Comunità di S.Egidio


Patriarcado
de Lisboa


26 settembre 2000 - ore 9.00
Centro Cultural de Bel�m - Sala Siaca
Tavola Rotonda
Quale anima per l'Europa?

Teodor Baconsky
Ambasciatore di Romania presso la Santa Sede

 

In apertura del mio intervento, desidererei ringraziare i miei amici della Comunit� di Sant'Egidio per la tenacia di perpetuare la tradizione delle riunioni internazionali "Uomini e religioni". E' senz'altro un onore per me trovarmi qui, in una cos� distinta compagnia. Penso che la mia presenza a Lisbona ricorda l'Incontro di Bucarest - organizzato due anni fa - come anche il desiderio degli ospiti ospitanti di ascoltare le voci degli europei dell'Est sempre pi� presenti, si potrebbe asserire, nel dibattito dei problemi che il mondo contemporaneo deve affrontare. Mi sia consentito di parlare di alcune cause che ci impediscono di poter salutare, ancora, la manifestazione dinamica e plausibile di una vera "anima" europea.
Come si sa la storia culturale dell'Europa � cosparsa di metafore anatomiche. Questo fatto retorico segna, secondo me, la permanenza di alcune nostalgie organiciste, ma anche l'influenza effettiva del Nuovo Testamento, nelle cui pagine la Chiesa - la societ� umana potenzialmente perfetta - � descritta come Corpo di Cristo. Non far� qui nemmeno la bozza di questa storia immaginaria, lungo la quale il vocabolario barocco - pensiamo a Sant'Agostino e alle sue "ginocchia del cuore" - si coniuga con il simbolismo gerarchico dei vari organi. Ho fatto una semplice allusione alla rispettiva tradizione anatomica, solo per mettere in prospettiva la metafora di cui ce ne occupiamo in questa sede: l'anima dell'Europa. Il semplice fatto che descriviamo l'energia delle nostre societ� come "un'anima" dimostra che gli antichi dibattiti teologici - da cui si � plasmata la coscienza europea - sono sostanzialmente attuali, al di l� del loro formalismo desueto. Mirata con attenzione, questa ricerca di una "anima" europea suppone alcune premesse di natura critica: 1. Prima di tutto mi sembra che l'Europa abbia gi� un "corpo", ma che a questo corpo manchi una dinamica psicologica e una risorsa "animatrice" di consenso civico. 2. In secondo luogo abbiamo il sentimento che le difficolt� della costruzione europea siano causate dall'assenza di un ideale in grado di completare le politiche comunitarie mediante l'associazione di nazioni equilibrate. 3. Insomma risentiamo l'esigenza di "umanizzare" i rapporti tra gli organismi europei e gli attuali o i futuri cittadini dell'Unione. Queste tre supposizioni - particolarmente serie - ci mostrano che "la volont� di anima" palesata in seno alle societ� europee non sia una licenza poetica: abbiamo a che fare con una problematica direttamente collegata alla nostra vita, cos� come essa si svolge qui e adesso. Chiedo il permesso di riflettere, prima di tutto, sulle sopra ricordate premesse.
La prima sostiene che - per varie ragioni storico-ideologiche - i popoli europei non sono pi� beneficiari di un principio spirituale unificante. L'Europa si riduce ad una impersonale esteriorit� funzionale che provoca un vuoto teleologico, una carenza di quegli scopi spirituali nell'assenza dei quali qualsiasi impresa umana scivola in una scialba inutilit�. Essa produce merci, cultura di consumo e trattati, ma non significati collettivi e neanche motivazioni individuali. Evidentemente, non possiamo pretendere agli organismi europei di "generare" una spiritualit� comunitaria. Possiamo per� esigere il superamento di quella modernit� sotto il cui impatto il politico ha soffocato il religioso, considerando che il progresso non pu� avere luogo che contro le Chiese cristiane. Se questo comportamento critico non impregner� la mentalit� degli eurocrati, allora il deficit di spiritualit� verr� compensato con nuovi surrogati, di ispirazione settaria-fondamentalista o neoideologica. Ci sarebbe bisogno di un Concilio Vaticano II anche a Bruxelles, dato che parlare semplicemente di postmodernit� non � sufficiente per sbarazzarsi dai dogmi di un'epoca, dalla superstizione della onniscienza programmatrice e dall'ipocrisia dell'umanesimo astratto. Mediante un'operazione di purificazione concettuale quelli che decidono oggi il destino dell'Europa non favoreggerebbero oggi un nuovo clericalismo e tanto meno le temibili derive fondamentaliste, quanto un'aperta riflessione che sa fruttificare la tradizione, rispettando nel contempo il potenziale democratico dell'autentico impegno religioso.
