Stefania Tallei
Comunit� di Sant�Egidio
La lotta alla pena di morte � diventata un elemento importante nell'ambito delle relazioni internazionali. In larga parte del mondo questa lotta � associata alla ricerca di una vera giustizia, non vendicativa ma sempre riabilitativa, che aspiri ad un pi� alto livello di civilt� e di difesa dei diritti umani di tutti, vittime e colpevoli dei crimini. La battaglia contro la pena capitale � quindi anche un modo per gli stati e le societ� di difendersi dal rischio di scendere allo stesso livello di coloro che abbiano commesso gravi crimini contro la persona. Il movimento contro la pena di morte, che � iniziato in Europa negli ultimi decenni e oggi � sostenuto da diversi stati, istituzioni e o.n.g., si � allargato nel tempo a molti paesi di ogni continente. Nonostante le difficolt�, la diffusione di questo movimento indica che il ricorso alla pena capitale sta subendo un inesorabile ridimensionamento, mentre cresce la consapevolezza che questa pena costituisce uno strumento a rischio di errore umano e di discriminazione sociale, politica, religiosa e razziale. In tante parti del mondo, cos� come nella coscienza di una moltitudine di persone, la pena capitale viene sempre pi� avvertita come una violazione irrimediabile della sacralit� della vita e della dignit� umana, che impoverisce e non difende le societ� che la applicano. La sua abolizione � considerata come parte integrante di una concezione pi� elevata e pi� impegnativa della democrazia. In tal senso, negli ultimi trenta anni, la maggior parte dei paesi del mondo specialmente in Europa, in America Latina e sempre pi� anche in Africa, hanno iniziato ad abolire o quantomeno a non eseguire le condanne a morte e la pena di morte assomiglia sempre pi� alla tortura e alla schiavit�, accettate a lungo in altre epoche da gran parte dell�umanit� e oggi finalmente percepite come aberranti umiliazioni, non solo delle vittime, ma anche di chi le infligge. La pena di morte � la spia della barbarie presente in una societ�, tra questa e la realt� della guerra esiste un legame solido anche se non sempre immediatamente percepito che occorre indagare a fondo. Con la guerra infatti, come oggi evidente, aumenta il rischio che nuovi paesi, anche tra gli abolizionisti, reintroducano o pratichino la pena capitale, sia con l�affermazione di leggi speciali o militari, sia nel sistema ordinario per il quale si allargano le ipotesi di reati per cui questa pena estrema viene comminata. Ma il legame tra guerra e pena di morte prima che giuridico � culturale: gli orrori di morte e violenza che la guerra porta inevitabilmente con s� provocano un abbassamento del valore della vita e del rispetto per la dignit� della persona. Non a caso, subito dopo la seconda guerra mondiale, nella stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si sent� l�esigenza di riaffermare congiuntamente il valore della pace ed il rispetto della vita umana, ponendo questi valori a fondamento di un nuovo ordine mondiale anche come limite ai poteri propri delle sovranit� nazionali. Credo che la battaglia per l�abolizione della pena di morte sia sempre stata alla base di ogni richiesta di cambiamento e di difesa del significato autentico della vita. Cos� ad esempio � stato negli USA quando, a cavallo degli anni �60 e �70, il diffondersi del movimento contro la guerra in Vietnam ha espresso anche una forte domanda di abolizione della pena di morte, incisiva al punto di ottenere la moratoria delle esecuzioni in tutti gli stati federali dal 1972 al 1976. Certo, nessun risultato � irreversibile, se l�impegno culturale che lo sostiene tende ad indebolirsi, come infatti � accaduto sempre negli USA a partire dal 1976, quando ben 38 dei 50 stati hanno progressivamente ripristinato la pena capitale. L�ultimo decennio � stato invece caratterizzato da una nuova crescita dell�indignazione di fronte alla realt� disumana dei bracci della morte in diversi paesi del mondo. L�appello per una Moratoria Universale, promosso dalla Comunit� di Sant�Egidio nel 1998, ha aiutato la diffusione di questa sensibilit� con la raccolta di pi� di 5 milioni di adesioni da parte di semplici cittadini, assieme a personalit� del mondo politico, religioso, dello spettacolo, intellettuali. Si � creato per la prima volta un fronte unico, interreligioso e interculturale. Lavoriamo insieme a tante altre associazioni internazionali, per la Moratoria, per fermare le esecuzioni dei minori, per l�abolizione totale, cito, tra le altre, le associazioni presenti in paesi dove � attualmente in vigore la pena capitale, come in