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25 settembre 2000 - ore
9.00 |
Dopo il crollo del comunismo, improvvisamente nel vuoto molti hanno sentito nascere (o risvegliarsi) in se stessi la sete dello spirituale. Hanno parlato allora di "religione". Ma sono bastati pochi anni, tra l'altro con gli avvenimenti dei Balcani e del Medio Oriente, perch� la parola "religione" suonasse negativamente. Hanno detto: la religione suscita violenza, provoca la guerra. E' stato il momento in cui il filosofo franco-americano Ren� Girard sottoline� il legame esistente tra la violenza e il sacro, dicendo che ogni religione cementa la propria unit� con la denuncia e la persecuzione di un capro espiatorio. La storia in parte conferma questa diagnosi. Certamente il cristianesimo del primo millennio ha unificato e fecondato, in una relativa pace, l'Europa che nasceva. Ma nei secoli successivi la progressiva separazione dell'Occidente e dell'Oriente cristiani ha portato al sacco di Costantinopoli, nel 1204, poi agli scontri tra la Russia e la Polonia, che di volta in volta si comportavano da aggressori. Quanto alla Riforma - e alla Controriforma o Riforma cattolica -, esse hanno provocato non soltanto guerre civili spesso atroci nell'Europa centrale e occidentale, ma soprattutto la spaventosa guerra "dei Trent'Anni", che ha quasi dimezzato la popolazione della Germania. Stessa realt� nei rapporti tra le religioni. E' necessario ricordare la persecuzione del popolo ebraico fino al tentativo di sterminio della Shoah? O i duri scontri tra il cristianesimo e l'Islam? Ai nostri giorni, come dimenticare il dramma del Kossovo, i conflitti semi-permanenti tra Israeliani e Palestinesi, tra protestanti e cattolici in Irlanda del Nord e anche in India, i giganteschi massacri di Musulmani da parte di Induisti nel momento in cui il paese aveva raggiunto l'indipendenza? Certo, si dir�, sono intervenuti molti altri fattori, etnici, economici, politici e culturali. Il dramma � che la religione si � inestricabilmente legata a questi fattori, arrivando la maggior parte delle volte a designare un'appartenenza piuttosto che una fede. Anche oggi, tra cristiani e musulmani, le grandi cicatrici storiche si rimettono a sanguinare, dall'Europa dell'Est alle isole Molucche. E' attraverso queste prove che si � presa coscienza dello scandalo e che si sono aperte strade di speranza. Da questo punto di vista, la riunione di Assisi ha iniziato una vera e propria rivoluzione. La tragica esperienza delle pseudo-religioni totalitarie ha permesso d'identificare, nelle religioni contemporanee, il nucleo incandescente di una pace che non � di questo mondo, e la sua oggettivazione nell'intolleranza, la violenza, la volont� di potenza. Di fronte al nichilismo e ai sarcasmi, al moltiplicarsi delle sette, alla cattura da parte della pubblicit� del desiderio d'infinito degli uomini, si verifica un riavvicinamento tra tutti coloro per i quali la vita ha un senso, per i quali la morte non pu� avere l'ultima parola, perch� in fondo al mondo, al di l�, non c'� il nulla, ma l'eternit�. Questo riavvicinamento, voglio sottolinearlo, non � il tentativo di una guerra santa contro l'ateismo e la modernit� (nella quale si mescolano bene e male), ma � la volont� di incontrare l'altro nell'ammirazione e nel rispetto, � l'elaborazione, per tutti, di una speranza comune. I "diritti dell'uomo", soprattutto grazie a Giovanni Paolo II, hanno smesso di opporsi ai "diritti di Dio", poich� l'uomo � "l'immagine di Dio", poich� egli si radica nel divino. Questo permette un riavvicinamento con gli agnostici di buona volont� per i quali l'uomo � un enigma irriducibile. Davvero, attraverso gli orribili laboratori del XX secolo - guerre totali, regimi totalitari, shoah, gulag e favelas affamate dell'emisfero australe, alcuni hanno rifiutato di cedere, hanno dimostrato che l'uomo � un essere di comunione di compassione, di rivolta, anche di fronte all'orrore. L� si � rivelato il nucleo di fuoco delle religioni. Prendiamo le grandi religioni dette "monoteiste", per le quali, da ultimo, il divino � trascendente e personale. Tutte possono manifestare una reale apertura, tutte possono unirsi per la difesa della pace. Il Giudaismo parla dei "giusti delle nazioni" e dell'universale alleanza "noachita", l'Islam di una sorta fede ontologica legata all'esistenza stessa dell'uomo, - per cui il primo grido del neonato e l'ultimo respiro dell'agonizzante compongono il nome divino. Il cristianesimo evoca un Dio che � talmente Uno che porta in se stesso il mistero dell'Altro e diventa sorgente di comunione. Per quanto riguarda l'Asia profonda, induismo e buddismo, essa ci propone utili metodi di meditazione per purificare la mente dai "pensieri" e prepararsi finalmente a un'altra conoscenza dove tutto l'essere si unifica e si pacifica. La convergenza con la praxis esicasta - l'esicasmo � la via contemplativa dell'Oriente cristiano - appare qui evidente. Attraverso tutto ci�, senza alcun sincretismo, ci sono dunque le basi di un'etica comune. Si aprono cos� alcune grandi domande: come trasferire le energie religiose dalla battaglia per la guerra a quella per la pace? Come allargare l'ascesi individuale, di tipo monastico, ad attitudini personali e collettive capaci di segnare la cultura e la storia? Al contrario, come evitare di dissolvere la specificit� del religioso nell'umanitarismo contemporaneo?
