Io rappresento un paese, la Catalogna, che la geografia e
la storia, nei mille anni della sua esistenza, hanno sempre obbligato a
fare uno sforzo di convivenza e di apertura. Solo nelle epoche di
decadenza, quando non sent� di avere le forze per mantenere il dialogo e
il contatto con altri popoli, ha cercato di salvare la sua identit�
chiudendosi in se stesso. Ma fortunatamente questi periodi non sono n� i
pi� lunghi n� i pi� significativi della nostra storia. Tuttavia non �
una questione di fortuna la nostra situazione attuale.
Siamo una paese che per alcuni secoli ha avuto una frontiera con l'Islam
molto permeabile. Una delle vie principali di penetrazione della cultura
araba, che allora era pi� brillante di quella dell'Europa cristiana, �
stata la Catalogna, e soprattutto attraverso i luoghi monastici e le
cattedrali di Barcellona, Vic e Ripoll. E' bene ricordare questo proprio
adesso che si commemorano mille anni di Papa Silvestro II, ossia, il
monaco Gerbert, nato a Occitania ma che proprio a Ripoll e a Barcellona ha
ricevuto le conoscenze scientifiche di origine araba che gli hanno
conferito una personalit� unica e una influenza eccezionale in tutta
Europa.
In seguito la Catalogna ha vissuto molto intensamente i conflitti
religiosi del sec. XIII. E ha dato figure di mentalit� molto
universalista, come Ramon Lull, che innanzitutto ha cercato di stabilire
ponti fra il Cristianesimo e l'Islam. Nonostante ci� la Catalogna ha
conosciuto anche una manifestazione di antisemitismo violento nel 1391. E
ha sempre vissuto fra l'influenza culturale e politica spagnola e
francese, e di fronte alle due ha dovuto difendere la sua identit�
culturale, la catalana. Ed � sempre stata un paese di passaggio. Non �
stato un territorio protetto dalla geografia, n� dalla demografia. E'
stato un paese obbligato ad aprirsi a diverse onde migratorie, dal Sud
della Francia prima, dal resto della Spagna poi, e in misura molto grande,
e in questi tempi dal nord Africa e dall'Africa sub-sahariana. E ha sempre
dovuto conciliare l'arrivo di nuove persone, di lingua, valori e costumi
differenti -e ora di religione differente- con la sua identit� evitando
la frattura sociale e umana del paese. Infine voglio ricordare che,
durante tutta la nostra storia, abbiamo fatto parte di unioni politiche
maggiori del nostro ambito territoriale, politico, linguistico e
culturale, e che pertanto, abbiamo sempre dovuto difendere formule di
coesistenza che tenessero conto delle differenze. Cos� � stato durante
il Medio Evo con la struttura di fatto confederale del Regno di Aragona, e
lo stesso cerchiamo di fare oggi con la struttura statale spagnola.
Se vi spiego tutto questo � semplicemente per contribuire con una
esperienza personale -e anche collettiva, quella di tutta la Catalogna-
che dice che la convivenza � possibile, e che l'unico modo valido �
rispettare i valori delle diverse personalit� che convivono. Spesso
all'origine del vivere insieme non c'� stato un atto di volont�,
l'ingresso non � stato desiderato, o addirittura � stato temuto.
Infatti, parlando concretamente dell'immigrazione, si pu� dire che
inizialmente non � desiderata n� da chi emigra n� da chi la riceve. Ma
lo sforzo di dialogo, di rispetto e di comprensione rendono possibile la
convivenza.
Portare questa esperienza non significa dare un contributo molto
importante a questo Convegno di Studio. Ma ho osato farlo perch� nel
cuore dell'Europa, senza andare molto lontano da qui, durante l'ultima
decade del secolo XX abbiamo vissuto terribili casi di mancanza di
convivenza. Per motivi religiosi, linguistici, culturali e di memoria
storica male utilizzata. La Catalogna probabilmente � un paese dove le
cose sono molto pi� facili rispetto a molti paesi balcanici, e anche a
tutta la Spagna, e pertanto � possibile che il merito sia relativo. Ma
ci� non toglie che sicuramente abbiamo dovuto fare ripetuti sforzi di
convivenza, superando, e ritengo superando bene, tensioni linguistiche,
ricordi di una guerra civile selvaggia, problemi derivati da immigrazioni
massicce -e oggi nuovamente abbiamo questo problema questa volta per
giunta con connotazioni religiose-. Per questo, con tutta modestia, ho
parlato dell'esperienza del mio paese.
A partire da questa esperienza, quali conclusioni traggo riguardo ai
meccanismi e alle attivit� che favoriscono la convivenza?
Personalmente ritengo che, partendo da quella che potremmo chiamare una
dottrina personalista, � necessario collocare la persona concreta al di
sopra qualsiasi altra considerazione. E della persona ci� che �
necessario rispettare e salvare principalmente � ci� che fa la persona,
il nucleo che costituisce la persona. E ci� richiede di salvare e
rispettare l'ambiente senza il quale questo nucleo non � praticabile o
resta molto limitato. La persona � la priorit� assoluta, e mi riferisco
alla persona individuale. Ma la persona non � un'isola. Ossia bisogna
rispettare non solo la persona individuale, ma anche all'ambiente sociale,
culturale ed umano di cui la persona ha bisogno per svilupparsi.
Ritengo anche importante una pedagogia chiara sui diritti e sui doveri. A
volte ci sono ambienti dominanti che insistono solo sui doveri della
minoranza. E ne abusano. Altre volte, al contrario, ci sono maggioranze
complessate che non osano dire che la minoranza ha diritti, ma anche
doveri verso la collettivit�. I complessi di superiorit�, gli
atteggiamenti di marginalizzazione, le azioni di sfruttamento, tutto ci�
� male.
