Comunità di S.Egidio


 

21/04/2002

Il racconto di un�infermiera genovese della Comunit� al suo rientro
Sant�Egidio, �Guerra all'AIDS in Mozambico�

 

Il pi� piccolo dei suoi figli glielo ha chiesto, quando � tornata dal suo viaggio in Africa: �mamma, li hai curati tutti?� La mamma � Gabriella Bortolot, l'infermiera genovese che con la Comunit� di Sant'Egidio partecipa al programma di lotta all'Aids nel paese sudafricano del Mozambico. Quel "tutti", invece, si riferiva agli uomini, alle donne e ai bambini sieropositivi o colpiti dal virus: un milione e mezzo. No, la mamma non li ha curati tutti, i malati di Aids, ma questo � proprio l'obiettivo del progetto di Sant'Egidio.

Lo ha spiegato ieri pomeriggio la stessa Gabriella Bortolot, che in una conferenza affollata da centocinquanta persone, nei locali adiacenti alla basilica dell'Annunziata, ha raccontato la storia del Mozambico e ha descritto il grande sforzo della Comunit� di Sant'Egidio per la prevenzione e la cura dell'Aids. �Chi salva una vita salva il mondo intero�, era il titolo dell'incontro: l'espressione � un detto chassidico, proveniente dalla saggezza ebraica, ma anche un'immagine cara agli organizzatori. Per spiegare il grosso progetto sanitario in Mozambico, infatti, la Bortolot non sciorina solo una mole di dati, di numeri, di concetti, ma racconta le storie di chi ha incontrato in Africa, delle donne che ha curato, di chi non � riuscita a salvare. Nelle diapositive le strutture costruite in Mozambico s'alternano a dei volti che non rimangono mai senza un nome: sono Ernesto, Donna Rosa, Luis. Il dramma pu� essere una semplice cifra, quindi: pi� di 300 mila bambini resi orfani dall'Aids in tutto il paese. Ma lo stesso dramma pu� essere racchiuso in una storia: Ernesto e sua moglie sono sieropositivi, se non si salveranno chi bader� ai loro bambini?

Gabriella Bortolot � solo una delle decine di volontari della Comunit� di Sant'Egidio che a turni partono da Genova, Roma, Napoli (ma anche dal Belgio o dalla Repubblica Ceca) per questo paese ferito. Dieci anni fa s'� conclusa una guerra civile da un milione di morti (la firma della pace � avvenuta nella sede romana della Comunit�), poi c'� stata una grossa alluvione, tre anni fa. Ora c'� l'Aids: �una nuova guerra�, come la chiamano quelli di Sant'Egidio, che per� loro combattono senza usare solo le "armi pesanti" della cooperazione internazionale. Il progetto - che durer� anni con un costo miliardario - si sostiene infatti soprattutto su contributi, raccolte fondi, sottoscrizioni. E sui medici e infermieri volontari. �Il termine "volontari" non mi piace pi� di tanto - sorride Gabriella Bortolot - � vero che noi scegliamo di partire senza stipendi, ma non lo facciamo perch� "ne abbiamo voglia". Davanti all'ingiustizia di un continente piagato dall'Aids mi pare che fare qualcosa sia quasi un obbligo. Poi c'� chi lo fa partendo per il Mozambico, chi con il sostegno economico, con la ricerca di fondi, oppure semplicemente con l'interesse per questa realt�. Il punto � che davanti all'ingiustizia bisogna moltiplicare i nostri sforzi: le donne non devono partorire senza assistenza, i bambini non si devono ammalare di Aids, i malati devono essere curati. Quest�estrema ingiustizia, forse, non potr� essere cancellata di colpo, ma, va dato un segno di speranza�. E il progetto per la prevenzione e la cura dell'Aids ha in effetti le potenzialit� per diventare una speranza e un modello per tutto il continente africano: coinvolger� e risistemer� tutto il sistema sanitario nazionale con interventi a breve e a medio termine, di prevenzione e di cura. Si sta lavorando per la prevenzione della trasmissione del virus Hiv dalla madre al bambino e attraverso le trasfusioni di sangue, e per la creazione di condizioni strutturali per giungere all�introduzione della terapia antiretrovirale nel paese.

Sergio Casali