Il mio intervento riguarder� la citt�, per eccellenza
luogo di coesistenza di fasce di popolazione diverse per origine, cultura
e religione. Il mio contributo nasce dalla ricerca che ho svolto in
teologia pratica, alla Facolt� di Teologia di Lilla, a partire dalla
pastorale vissuta nei quartieri popolari della Francia settentrionale, che
mi ha portato ad osservare l'insorgenza di una nuova cultura della
convivenza. La quale, per�, non � senza pericoli per l'avvenire delle
nostre societ�, in particolar modo per le periferie metropolitane.
Permettetemi di azzardare qualche elemento di analisi del contesto e
dell'evoluzione che ho potuto osservare, prima di evocare come la Chiesa
cattolica, ma anche tutte le altre religioni presenti sul campo, pu�
aiutare ad orientare quest'evoluzione, ed apportare un contributo ad una
cultura pi� aperta di convivialit� cittadina.
A. L'urbanit�
Tutte le fasce di popolazione dei quartieri popolari delle nostre citt�,
nonostante la loro diversit�, ed anzi, proprio all'interno di tale
diversit�, condividono quella cultura generalizzata che i sociologi
chiamano urbanit�. L'urbanizzazione, scrive Thierry Paquot , "non �
pi� un soglio statistico, un dato quantitativo, ma � un processo che
trasforma costumi, credenze, comportamenti, ecc." . L'urbanizzazione
non si riduce quindi ai movimenti demografici dalla campagna alla citt�,
dal centro alla periferia� Costituisce invece davvero l'entrata in una
nuova civilt� che offre un sistema differente di valori sociali, induce
dei comportamenti inediti, esige che ci si conduca in modo tale da
garantire una convivenza armoniosa in ambiente urbano. L'insieme di questi
dati � racchiuso nel concetto d'urbanit�, che possiamo considerare come
il quadro socioculturale nel quale gli individui accedono
all'umanizzazione ed alla socializzazione. Non bisogna per�
generalizzare: non possiamo esimerci da un'analisi rigorosa che evidenzi
tanto la diversit� dei gruppi umani, quanto anche la diversit� dei modi
d'identificazione personale e di socializzazione.
B. Riconoscere la molteplicit� nell'ambito dell'urbanit�
Molteplici sono le realt� umane nelle nostre citt�. Troviamo dei
quartieri popolari dove vivono fasce di popolazione il cui tessuto sociale
� stato incrinato dalla crisi socioeconomica, in cui la disoccupazione
costringe molti abitanti quasi agli arresti domiciliari, fasce di
popolazione spesso giovani e sradicate dalle loro origini, senza memoria .
In altri quartieri pi� residenziali, si trovano fasce di popolazione
spesso sottoccupate, con ritmi di vita talmente frenetici, che nei loro
spazi residenziali il bisogno principale � di tirare il fiato e
recuperare le forze. Non � che la vita vi sia per forza pi� facile.
Possono insorgere anche altre difficolt� (divorzio, solitudine,
alcolismo, ecc.). Bisogna pure citare le vecchie popolazioni del luogo,
disseminate nella diversit� di questi quartieri, che hanno visto la
citt� estendersi sul proprio territorio e fagocitarlo.
I bisogni espressi dai primi due tipi di fasce di popolazione menzionati
definiscono spesso la loro modalit� di socializzazione. Quelle che si
chiamano generalmente "classi medie" sono spesso interlocutori
attivi delle �quipes amministrative territoriali: disponendo di gi�
delle risorse necessarie ad assicurare la sopravvivenza, ci� che
domandano alle autorit� � di fornire infrastrutture e servizi. Invece,
nei quartieri pi� difficili, dove la maggiore scarsit� di risorse non
permette di soddisfare tutti i bisogni vitali, le domande sono differenti.
Dovendo affrontare problemi troppo numerosi (disoccupazione, insicurezza,
assenza di servizi sociali), gli abitanti finiscono per lasciarsi invadere
da un sentimento di malessere. I servizi territoriali avranno allora ad
ingaggiare sforzi sul fronte dell'assistenza attraverso tutta una gamma di
strumenti di riabilitazione, di sostegno di progetti, ecc., sforzi certo
proporzionali al pubblico impegno di solidariet�, ma anche al timore di
vedere sfociare in violenza le tensioni sociali.
Tutta questa diversit�, che non posso ulteriormente analizzare nel quadro
del presente intervento , evidenzia che, nel campo dell'urbanit�, il
processo che porta a diventare umani (e di conseguenza a diventare
credenti !) � differenziato. Le religioni non possono ignorare tale
diversit�: devono anzi tenerla in debita considerazione, nelle loro
iniziative, se ambiscono alla coerenza.
C. L'urbanit� genera una crisi permanente.
Caratteristica dell'urbanit� � la convivenza di diverse fasce di
popolazione in uno spazio comune, convivenza che � sempre il risultato di
un compromesso tra perpetue tensioni, che � sempre in equilibrio
instabile. Quel che si vive oggi nei quartieri popolari metropolitani non
� una crisi passeggera, anche se gli effetti ne sono moltiplicati dalla
crisi socioeconomica. Dobbiamo ben capire, compenetrarci del fatto che la
violenza � insita alla citt�; la violenza che si lamenta oggigiorno sui
mezzi di comunicazione spesso � solo una violenza secondaria, derivata. I
meccanismi che generano l'angoscia, e predispongono alla violenza,
provengono dalla stessa necessit� di vivere insieme all'interno dei
quartieri metropolitani. Fin dall'antichit�, la citt� � apparsa come
l'alternativa della societ� tribale.
