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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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18 Novembre 2008 09:30 | Hilton Cyprus - Ballroom A

Intervento di Ingrid Betancourt Pulecio



Ingrid Betancourt Pulecio


Testimone, Colombia

Sono davvero commossa e onorata di poter condividere con tutti voi questi momenti di profonda riflessione e ringrazio di essere stata invitata dalla Comunità di Sant’Egidio, che ammiro per il suo impegno efficace e attento nella ricerca della pace e della giustizia nel mondo e per la sua generosa presenza nel mio paese, nel quale lavora a favore dell’infanzia abbandonata colombiana.

Essere qui, a Cipro, crocevia di civiltà, di popoli e di culture dall’alba dei tempi, in un incontro di spiriti e di cuori con l’America Latina, portandovi la voce del mio paese, parlando a nome del mio popolo, fra i più sofferenti di tutto il continente, è per me un’opportunità incalcolabile per condividere sentimenti, emozioni e riflessioni.

Se sono qui è perché sono uscita dalla foresta Amazzonica, dopo un lungo viaggio nel profondo delle viscere della guerra. E lo faccio come una vittima della follia umana.

La mia libertà, riacquistata da poco, e l’impatto tra la vita di ieri e la vita di oggi, aumentano nel mio cuore il peso che sento per la prigionia di più di 3000 dei miei compagni, della cui sofferenza continuo a farmi carico. La guerra non è solo sofferenza ma anni di solitudine e morte, di umiliazioni, vessazioni, patimenti e poi i ricordi che ci perseguitano. Per più di mezzo secolo in Colombia e altri cento di umanità insensata, nessuno dei milioni di esseri che hanno abitato questa terra è stato capace di trovare la strada per porre fine ad un destino così terribile.

Nella costruzione di una civiltà di pace per il mondo, quanto vorrei che attraverso le mie parole si sentisse il grido straziante di  coloro che da più di dieci anni sono incatenati agli alberi della foresta e il silenzio dei mille ‘desaparecidos’ sepolti nelle fosse comuni delle nostre geografie, come vorrei che si sentisse il pianto inaridito degli orfani e delle vedove della guerra, perché è per loro che dobbiamo far nascere un mondo nuovo.

In questi anni di prigionia in mano della guerriglia colombiana ho potuto vedere come facilmente si oltrepassa la frontiera della disumanità. Nei momenti più terribili di questa prigionia, ho cercato di capire cosa accadeva nell’anima dei più spietati. Avevo bisogno di sapere se avrei agito nella loro stessa maniera se mi fossi trovata nella stessa situazione.

Al momento della mia liberazione, in un batter d’occhio, ho visto per terra il più crudele di tutti i comandanti che ci avevano tenuto sequestrati. Era il suo turno di essere ammanettato e prigioniero come ero stata io fino a pochi secondi prima. Ho pensato come la vita potesse cambiare in un secondo׃ adesso io ero libera e lui era prigioniero.

Ho sentito allora che potevo rispondere a questa domanda che mi ero posta tante volte in precedenza; ho compreso che, molto prima che ciò accadesse, io avevo già  scelto di non agire come loro. Per questo ho potuto sentire una compassione vera ed un perdono sincero verso un essere umano appena caduto in disgrazia.

Questo è stato possibile perché ho trovato nel fondo dei suoi occhi, esseri umani persi nel labirinto delle loro contraddizioni, che provavano a giustificare ciò che è ingiustificabile attraverso acrobazie intellettuali,  incapaci di essere soddisfatti delle loro stesse bugie. Le scelte fatte li tenevano prigionieri più delle catene che mi mettevano al collo.

Ho capito che nonostante l’onnipotenza che conferisce un’arma o il degrado che comporta non avere la libertà, tutti abbiamo bisogno di dare un senso alle nostre azioni. Al di là dell’influenza del gruppo che spesso ci porta a fare ciò che ripudiamo o dello sconfinamento solitario che ci sradica dai nostri parametri sociali, tutti possiamo scegliere di essere quelli che vogliamo essere.

E’ per questo che è assolutamente essenziale la dimensione spirituale nella costruzione di una civiltà della pace. Solo con la coscienza che sempre ci sarà spazio per la liberta dell’anima, è possibile avere fede nel destino dell’uomo.