La seconda premessa critica a cui facevo riferimento denunciava l'assenza di un ideale comunitario. Dopo la seconda guerra mondiale gli stati europei occidentali hanno capito che sar� possibile non dichiararsi reciprocamente la guerra, solo a patto che sappiano reprimere il proprio "nazionalismo". Questo compito � stato semplificato dall'esistenza della guerra fredda che metteva davanti a loro un avversario ossessivo e, per cos� dire, unitario. Dopo il 1990 il tentativo degli stati ex-comunisti di riaffermare la propria dignit� nazionale � stata subito demonizzato nell'Occidente. Ulteriormente e fino a pochi giorni fa i Governi dei quattordici stati dell'UE hanno ritenuto che fosse pi� facile sanzionare economicamente tutta l'Austria, invece di chiedersi quali fattori psico-sociali abbiano garantito l'ascesa di Jorg Heider e quali fossero i metodi per arrestare - sin da principio - tali manifestazioni politiche. Il problema � che alle nazioni � stato chiesto di superare il nazionalismo, ma non � stato detto loro con che cosa lo potessero sostituire. Per loro, l'Europa � la somma di alcune istituzioni che non prolungano in modo organico la vita degli stati, ma si colloca - in maniera tendenziale - al di sopra di essi. Da un grandioso mezzo pacificatore e civilizzatore, il processo di costruzione dell'Unione Europea si � trasformato in uno scopo indipendente, pi� simile alla linea dell'orizzonte, che ad una meta poliedrica di un percorso razionale. L'inerzia del pensiero politico utopistico � forse colpevole della nostra pessima relazione con lo spazio europeo. Invece di considerare l'Europa un'associazione qualitativa di stati democratici e l'armonizzazione complessa di patrimoni nazionali distinti, abbiamo spesso l'impressione che il futuro del continente circoscrive un altrove verso cui ci spostiamo insieme, uscendo dalla nostra matrice originaria. L'attuale vulgata della costruzione europea preconizza una Nuova Europa, una specie di terza via, sospesa tra il rinnegamento della memoria e l'ingegneria futurologica della pragmatica transazionistica. Una tale costruzione non regger� perch� non si pu� costruire una casa su fondamenta annullate e non si pu� neanche garantire la struttura portante, se il progetto viene modificato ogni dieci anni. Si addice trovare nel passato dell'Europa non solo crimini ed errori che devono essere evitati d'ora in poi, ma anche ottiche e valori che possono ispirare il progetto delle generazioni emergenti. Oggid�, l'Europa � soffocata da una cultura della colpevolezza. Tutto quello che hanno fatto i nostri predecessori sembra condannabile, eccessivo, respingente e - quindi - inutilizzabile. Per compensare il deficit di idealit� in cui soccombiamo, sarebbe auspicabile la costituzione di una cultura della vergogna, in cui la nozione di onore, l'orgoglio di essere europeo, ispiri la pratica di una garbatezza morale a slancio filantropico e comunitario.
Menzionavo, in fine, l'esigenza di "umanizzare" i rapporti tra gli organismi dell'Unione e i suoi cittadini. Non mi riferivo all'eccessivo richiamo alla democrazia diretta e alla sostituzione del parlamentarismo classico con un sistema (populista) di consultazione referendaria. Pensavo all'obbligo di lanciare messaggi semplici che lascino posto alla carit�, ai sentimenti fondamentali, ai bisogni reali, cos� come li viviamo nell'intimit� della famiglia, del nostro cerchio di amici, o all'interno della nostra comunit� locale. Le necessit� della gente vengono effettivamente sepolte dalle perizie astratte che limitano la passione dell'umanit� alla proiezione elettorale e confonde la pulsione vitale con la normalit� della condizione di consumatore. Sono stati prodotti tanti gerghi impenetrabili, tanta perizia specializzata, tante stereotipe formule statistiche e categorie globali, che il cittadino dell'Europa - membro di una nazione, erede di un patrimonio locale ed esponente di una certa sensibilit� confessionale - si sente a buona ragione abbandonato, separato, ignorato. Perch� meravigliarci, allora, della sua apatia, assenza allo scrutinio europeo, convinzione che tutto quel che accade nelle capitali dell'Unione � irrimediabilmente distante? Per rovesciare la tendenza, si raccomanda l'applicazione effettiva del principio di sussidiariet�, il decentramento amministrativo, la riabilitazione della dimensione locale, il radicamento nel suolo specifico di ciascuna comunit�.
Riassumendo il discorso finora fatto, potremmo pretendere: 1. La dignit� di una missione europea con particolarit� geopolitiche e spirituali distinte. 2. La riabilitazione delle identit� nazionali, nella misura in cui le nazioni sono i componenti irriducibili della futura compagine continentale. 3. L'accettazione dell'idea che la persona umana e le sue creazioni immateriali non devono essere ridotte a degli stimoli economico-finanziari di un mercato completamente sregolato. Se queste richieste fossero adempite, i nostri successori seguiterebbero uno scopo, le nazioni supererebbero la tentazione dell'etnocentrismo, e i cittadini di ciascuno stato membro ritroverebbero il desiderio di partecipare alla vita politica dell'Unione.
Quest'analisi dei fattori che impediscono la formazione di una "anima" europea sarebbe incompleta se ci limiteremmo a divulgare la crisi di idealit�, la forza de-strutturante del sentimento anti-nazionale e l'eccesso burocratico degli organismi comunitari. L'Europa ha ancora almeno altri due problemi dalla cui cattiva gestione risulta un paesaggio generale confuso ed inerziale. Il primo problema � ovviamente quello del dislivello economico. Il secondo riguarda il dilemma del dialogo ecumenico, cio� l'altalena tra un pluralismo confessionale acefalo e una tendenza di un pi� antico monolitismo confessionale, tradotto sia con chiusure nazionaliste, sia con l'orchestrazione di un proselitismo insidioso. Esaminiamole, in conclusione, brevemente.
