni. Attenzione, non regolamenti qualsiasi. Il rombo dei cannoni. S�, al secondo o al terzo ammonimento, pum! Parte il cannone. Senza tanti giri di parole. Il cannone che abbatte chiunque. Altrimenti non la finiamo pi�. O con le buone o con le cattive i clandestini vanno cacciati� Ce un momento in cui occorre usare la forza�. E Bossi non � il solo a pensarla cos�. Giancarlo Gentilini, allora sindaco di Treviso, una citt� del Nord Est, auspicava l�uso di �vagoni piombati� contro i clandestini (Corriere della Sera, 12 febbraio 2001, pagina 2) e aggiungeva: �E� dimostrato che gli immigrati portano ogni genere di malattia: tbc, scabbia, aids, epatite� (Corriere della Sera, 6 marzo 2000, pagina 10). E ancora: �Io una soluzione l�avrei per tutti questi neri. Li vestirei da leprotti per la caccia. Tin! Tin! Tin!� (Corriere della Sera, 12 febbraio 2001, pagina 2). L�uso della forza contro le barche cariche di immigrati � stato pi� volte auspicato anche da Roberto Calderoli, l�attuale ministro italiano per le Riforme che ha sostituito Umberto Bossi.

Negli ultimi anni il partito di Bossi, la Lega Nord, ha pi� volte alimentato e poi sfruttato la paura nei confronti degli stranieri per raccogliere consensi. Verrebbe da osservare che senza clandestini la Lega Nord non potrebbe conservare il suo elettorato (sarebbe interessante sapere quanto questa consapevolezza abbia influito nella stesura della legge sull�immigrazione). Si tratta comunque di una presenza non trascurabile. Nelle elezioni europee del 2004 in Italia il partito di Bossi ha raccolto il 5 per cento dei voti. Significa che il 5 per cento degli elettori italiani potrebbe essere d�accordo con l�uso �del cannone che abbatte chiunque�, come ha detto il leader del partito.

Conclusioni

In Italia, la Corte costituzionale ha recentemente bocciato due articoli fondamentali della legge �Bossi-Fini�: la norma sul rimpatrio immediato senza possibilit� di difesa da parte dello straniero e l�articolo sull�obbligo di arresto per chi non rispetta l�ordine di espulsione. Il governo di Roma ha cos� avviato il processo di revisione della legge, nonostante l�opposizione della Lega Nord, e una serie di contatti con Tripoli per coinvolgere le forze di sicurezza libiche nel rastrellamento dei migranti che attraversano il deserto. Trattative mirate a ridurre le partenze delle barche di clandestini e quindi anche dei naufragi. Ma nell�agenda degli incontri tra Italia e Libia non � ancora apparsa la questione dei diritti umani. Il futuro ci dir� se la centralit� e l�integrit� dell�uomo, e quindi anche dei migranti, torneranno a ispirare le norme sull�immigrazione, ora pi� orientate al rispetto delle quote e all�esecuzione di arresti ed espulsioni. O se questi accordi non saranno invece soltanto uno stratagemma per aggirare la sentenza della Corte costituzionale e le garanzie previste dalla Costituzione italiana.

E proprio il futuro ci lascia il tempo per un�ultima riflessione. Dichiarazioni, minacce e promesse come quelle sull�uso dei cannoni o sulla distribuzione agli immigrati di tutine da leprotti per allenare i cacciatori hanno fatto sorridere i pi�. E questa � proprio una delle caratteristiche che accompagnano i messaggi dei movimenti della destra neorazzista europea: quella di non essere presa sul serio. Eppure l�esperienza dovrebbe insegnare il contrario. Pu� aiutare un esempio su quanto siano rapidi i cambiamenti del pensiero dominante, nei meccanismi che legano propaganda e consenso. Sul finire degli Anni �80 del Novecento, il Comune di Milano � seguendo l�orientamento internazionale sul rispetto dei diritti degli animali � decise di chiudere per sempre lo zoo. �Mai pi� gabbie�, era lo slogan di quel periodo. Pensare in quegli anni di mettere in gabbia un uomo o una donna, senza che avesse commesso gravi reati e senza un processo davanti al Tribunale, sarebbe stato illegale, oltraggioso, immorale. Erano trascorsi meno di dieci anni dalla chiusura dello zoo e nel 1999 Milano ha messo in gabbia i suoi primi immigrati, la maggior parte dei quali non aveva commesso reati n� aveva potuto difendersi in un processo. Tutto questo con il consenso della maggioranza del Parlamento e degli italiani. E anche oggi, in questo momento, centinaia di persone sono rinchiuse nei centri di detenzione nel frattempo costruiti in tutta Italia. Colpevoli di aver cercato di mettere in pratica la �suprema liberalit� di Dio padre � per ricordare uno dei principi dell�Umanesimo � la suprema e mirabile felicit� dell�uomo, a cui � concesso di ottenere ci� che desidera�.