Il cammino dell’uomo verso il suo perfezionamento è visibile in modi diversi. Ogni religione cerca di dare risposte concrete all’aspirazione dell’individuo di trovare pace nel cuore. Per questo il dialogo tra le religioni deve essere fondamento di una civiltà della pace nella quale, comprendendo le nostre stesse domande e la nostra ricerca costante di Dio, possiamo essere comprensivi verso le differenze religiose che ci circondano, sapendo in questo modo riconoscere che la grande diversità di fedi che esistono nel mondo porta l’uomo a contatto con la sua dimensione più elevata.

La nostra spiritualità è un tesoro inestimabile. Quando l’uomo nega a se stesso la dimensione spirituale, quando decide che solo ciò che è materiale è valido, immediatamente resta incatenato al mondo fisico e condannato al cinismo. Lì regna l’opportunismo e la sete di dominio. La libertà è una mera occasione per l’arbitrarietà e la prevaricazione. Il mondo si ripete e per ciò diviene statico.

Invece, quando si crede, si prende coscienza della libertà  dell’anima. Si può essere credenti o non credenti e proprio perchè non siamo programmati come robots, abbiamo possibilità di scegliere. La nostra fede diviene uno strumento di trasformazione. Sicuramente trasformazione interiore ma anche trasformazione del mondo in cui viviamo.  

Ciò che è inaccettabile è che la nostra fede, che ci conduce sulla strada dell’elevazione dell’anima, e che prova a darci strumenti per crescere verso una maggiore pace interiore, sia utilizzata per servire gli interessi della guerra, di chi distorce il senso del sacro, costruisce muri di odio e segregazione legando i suoi seguaci agli istinti peggiori dell’essere umano e riducendoli a comportarsi come marionette manovrate dal fanatismo e dalla paura verso gli altri.

In un periodo in cui nel mondo i conflitti sembrano divenire endemici, l’utilizzo della parola è probabilmente uno dei temi sui quali più si deve riflettere. E’ importante meditare sul potere della parola e sull’impatto sulla nostra coscienza. L’uomo è un essere della parola, con essa costruisce e distrugge, apre porte e le chiude, allevia, guarisce e cura oppure uccide. La parola è lo strumento dello spirito, con la parola possiamo toccare i cuori e cambiare comportamento. Ma con essa possiamo anche incendiare o provocare guerre. Non è accettabile che si faccia tanto male. Questa distorsione della parola che porta al fanatismo, alla segregazione, al rifiuto dell’altro, alla condanna sistematica, all’inquisizione, è uno dei rischi maggiori della nostra società e uno dei maggiori ostacoli all’avvento di una civiltà superiore.

Si tratta quindi di accelerare un apprendimento. Cercare il modo migliore di utilizzare la parola, non solo pensando a ciò che vogliamo comunicare, ma anche a ciò che vogliamo fare. La ricerca della voce adeguata, del corretto tono e del giusto momento, deve far parte di questo esercizio.

Perché nello stesso modo con la parola si può deformare la realtà, coprire la verità e incentivare la violenza, con questa stessa parola si può elevare l’anima di tutto un popolo e portarlo all’armonia. La civiltà della pace non giungerà come risposta ad un ordine della legge. La strada passa attraverso la trasformazione dei cuori, inizialmente come un cammino individuale, e poi come un processo di massa che modifichi la valutazione dello spazio sociale e perciò della realtà politica ed economica del mondo.

Questo cambiamento delle coscienze della maggioranza è necessario per l’avvento di una nuova generazione di leaders, impegnati a trovare soluzioni per il mondo nel lungo periodo, cioè nel rispetto delle future generazioni.  Essi dovranno preoccuparsi per agire con trasparenza, cioè cinti dalla verità per affrontare la realtà. Il loro lavoro si dovrà concentrare sul cambiamento della vita quotidiana degli uomini in modo tale che non ci sia paura né disperazione, che le famiglie possano incontrare pace e gli spazi e le circostanze che gli competono.

Per far si che questo sia possibile, dobbiamo cercare un cambiamento nei valori del nostro mondo. L’umiltà deve essere innalzata come la maggiore qualità dell’uomo, perché è il prodotto della lotta vittoriosa sull’ego e permette di stabilire relazioni di rispetto basate su ciò che si è e non su ciò che si ha.

Dall’umiltà si sprigionano attitudini collettive necessarie alla pace, come sono l’accettazione, la tolleranza ed il perdono. Da essa nascono anche comportamenti basati sulla solidarietà, l’impegno, indispensabili per unire intorno al progetto comune di far nascere una nuova civiltà  basata sull’armonia.