Il problema del dislivello economico non � (soltanto) una questione di prodotto interno lordo o di rata dell'inflazione, ma anche una di cultura della solidariet� europea. E' chiaro che non possiamo dettare ai ricchi la ridistribuzione delle proprie risorse. Ma non potremmo neanche costruire l'Europa su una differenza di standard cos� acuta. Molti occidentali considerano che l'Est aspetti elemosina, anche se ci� si appella al modello dell'antico piano Marshall o ai pi� recenti programmi tipo PHARE. Non � per niente vero. Ci sono naturalmente nell'Est delle categorie sociali impregnate da attese assistenzialiste. Ma ci sono anche nuove generazioni professionali che possiedono competenze purtroppo non utilizzate a causa della carenza di capitale. La graduale omogeneizzazione del continente si realizzer� alla confluenza tra la dinamica del mercato libero e l'espressione di una decisa volont� politica, che non dovrebbe nascondersi dietro slogan generosi, essendo destinata piuttosto a produrre un veritiero progetto di ricostruzione e sviluppo est-europeo. Fino a quando gli Stati di questa regione saranno abbandonati alle mere evoluzioni interne, senza un influsso di finanziamenti controllati, il dislivello economico inibir� l'integrazione economica, e il ritardo dell'integrazione politica acuir� quelle fratture dell'immaginario europeo comparse durante la guerra fredda. Una quotidiana pratica del partnership, una rete di sinergie regionali, un comportamento politico solidale e equo romperanno questo circolo vizioso. Fortunatamente, dopo il summit di Helsinki del dicembre 1999 - e nella prospettiva del prossimo vertice di Nizza, alla fine di quest'anno - ci sono segnali positivi che i Governi occidentali intendono mobilitarsi per passare ai fatti, aumentando simultaneamente la velocit�, l'ampiezza e la qualit� dei processi di integrazione. Non possiamo che apprezzare questo ravvivamento, assicurando nel contempo i nostri amici occidentali che - nonostante le apparenze - troveranno nell'Europa orientale sufficienti persone con cui si potr� lavorare in modo efficiente.
Per quel che riguarda l'ultimo problema enunciato - quello dell'ecumenismo - considero che ci� non concerni esclusivamente le relazioni tra i vescovadi delle varie Chiese. L'ecumenismo - cio� il fenomeno della graduale riconciliazione tra tutti i cristiani, prima di tutto europei - interpella la coscienza di qualsiasi persona, matura dal punto di vista storico ed educativo. Infatti tutte le difficolt� enunciate nel mio intervento si rispecchiano, alquanto, nella questione religiosa. Costruire una civilt� dell'amore significa forse chiedere troppo dalla natura umana i cui limiti sono da tempo e incessantemente verificate. Ma tendere verso una tale civilt� senza tenere conto dell'insegnamento di Ges� Cristo e senza rispettare - anche con la cauzione di alcune definizioni mobili - gli imperativi morali inerenti al Vangelo, significa stagnare nel perimetro dell'arbitrario etico e della demagogia sterile. I padri fondatori dell'Unione Europea pensavano da cristiani. E' normale che la loro posterit� non si possa mantenere mediante il rifiuto iperlaicista dell'eredit� che ci hanno trasmesso e neanche tramite la permissivit� caotica del turbocapitalismo monopolista. Ecco perch� il tema della riconciliazione tra le Chiese supera la sfera della spiritualit� e della religione istituzionale e si riflette nel complesso di quei valori che gli europei hanno generato, mettendole tante volte a repentaglio: il rispetto della persona umana e della vita stessa, la codificazione dello spazio pubblico, la garanzia della pace, l'armonizzarsi delle diversit�, la gerarchizzazione delle competenze nella prospettiva della sussidiariet�, l'approfondimento dell'esercizio democratico e la compassione di fronte a qualsiasi sofferenza ingiusta, ecco altrettanti principi e atteggiamenti che riceverebbero una maggiore consacrazione tramite il negoziarsi di nuovi rapporti con le nostre proprie radici. E' difficile da affermare oggigiorno, in pieno riaggiustamento post-moderno, post-industriale e post-comunista, quale sarebbe la fisionomia esatta di una christianitas rigenerata. Possiamo per� essere sicuri che, per acquistare una "anima", l'Europa dovr� non temere pi� le parole compromesse dai nostri predecessori in modo volontario o casualmente. Imparando di nuovo quelle parole, tornandovi con la snellezza della nostra eterna curiosit�, comprenderemo che - talvolta - l'affermazione della propria identit� � sinonimo con l'educazione dei nuovi barbari, quale che fosse il loro nome o le ambizioni con cui si avvicinassero alle frontiere della civilt� che desideriamo salvare.