Molto male. Ma infine quasi sempre la convivenza esige un grande sforzo di
reciprocit�. E' certo che molte volte � necessario un maggiore sforzo di
avvicinamento da parte degli uni e degli altri (pi� aiuto umanitario, o
pi� espiazione e pi� riconoscimento di mancanze o di crimini passati, o
pi� riparazioni di qualsiasi tipo), ma molte volte, nonostante con
diversa intensit�, l'avvicinamento e la riparazione devono essere
reciproci. Poco o molto, prima o poi, tutte le parti devono fare uno
sforzo di mutua comprensione. Tutte, poco o molto, prima o poi, dovranno
praticare l'empatia, cio�, la capacit� di identificarsi con l'altro, di
mettersi nella pelle dell'altro.
Permettetemi di parlare adesso di un caso vissuto proprio da me: quello
della guerra civile spagnola. Perch�, a dispetto dei pronostici di molti,
il ricordo e tutte le conseguenze di una guerra civile che � stata
crudele -crudele nella retroguardia fra civili, con molti assassinii e
distruzioni di tutti i tipi- sono stati superati in modo francamente
positivo. Evidentemente, per diverse ragioni. In primo luogo, perch� era
passato del tempo. Ma in altri casi simili, in cui era anche passato pi�
tempo, si sono create situazioni di nuova e gravissima violenza. In
secondo luogo, il paese si era sviluppato molto economicamente e si era
creato benessere. E questo significa che le condizioni in cui si vive
-economiche o di mentalit�, di benessere o di sensibilit�- contano
molto. Pertanto, � necessario migliorare tali condizioni per facilitare
la convivenza. Anche in questo caso si pu� dire che ci� che � decisivo
� la persona umana, ma che la persona umana non � un'isola. Ma infine �
entrata in gioco l'empatia. Un grande esercizio di empatia collettiva.
Vale la pena dire che, nel caso concreto della Spagna, c'era il vantaggio
che da ambo i lati ci sono stati crimini, ingiustizie molto gravi,
barbarie. Tutti siamo stati carnefici e al tempo stesso vittime. E al
fondo molti spagnoli dei due campi erano coscienti di questo. Nessuno
poteva avere sentimenti di superiorit� morale.
All'inizio non fu cos�, n� per alcuni anni a seguire. Non lo era
principalmente in quelli che furono i protagonisti diretti, attivi o
passivi, della barbarie. Ma la realt� della doppia colpevolezza era tanto
evidente, che i sentimenti negativi non si poterono trasmettere con molta
forza. E l'empatia, la capacit� di mettersi nella pelle dell'altro �
stata possibile.
Quando, durante gli anni '50, il Partito Comunista Spagnolo lanci� la
campagna detta di riconciliazione nazionale, lo fece, molto probabilmente,
per motivi strettamente politici. E perch� il rapporto di forza fra i
vincitori e gli sconfitti della guerra civile erano talmente favorevoli ai
vincitori che dalla parte degli sconfitti non si potevano fare proposte
pi� aggressive.
Anche cos� il concetto di riconciliazione conteneva intrinsecamente un
riconoscimento di mutua responsabilit� e di mutua colpevolezza. Non so se
il partito Comunista aveva coscienza di ci�, ma ci sono proposte che
hanno effetti che vanno al di l� dell'intenzione dei suoi autori.
Uno degli ostacoli alla riconciliazione e alla convivenza a volte � il
fatto che con il tempo gli sconfitti esigono una vendetta morale basandosi
sul fatto di aver sofferto di pi�. Questo aiuta a creare un sentimento di
superiorit� morale. Non dal primo momento. All'inizio i vincitori credono
di aver vinto perch� sono buoni. Ma spesso con il tempo questo sentimento
si attenua e al contrario gli sconfitti mantengono l'auto stima grazie ad
un sentimento di superiorit� morale. Gli uni e gli altri devono sapere
che la tendenza ad abusare di una situazione favorevole � universale.
Illustrer� questo, per concludere, con un incidente personale, di quando
ero bambino.
Lungo la costa catalana ci sono molte torri di difesa, di solito sille
colline unite al mare. Sono chiamate "torri di guaita", ossia,
di vigilanza, o anche "torri di mouro". Quando ero piccolo,
chiedevo a mia nonna: "A cosa servono queste torri?" E lei mi
diceva :"Tanti anni fa arrivavano l navi dei mori e attaccavano le
popolazioni e uccidevano la gente e portavano via i bambini. In quel
tempo, da queste torri vedevamo se i mori arrivavano e avvisavamo la gente
di fuggire".
Alcuni anni pi� tardi, gi� ero grande, ho visitato la Tunisia, e a
Monastir ho visto un grande castello vicino al mare. E ho domandato:
"A cosa serviva questo castello?". E un amico tunisino mi ha
risposto: "Molti anni fa arrivavano i cristiani e attaccavano le
popolazioni e uccidevano la gente e portavano via i bambini. Quando ci
attaccavano, ci rifugiavamo qui".
Il fatto � che sia mia nonna sia l'amico tunisino avevano ragione. Gli
uni e gli altri erano stati pirati, quando erano forti, e gli uni e gli
altri erano state vittime quando erano deboli. E nessuno di noi era
moralmente superiore all'altro.
A me, esperienze come questa, o come la riflessione sulla nostra guerra, o
come quella del contatto costante con l'immigrazione mi hanno fatto capire
molte cose sulla convivenza. Il fatto � che capire una cosa non sempre
vuol dire saperla applicare bene.
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