Uzbekistan e in Giappone. L�accordo fra i diversi organismi mondiali impegnati su questo obiettivo ci sembra decisivo per essere pi� forti. Questo modo di lavorare si � dimostrato particolarmente necessario e prezioso in special modo di fronte ad alcune recenti condanne che attraverso i media in tutto il mondo sono divenute finalmente visibili agli occhi di un�opinione pubblica vasta. Due storie fra le pi� note sono quelle delle due donne nigeriane, Safiya Husseini e Amina Lawal, condannate alla lapidazione. Per loro si sono coinvolti politici, intellettuali, la stampa internazionale, le organizzazioni per i Diritti Umani, ma soprattutto si � attivata la mobilitazione di decine di migliaia di persone comuni, che hanno espresso la loro indignazione con l�invio di petizioni personali e collettive. Proprio dal sito della Comunit� di Sant�Egidio sono nate le iniziative in difesa di Safiya e Amina, che hanno dato vita a una vastissima campagna che � stata decisiva per la loro salvezza. Ulteriore impulso � stato dato dalla creazione di una giornata, il 30 novembre, che ha per protagoniste le citt� del mondo impegnate nel richiedere la Moratoria della pena di morte. La Comunit� di Sant�Egidio e la Regione Toscana, hanno voluto chiedere a ogni citt� di compiere un gesto simbolico con l�illuminazione di un monumento proprio nel giorno in cui si ricorda la prima abolizione nel mondo, il 30 novembre del 1786, da parte del Gran Ducato di Toscana. Fino ad ora sono 170 le citt� che hanno aderito e tante altre si stanno aggiungendo. Sono diventate �citt� per la vita � citt� contro la pena di morte� accomunate dal principio che NON C�E� GIUSTIZIA SENZA LA VITA - NO JUSTICE WITHOUT LIFE. Significative tra le molte, le adesioni del Cile, che ha illuminato il palazzo presidenziale, e della Colombia, dove cresce il bisogno di pace e la richiesta di frenare la violenza. Da quando � iniziata la nostra campagna pi� di 20 paesi del mondo hanno scelto di divenire abolizionisti. In una linea di tendenza, inattesa a detta di molti osservatori, si inserisce pi� recentemente anche un consistente numero di paesi africani. Si tratta di un movimento ampio, a cui partecipano nazioni africane spesso afflitte da gravi condizioni economiche o conflitti interni, che nonostante ci� hanno visto nell�abolizione della pena capitale un passaggio obbligato nel cammino verso la democrazia. Questo movimento, che si oppone alle condanne di stato, cos� come alle condanne senza appello che il terrorismo infligge a tanti, non � caratterizzato da matrici politiche e ideologiche, non � appannaggio di piccoli gruppi di specialisti o addetti ai lavori, ma ha in s� la capacit� di suscitare e guidare un�opinione pubblica sensibile e attenta a vigilare sulle violazioni dei diritti umani. Proprio per questo, esso dimostra di essere potenzialmente in grado di creare intralcio alla logica della violenza e dell�odio. La globalizzazione costituisce oggi un�opportunit� nuova per la capacit� di diffusione delle informazioni al di l� dei canali ufficiali. Si moltiplicano i forum su internet in cui i giovani esprimono una domanda di dialogo sui temi della non violenza e del rispetto per la persona e spesso anche richieste di impegno. Il nostro sito riceve migliaia di richieste di questo tipo anche relativamente all�impegno contro la pena capitale, in particolare per realizzare una corrispondenza con i condannati a morte. La crescita di questa sensibilit� non esclude per� che ci si debba anche interrogare su alcune pi� recenti tendenze negative, in particolare sull�aumento della rassegnazione nell�accettazione della guerra come male necessario e su segni di imbarbarimento che attraversano le societ� civili. � molto sentita nel nostro tempo l�esigenza di sicurezza, noi tutti la vogliamo sia nel campo internazionale, che all�interno delle singole societ�. Ma l�attuale rivendicazione di sicurezza interna alle societ� � incentrata troppo spesso sull�idea dell�eliminazione di coloro che si crede siano la vera minaccia al nostro vivere e al nostro benessere, eliminazione che si pu� ottenere con le modalit� pi� diverse, dalla crescente tendenza alla reclusione, sino a togliere la vita con la pena capitale. La pena di morte � quindi l�estrema eliminazione del male, di chi viene identificato nella societ� come il nemico interno, secondo l�approccio tipico dei modelli di �tolleranza zero�. Per altro sarebbe sufficiente, per comprenderne l�iniquit�, ricordare quanto selettivi siano i sistemi basati su queste logiche, come colpiscano prevalentemente le fasce pi� deboli della popolazione, specialmente