“Gesù non ci chiama a una nuova religione , ma alla vita”
Dietrich Bonhoeffer 18 luglio 1944
Il martirio viene, in diversi modi, generalmente associato con la Chiesa delle origini. A quei tempi era pericoloso confessare la propria fede in Gesù Cristo. Per questo è una realtà scioccante il fatto che il martirio faccia ancora parte della vita al giorno d’oggi. Il numero dei martiri nel XX secolo è così grande che nessun altro secolo può competere con esso.
Ci è difficile credere che delle persone vengono ancora oggi uccise per quello in cui credono. Tuttavia questa è la realtà, anche se ci turba.
Quando descriviamo l’identità della Chiesa spesso parliamo di comunione, testimonianza e diaconia. In lingua greca si direbbe koinonia, martyria e diaconia (???????a, µa?t???a, d?a????a). E’ sorprendente che la testimonianza di fede in Gesù Cristo, la parola “martyria”, significhi sacrificare la propria vita. In origine significava una “testimonianza”, ma questa testimonianza è insieme vita e morte. Non si può testimoniare la propria fede in Cristo senza mettere a rischio la propria vita – questo apprendiamo dall’antica lingua cristiana.
Dietrich Bonhoeffer venne impiccato nudo il 9 aprile 1945. Crediamo che l’ ordine sia venuto direttamente da Adolf Hitler. Di mattina presto nel campo di concentramento di Flossenbürg fu impiccato insieme con altri anti-nazisti.
Era nato nel 1906 da una famiglia borghese. Suo padre era professore di psichiatria. Durante la sua infanzia e la sua giovinezza fu educato in un’atmosfera molto aperta. La sua famiglia incoraggiava molti diversi tipi di cultura. Musica, teatro, danza e letteratura erano molto apprezzati. Ci sono testimonianze di grossa vivacità culturale nella casa berlinese del professore. La religione, tuttavia, era raramente compresa tra le abitudini quotidiane. Il fatto che Dietrich volesse diventare teologo fu quindi una sorpresa per la famiglia. La fede cristiana era data per scontata ma la famiglia prendeva parte di rado alla vita della Chiesa. Il nonno materno di Dietrich era un professore di teologia ma per quello che sappiamo ciò non ebbe un influsso importante.
Quando il fratello maggiore di Dietrich morì durante la prima guerra mondiale il clima famigliare subì un mutamento. Il dolore di sua madre fu sconfinato e si rinchiuse in se stessa tanto che nessuno fu capace di confortarla.
Quando Dietrich aveva 14 anni ed era a scuola con alcuni suoi compagni, gli fu chiesto cosa volesse fare da grande. “voglio diventare un teologo e voglio scrivere riguardo alla morte”, si pensa che abbia detto proprio queste parole. Tutto questo era difficilmente accettabile per la famiglia, per la loro cultura scientifica la teologia era piuttosto trascurata.
Ma Dietrich voleva scrivere sulla morte. In realtà non scrisse mai nessun libro su questo tema ma nello stesso tempo si può dire che tutte le sue opere trattano della sofferenza e della morte.
A diciotto anni si recò a Roma con suo fratello maggiore, Klaus, sicuramente ad entrambi piacque la città. Dietrich tuttavia fu profondamente colpito dal viso di Lacoonte, l’antica statua nei musei vaticani. Lacoonte è un gigante addolorato perché i suoi figli stanno morendo ed egli stesso sta morendo. A Roma Dietrich venne in contatto con la Chiesa cattolica. Molti teologi evangelici all’epoca erano scettici riguardo la liturgia cattolica. Bonhoeffer vi vide al contrario la universalità della chiesa. Riconobbe la chiesa universale nella liturgia di Pasqua quando vide persone provenienti dall’Africa, dall’America Latina prendere parte alle stesse processioni degli europei. Era per lui qualcosa di nuovo ed influenzò il suo pensiero.
A 21 anni il teologo Dietrich Bonhoeffer divenne un dottore in teologia. Era una cosa piuttosto rara a Berlino e la sua dissertazione fu molto apprezzata. Subito divenne un astro nascente nel mondo della teologia. Karl Barth lo citò spesso nella sua Dogmatica.
Andò a Barcellona, New York e in molte altre città europee per motivi di ricerca e per incontri ecumenici. Ma alla fine fu arruolato dall’Abwehr, il servizio segreto militare del regime nazista. Stranamente questa organizzazione militare era profondamente anti-hitleriana. Da questo gruppo di persone nacque il progetto di assassinare Hitler. Bonhoeffer era l’unico teologo del gruppo.
Nei suoi numerosi libri sviluppò un pensiero teologico che sorprese e attirò molti. Era veramente originale, tutt’altro che una ripetizione di vecchie teorie. Sicuramente fu influenzato da Karl Barth, ma presto seguì una sua propria strada.
Il suo libro più importante – secondo la sua stessa opinione – l’Etica non fu mai completato. Potrebbe essere considerato un segno. Non scrisse mai un trattato dogmatico dall’inizio alla fine. I suoi scritti sono per lo più articoli e contributi in situazioni specifiche.
Nella sua “Etica” sviluppò una riflessione sugli esseri umani che merita ancora di essere citata e sulla quale è utile meditare.