La citt�, in se stessa, � un'esperienza violenta, e all'origine della
civilt� urbana si trova una violenza fondamentale. Questa violenza,
Thierry Paquot, storico della citt�, la presenta nel suo Homus urbanus ,
parlando della citt� antica: "Conviene immaginare queste famiglie
all'epoca in cui le credenze non sono ancora state alterate: ognuna di
loro possiede una religione con i suoi dei, preziosa eredit� su cui deve
vegliare. La pi� grande disgrazia che la pietas familiare debba temere,
� che il lignaggio si spezzi, perch� allora la sua religione
scomparirebbe dalla faccia della terra, il focolare si estinguerebbe,
tutta la catena dei suoi morti cadrebbe nell'oblio e nell'eterna
miseria".
Ci� che marca il passaggio dall'organizzazione tribale della societ�
alla civilt� cittadina, � il superamento della paura di perdersi, di
perdere la proprio identit�. La citt� � lo spazio condiviso da diverse
trib� che organizzano la loro convivenza su un territorio messo in
comune, assumendo il rischio di perdersi. Quando la convivenza �
gratificante, quando ci si sente riconosciuti, rispettati, integrati, il
passaggio si opera senza troppi problemi; quando invece la convivenza
diventa problematica e deludente (non riconoscimento, non rispetto,
esclusione), la paura e l'angoscia aumentano. Per esempio, cosa
permetter� ai giovani, la cui identit� � insicura, che mancano spesso
di prospettive a lungo termine, di superare lo stadio della solidariet�
tribale, per aprirsi ad una convivenza pi� ampia ? Tale processo � reso
pi� difficoltoso laddove gruppi umani sradicati dalle proprie origini,
che stanno perdendo le proprie memorie, messi in situazione di
precariet�, debbono inventarsi un modo di vivere insieme. Se non si
supera la paura di perdersi, � molto probabile che aumenti
l'aggressivit� verso il diverso, percepito come minaccioso.
Le religioni che s'interessano al contesto in cui operano avranno a
prendere in considerazione queste prospettive. E' a tale condizione che
potranno partecipare alla nascita di una nuova cultura della convivenza.
D. Il ruolo delle religioni nella cultura della
convivenza.
Sembra proprio che in paesi come la Francia, pur segnati da una forte
tradizione di laicit�, stiano aumentando le richieste sociali rivolte
alle religioni: si intuisce che queste dovranno assumere un ruolo, assieme
ad altri partner, nello sforzo di rendere possibile una convivenza
armoniosa. Come fare per confermare ci� che non � ancora che
un'intuizione per i poteri pubblici, tanto pi� significativa quanto pi�
la situazione sta trasformandosi in emergenza?
L'ambito limitato di questo intervento mi costringe ad essere sommario, ma
desidero offrire soltanto qualche elemento da sviluppare nei nostri
scambi, e che potr� alimentare i dibattiti.
Le religioni contengono un'apertura sull'universale che impedisce loro di
rinchiudersi su di un gruppo particolare, e che pu� costituire una
prevenzione contro la tentazione di ridurre tutto ad una questione di
comunit�.
Le religioni rendono testimonianza di una salvezza che riguarda l'uomo
nella sua interezza, e tutti gli uomini; sono perci� portatrici di una
visione dell'avvenire che permette di rifiutare la chiusura nell'imminenza
del presente.
Professando un Dio creatore dell'universo, le religioni monoteiste
attestano che non vi � che una sola umanit�. Questa tradizione pu�
sostenere la coscienza di un'appartenenza solidale all'umanit�, come pure
la riattivazione di una comunit� di destino che trascenda le divisioni
prodotte dalle particolarit� individuali.
La dimensione etica delle religioni, intimamente connessa al rapporto che
unisce Dio all'umanit�, trasforma in modo speciale lo sguardo che
portiamo sull'altro, e fonda il rispetto dell'altrui dignit�.
Per concludere, lasciando cos� posto alla discussione, vorrei riaffermare
l'importanza del ruolo che le religioni possono assumere nella nascita di
una cultura della convivenza. E' tuttavia necessario insistere sul fatto
che le religioni debbono accettare di non occupare tutto il campo sociale,
e di non arrogarsi il diritto di dettare legge nello spazio pubblico. La
convivenza deve fondarsi su un'accettazione radicale del pluralismo degli
approcci e delle iniziative che vengono da gruppi diversi. In tal senso,
la laicit� e la democrazia costituiscono forme sociali positive e
moderatrici che garantiscono una convivenza armoniosa, nella misura in cui
non pretendono di diventare un'alternativa alle religioni. Questo sistema,
per�, non pu� fornire, da solo, i fondamenti della convivenza: pu� solo
garantirne il contesto generale. Le religioni, invece, se accettano il
pluralismo, possono fondare e riattivare le ragioni che permettono agli
individui di legittimare gli sforzi consentiti per realizzare una
convivenza armoniosa.
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