tra i pi� giovani, le minoranze etniche, i tossicodipendenti; per tutti costoro c�� una colpa in pi�, quella di essere poveri. Cos� all�interno di una societ� si insegue la sicurezza attraverso la punizione e, in molti casi, attraverso la punizione estrema della morte, rinunciando a costruire garanzie pi� solide attraverso un paziente lavoro per la prevenzione e la rieducazione. Le risposte incentrate esclusivamente sulla repressione interna e sulla guerra, fondate entrambe sull�idea del nemico, risultano non solo disumane, ma anche miopi ed incapaci di mantenere le promesse. Ma alcune coraggiose scelte di perdono e riconciliazione, espresse da parenti di vittime di crimini efferati, dimostrano come sia possibile ricreare in se stessi la pace e comunicarla all�ambiente circostante. Queste scelte ricostruiscono le lacerazioni in profondit� e per questo contribuiscono a rendere una societ� sicura molto pi� delle richieste di punizione. La ricostruzione di questo tessuto di umanit� � particolarmente evidente nella corrispondenza con i condannati a morte. Qui siamo soccorsi dal Vangelo, che ci spinge ad avere fiducia in ogni uomo e in ogni donna e a credere che � possibile vincere il male. Penso ai 1000 condannati a morte che in questi anni abbiamo messo in contatto con altrettanti amici di penna che vivono in 55 paesi del mondo. Non abbiamo paura di scegliere qualcosa che sembra poco, come la corrispondenza, perch� invece � moltissimo. Lo ha scritto Pablo, dal braccio della morte del Texas: �Anche se so che non potete aiutarmi ad uscire di qui, potete scrivermi e essermi amici�. La parola amicizia pu� apparire inadeguata a una circostanza dalla quale sembra invece normale voler prendere le distanze. Ma la conoscenza e il rapporto personale mostrano che � possibile trovare una strada nuova per eliminare, anzi per vincere il male. In questa strada il primo passo � ritrovare il volto umano dell�uomo. Descritti come mostri, essi sono uomini e donne in ricerca di perdono, di umanit� e amicizia; ha scritto James dall�Arizona: �Ho bisogno di tante cose, ma la prima � ricevere il perdono�. E ascoltiamo Aleksiej dalla Siberia- �A volte penso che non esista pi� l�amore. I nostri parenti ci abbandonano. Prego Dio che mi dia la possibilit� di riscattare le mie colpe davanti a loro, soprattutto davanti mia madre. Credo che il Signore ascolter� la mia preghiera.� E poi c�� l�esigenza di essere ascoltati: Scrive Eric, Texas - So che le mie scelte non erano quelle giuste, ma io non sono n� il male n� il diavolo che hanno preteso di farmi essere. La corrispondenza con un condannato a morte � un po� come fare una visita in carcere, in Russia, in Zambia, in Arizona, in Texas, in Camerun. Ricevere una lettera, ricevere gli auguri per il compleanno pu� rappresentare la rottura dell�isolamento, sapere che non si � dimenticati e stabilire un ponte col mondo esterno. Ha scritto Peter dal braccio della morte dello Zambia: �Profondamente, in ogni cuore, c�� il desiderio di amare e di essere amati, perch� non siamo stati creati per essere soli e il desiderio profondo del mio cuore � di sapere che sono amato. Prego che tu non abbia mai a noia questa nostra corrispondenza. Dio ti benedica� E quando ci sono le esecuzioni dei compagni di prigionia, scrive Christian �Ogni esecuzione � un pugno che raggiunge non solo me stesso, ma anche il mondo e c�� bisogno di voci per gridare forte la giustizia e per chiedere la bont�. Tutti noi abbiamo il nostro senso di giustizia, ma la bont� dovrebbe essere universale�. La fiducia nell�uomo permette di credere che � possibile vincere qualsiasi male. E� la scoperta fatta da Delbert e confidata poco prima di essere messo a morte al suo amico di penna: �Caro Sergio, devo ringraziarti perch� mi hai aiutato durante i pi� duri tredici anni della mia vita. Grazie perch� hai accettato la mia amicizia perch� sapevi che in ogni persona c�� il bene, hai raggiunto quella parte di me, e mi hai aiutato a tirarla fuori�. Si, in ogni uomo c�� il bene, e il bene pu� vincere. Quando hanno iniziato a corrispondere con i condannati a morte, Sergio e tanti altri amici di penna, forse non sapevano di essere sulla strada di un nuovo umanesimo. Non la ricerca di sicurezza attraverso la violenza, ma il coraggio della conoscenza reciproca e del dialogo hanno donato dei sentimenti nuovi e hanno sciolto dei cuori forse induriti. La certezza che in ogni uomo c�� il bene d� la forza di credere, in qualunque condizione, con qualunque difficolt�, che � possibile sconfiggere il male.
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