Se Gesù Cristo è il vero uomo e se Gesù Cristo ci ha mostrato chi è Dio, non ci può essere obiettivo più alto per gli esseri umani che quello di essere uomini veri e concreti.
Questo è un pensiero centrale della sua riflessione.
Non si può pensare che gli uomini siano un’astrazione. In tal caso l’uomo sarebbe solo un pensiero. In tal modo si negherebbe l’esistenza dell’uomo. Ogni uomo è carne e sangue, e nella carne e nel sangue l’uomo può adempiere alla sua vocazione oppure no.
Neanche Dio è un’astrazione. Ciò significherebbe negare l’esistenza di Dio. L’uomo e Dio sono legati insieme attraverso Gesù Cristo. In Gesù Dio si è fatto uomo e per questo tutti gli esseri umani sono benedetti. Ogni relazione tra gli uomini è una relazione con Dio. E ogni relazione con Dio è una relazione con gli altri.
Dio è dalla parte dell’uomo ed è contro tutti coloro che invece la giudicano. Dio ha davvero mostrato la sua solidarietà verso l’umanità, verso l’uomo concreto.
La minaccia verso l’uomo concreto è reale. Poteri forti di ogni genere lo vogliono distruggere. Ci sono due fazioni in questa lotta, una connessa all’altra ed entrambi importanti. L’uomo reale è visto con disprezzo oppure è divinizzato. In entrambi i casi l’uomo reale viene trascurato.
Quando si è giovani si è spesso tentati di vedere la propria vita a tinte fosche. La vita ha un valore piuttosto inconsistente, ammesso che ne abbia uno. Ma poi il giovane alzerà la sua testa, guarderà se stesso con occhi completamente diversi. Oggi i giovani sopravvalutano se stessi. Tutto sembra possibile e i giovani pensano di essere il centro del mondo.
Queste due posizioni contrastanti – la posizione più alta e la più bassa possibile – sono entrambe espressione di un rinnegamento dell’uomo reale.
Ma Dio non ama un uomo ideale o un uomo sminuito. Dio ama l’essere umano come veramente è. Dio ama il mondo reale non un mondo di fantasia.
Quando un essere umano incontra Gesù Cristo, incontra il Salvatore che lo guarda negli occhi per aiutarlo ad essere veramente se stesso
Questo è un problema controverso nella storia della teologia. Secondo Bonhoeffer non ci possono essere soluzioni diverse. L’obiettivo principale di un essere umano è tornare ad essere realmente se stesso.
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In una delle sue lettere dal carcere scrive: “Davanti a Dio e con lui, noi viviamo senza Dio” ( 16 luglio 1944). Molti interpreti hanno avuto grosse difficoltà ad interpretare queste parole. Hanno detto che Bonhoeffer non si esprime in modo chiaro oppure che egli avrebbe inteso mettere il secondo “dio” tra virgolette.
Penso che lui intenda esattamente ciò che scrive. Con Dio ogni essere umano e ogni amico di Gesù Cristo, sperimenta il buio, la desolazione, l’abbandono, la solitudine. Tendiamo a dimenticare la preghiera di Gesù sulla croce quando grida: Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?
Potrebbe essere impossibile capire la profondità e il mistero della riconciliazione e del perdono se neghiamo l’abbandono. Ciò di cui fa esperienza Gesù può essere ugualmente sperimentato da ogni uomo e da ogni donna in qualsiasi momento.
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Il tentativo di assassinare Hitler fallì. L’attentato del 20 luglio 1944 ebbe un grosso significato che per Bonhoeffer avrebbe potuto essere ancor più importante. Ora sapeva che ci sarebbero potuti essere degli argomenti contro di lui come spia o traditore della nazione.
La prima lettera che abbiamo tra i suoi scritti dopo che ebbe ricevuto il messaggio del fallimento dell’attentato, è datata 21 luglio 1944. E’ una lettera al suo amico Eberhard Bethge.
Per ovvie ragioni egli non fa cenno ai suoi sentimenti riguardo all’insuccesso dell’attentato, ma per la prima volta è cosciente del fatto che la sua vita potrebbe finire in un campo di concentramento nazista.
Ricorda e scrive di un colloquio avuto alcuni anni prima a New York. In un caffè a New York aveva incontrato il suo amico ed entrambi erano teologi giovani e famosi. Oggi sappiamo che questo amico era un pastore riformato. Quest’amico pose la domanda su cosa avrebbero voluto essere
Il teologo riformato francese, il cui nome era Jean Lassarre chiese all’improvviso “Cosa vuoi essere nel tuo futuro?”
Dietrich non sapeva come rispondere. Il pastore francese disse “voglio essere un santo!” E Bonhoeffer gli rispose che sarebbe diventato sicuramente un santo
In quei giorni al caffè Dietrich non sapeva bene cosa avrebbe voluto dire.
Ora in carcere è convinto. Sa cosa dire
“Più tardi scoprii e sto tuttora scoprendo che solo vivendo completamente in questo mondo impariamo a credere. Dobbiamo abbandonare ogni tentativo di fare qualcosa di noi stessi sia diventare santi, peccatori convertiti, sia uomini di chiesa (il cosiddetto tipo “prete”), uomini giusti o uomini ingiusti, uomini sani o malati”
Volle diventare un vero uomo.
Gesù, infatti, non la aveva chiamato ad una nuova religione ma alla vita.
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