Comunità di S.Egidio


 

13/04/2004

La sfida della Comunit� di Sant'Egidio a Maputo.
�Curare i malati � possibile anche in Africa�

Aids,tra i fantasmi del Mozambico riportati in vita dai volontari italiani

 

MAPUTO Ana Maria era morta da molto tempo, e quando si � riaffacciata per le strade del suo quartiere la gente � fuggita via gridando.

Era un'ombra, venuta via gridando dal buio per tormentare la coscienza dei vicini. Non poteva che essere morta. Al rione �Acordi de Lusaka�, poco lontano dall'ospedale di Maputo, tutti lo sapevano: aveva la doen�a, �la malattia�, quella che non lascia speranze. L'Aids. Negli ultimi mesi solo pochi amici si erano affacciati a vederla: era alla fine, abbandonata sul pavimento della capanna di canne, senza pi� la forza di mangiare. Da lei erano arrivati anche alcuni uomini bianchi, chiss� perch�.

Poi Ana Maria � arrivata alle bancarelle della via principale. Era un po' affaticata, dimagrita, ma sembrava davvero viva. Qualcuno diceva: � sua sorella, non pub essere lei Gli altri si tenevano a distanza. I pi� coraggiosi le hanno pizzicato il sedere: dicono che sia il metodo pi� sicuro per smascherare le entit� sovrannaturali. Se � uno spettro, il pizzicotto lo fa volar via. Se invece � una persona, allora... Allora era viva, Ana Maria.

Riacchiappata per miracolo, ridotta a 29 chili: pelle, ossa e due occhi spiritati. Era febbraio del 2002 quando l'hanno trovata i volontari della Comunit� di Sant'Egidio. Ed era giugno quando Ana Maria Muhai, 43 anni, ormai 72 chili e 500, ha cominciato a lavorare a Machava, l'ambulatorio del programma Dream. Ed � diventata il simbolo della nuova sfida all'Aids, lanciata con il motto: cura, non solo prevenzione.

Nell'ospedale accanto a Machava, specializzato in Tbc, ottanta ricoverati su cento sono sieropositivi. Arrivano accusando attacchi di malaria, tubercolosi, diarrea. Poi, Ana Maria e gli altri attivisti li convincono a passare per l'ambulatorio. Honoria e Lidia parlano con le donne, per gli uomini � pi� facile con Isaias. �C'� la possibilit� che tu abbia questa malattia... se vuoi, facciamo il test�. Fino a poco tempo fa nessuno voleva sapere nulla. La doen�a era una sentenza di morte, e visto che non c'erano cure, perch� conoscerla in anticipo? Anche Domingo, il marito di Ana Maria, era scappato via. �A quest'ora creder� che io sia morta�, dice lei. Poi si rabbuia: �... se � ancora vivo�. Forse � stato proprio lui, minatore saltuario nel giacimenti sudafricani, a portare con s� il virus.

Ora per� di Aids si pu� non morire. Tratar o Sida transforma a vida, �Curare l'Aids cambia la vita�, dice un poster nell'ambulatorio. Honoria e Lidia, in camice celeste, ripetono il messaggio in portoghese e in dialetto shangana. Le donne sotto la tettoia del centro di Machava sembrano ancora poco convinte. E allora Ana Maria tira fuori dal portafogli le foto di quando pesava 29 chili e ride dello stupore altrui.

Sulla parete ci sono i simboli del ministero della Sanit� di Maputo, della comunit�, e dello sponsor principale, la banca Unicredito. Pi� grande, accanto, c'� scritto "Nao si paga". E' tutto gratis, ma a volte nemmeno questo basta a convincere i mozambicani Dalla sedia di plastica bianca si alza Alegria, un donnone di cinquant'anni, per raccontare di quei suoi stupidi figli che non vogliono fare i test. Gli esami sono indispensabili, ripete Ana Maria. E tutti fanno di si con il capo.

�Per l'Africa, i paesi ricchi hanno sempre ragionato in termini di prevenzione�, dice Mario Marazziti, portavoce della Comunit�, �E invece la terapia � indispensabile�. Secondo le stime prudenti delle Nazioni Unite, nell'Africa subsahariana gli ammalati di Aids sono almeno trenta milioni. Limitarsi alla prevenzione vuol dire mettere in conto la morte di Ana Maria, di Honoria, di Isaias, di Lidia... Un genocidio silenzioso. Il motto dei volontari �: �Curare gli ammalati, anche nei paesi senza infrastrutture�. E con una terapia antiretrovirale completa, non dimezzata, ottenuta grazie ad accordi con l'azienda indiana Cipla.

Le altre organizzazioni che curano l'Aids si limitano a usare uno dei principi attivi per tenere sotto controllo il virus, la Nevirapina: � semplice da distribuire e poco costosa. Ma per gli esperti del progetto Dream (in inglese �sogno�, ma anche Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition, cio� terapia completa contro Aids e malnutrizione) questa strada � rischiosa e insufficiente. E gli immunologi concordano: � dal '94 che la medicina ufficiale raccomanda una terapia completa con i tre principi.

Insomma, per salvare Ana Maria e le altre serve un approccio che respinga l'idea dell'�eterna Africa�, povera e troppo rassegnata per combattere e sopravvivere. Un sogno, appunto. Che si realizza, per esempio, nel laboratorio di Biologia molecolare di Maputo, un angolo di Svizzera a due passi dal Limpopo. Susanna Ceffa, la biologa novarese che come tutti i volontari spende le sue vacanze per lavorare mostra con orgoglio centrifughe, freezer a meno 80 gradi, camere sterili.

Un approccio �di stile occidentale� che paga: se prima le madri contagiavano i figli prima ancora di darli alla luce, adesso, su cento partorienti seguite dal programma Dream, 97 hanno bambini non sieropositivi. Finora gli assistiti sono quattromila nel solo Mozambico, ma il �sogno� si sta espandendo in Angola, in Guinea Bissau, in Guinea Conakry, in Malawi, in Swaziland, in Sudafrica. �Lo so, lo so, la Comunit� � qui per aiutare l'Africa, per aiutare il Mozambico�, dice Ana Maria. �Ma io continuo a pensare che siano venuti per me�.

Giampaolo Cadalanu