Conclusione Vorrei ora, al termine della nostra riflessione, tentare a mia volta di rispondere alle questioni che ho appena sollevato. Come trasferire le energie del religioso dalla battaglia per la guerra a quella per la pace? Cio� come trasformare la violenza che distrugge in forza protettrice e creatrice... Bisogna passare attraverso l'interiorit�', passare, come dice l'Islam, dal "piccolo" jihad, che � lotta contro l'infedele, al "grande" jihad, che � lotta contro le passioni, in primo luogo quelle dell'aggressivit� e della violenza. Insomma, passare dalla morte dell'altro, questa fuga davanti alla mia propria morte, all'esperienza e all'esteriorizzazione di questo mistero di morte - resurrezione che si trova in tutte le grandi tradizioni spirituali. La forza aperta allo Spirito pu� anche diventare creatrice di cultura e di bellezza. Forse verr� il tempo, dopo che gli innumerevoli boia del XX secolo hanno impresso l'orrore sull'umanit� e sulla natura, d'inventare umilmente, alla luce delle arti sacre strappate alla pietrificazione e alla decadenza, una poetica del sensibile, delle cose e dei volti. All'unisono di una filosofia dove si accorderanno il senso orientale della profondit� e il senso occidentale dell'alterit� e della comunione. Pensiamo a questi prodromi gi� lontani: il ruolo dell'arte giapponese nell'impressionismo, dell'arte africana nel cubismo. O, recentemente, la trasformazione della musica occidentale ossessionata dal nulla nel rai magrebino spesso molto pi� positivo... L'ascesi, la bont�, infine il gioco. Ritrovare il carattere agonistico della civilt� greca antica. Basta pensare all'importanza attuale dello sport, al ruolo dei "giochi olimpici". Qui le Giornate mondiali della Giovent� ci indicano la strada. Abbiamo cos� iniziato a rispondere a questa seconda domanda: come passare dall'ascesi individuale, di tipo monastico (ad esempio l'ascesi buddista che attira oggi tanti intellettuali occidentali) ad atteggiamenti che, prolungandola, siano in grado di segnare la cultura e la storia? Anche qui abbiamo degli esempi, e delle realizzazioni: l'esempio di Gandhi che faceva dell'ahimsa, virt� ascetica individuale, un potente valore collettivo; Martin Luther King e l'evoluzione recente del Sud Africa. O ancora il paziente lavoro di Sant'Egidio che elargisce l'amore cristiano in dialogo rispettoso di tutti, un dialogo creativo e pacificante. Pi� ampiamente, vorrei evidenziare, con Soljenitsyn, tre grandi atteggiamenti con i quali l'ascesi diventa lotta di civilt�: - alla luce del digiuno, la limitazione volontaria per permettere una giustizia e una condivisione planetarie; per creare anche una distanza tra ci� che permette la tecnica e ci� che la societ�, dopo aver riflettuto, deve volere. All'incirca il contrario della pubblicit�, del consumo sistematico, della sottomissione alle possibilit� tecniche se esse corrispondono all'attrattiva del guadagno e ai sogni del prometeismo e dell'eugenismo; - il perdono, non soltanto individuale ma collettivo, per rompere le catene dell'odio. Perdono dove la memoria si purifica, dove l'avvenire si apre, come ha ben capito Giovanno Paolo II. Senza dubbio si potrebbe dire che con l'unificazione del pianete la designazione di un capro espiatorio perde senso; resta l'amore attivo. - la simpatia spirituale attiva, per gli esseri e le cose. Non si tratta, come nelle religioni della madre - terra, di dissolversi nella natura, ma di salvaguardarla, di abbellirla, addirittura di spiritualizzarla. La "democrazia", di cui bisogna inventare nuove forme, dovr� strutturarsi non soltanto attorno ad una societ� civile attiva, ma anche attorno a "rinunciatari", sia contemplativi che attivi, capaci di fare spazio all'invisibile e di offrire un servizio disinteressato. Allora la specificit� delle religioni non rischier� pi� di dissolversi nell'umanitarismo contemporaneo, di cui rischia oggi di apparire come una semplice variet� sentimentale. Soltanto la religione pu� dare un senso alla morte. La fuga di fronte al nulla - questo orizzonte insormontabile della nostra cultura secolarizzata - provoca il bisogno di avere schiavi e nemici. Schiavi, per sentirsi dei, nemici, per proiettare su di essi la nostra ombra. Ora, il religioso, riportato al suo "nucleo di fuoco", significa, in un modo o nell'altro, l'annientamento del nulla. O l'uomo diverr� pazzo per l'intossicazione del nulla, inventando feste senza alcun contenuto tranne lui stesso, o trover� nello spirituale la strada per una vita illimitata. Questo significa, per gli uomini di religione, un umile e tenace combattimento, dove occorrer� di volta in volta resistere e ispirare. In questo modo tutto si riassume nella domanda: come affamare di Dio gli uomini? Come fare perch� la vita stessa, con le sue gioie e le sue angosce, li affami di Dio? Non c'� altra risposta che l'invenzione di una santit� capace di illuminare tutta la complessit� della vita sociale e cosmica. Capace di illuminare tutto senza imporre nulla, come Dio. |