Noi che siamo uniti nella fede in Dio, indipendentemente da come chiamiamo il nostro Dio, o da come a lui ci rivolgiamo, sappiamo che credere in un essere superiore implica un atto di umiltà che permette di far arrendere la nostra volontà ad un’altra superiore e diversa dalla nostra, in un gesto di dedizione e amore che ci libera dalle nostre meschinità e piccolezze.

Avere fede è perciò capire che la nostra pienezza spirituale passa attraverso il servizio agli altri, perché la disciplina spirituale ha bisogno di esercitarsi nella dedizione verso quelli che ci circondano e che agiscono come agenti di perfezionamento nel cammino che ci è toccato attraversare.

In America Latina questo lavoro lo dobbiamo compiere con la coscienza del nostro passato. Siamo gli eredi di uno spazio segnato dalle decisioni religiose. Il nostro sistema politico trova il suo fondamento nella divisione della terra che ebbe origine dal legato papale ai re di Spagna. Al nord del nostro continente arrivarono famiglie che cercarono di esercitare in totale libertà le proprie credenze religiose, fuggendo dalle guerre di religione che incendiavano l’Europa.

Il tessuto sociale odierno, è costituito da traumi e da esclusioni, dagli scontri tra culture e religioni. Ma anche in America Latina si trovano tesori nascosti di cui dobbiamo approfittare.

In un continente in cui le differenze sociali sono così profonde, dove così pochi hanno tanto e tanti non hanno nulla, ci si sorprende che si abbia un atteggiamento comune che trascende tutti gli strati sociali e che unisce tutti contro la violenza ed il terrorismo a favore della pace.

C’è un desiderio nel cuore di ogni latinoamericano, quello di incontrare la propria identità nella nascita di un nuovo modo di relazionarsi tra gli uomini, dove le ragioni del cuore abbiano più importanza degli argomenti del potere. Questo è un continente che sa cercare la gioia nelle piccole cose della vita e che sa godere del poco perché gli è stato negato tanto.

In questi momenti, in cui crollano le grandi fortune e il mondo si sveglia dalla ubriacatura del consumismo, è buono ritornare alla felicità che si ottiene nel relazionarci adeguatamente con ciò che ci sta intorno. Probabilmente dalla sapienza dei piccoli, dal loro lavoro e dedizione, dalla loro solidarietà verso gli altri, possiamo imparare la lezione per uscire dall’era virtuale e della speculazione ed entrare in un mondo ancorato al buonsenso.

 È quindi indispensabile pensare che ognuno ha il suo ruolo e la sua responsabilità. Siamo stati abituati troppo a lungo ad additare gli altri e a credere che il nostro male sia la conseguenza delle decisioni sbagliate dei nostri leaders. Sappiamo oggi che possiamo essere una parte della soluzione. La nostra riflessione, la nostra partecipazione e le nostre decisioni possono cambiare il corso della storia. In America Latina la maggior parte dei popoli ha scelto di porre alla testa dei suoi governi uomini e donne estranei ai sistemi politici tradizionali e impegnati nella giustizia sociale. Per riuscire a fare questi cambiamenti non è necessaria né la guerra, né la morte, né il sequestro.

Sono convinta che una azione unitaria di tutti i capi di stato che governano i nostri popoli, che chieda alla guerriglia colombiana di liberare coloro che sono ancora imprigionati nella foresta della Colombia e di sottoporsi al verdetto democratico, risolvendo le differenze con argomenti e cuore, e non con pallottole e odio, possa essere il primo passo verso la costruzione dello spazio di pace che tutti auspichiamo. In questo spazio i popoli potranno far sentire la loro volontà a favore di altri che soffrono e le decisioni saranno frutto del cuore della maggioranza e non del confronto degli ego di coloro che hanno fatto della guerra il loro lavoro e stile di vita.

Credo che gli uomini siano fondamentalmente buoni, credo anche nella forza della parola per trasformare i cuori e cambiare il corso della storia. Se siamo qui riuniti non è per la casualità di un mondo senza destino ed immerso in un indicibile caos.  E’ perché esiste un cammino spirituale per gli abitanti di questo pianeta, che ci porta a fare scelte che trascendono le nostre stesse aspettative e contribuiscono a raggiungere propositi migliori e più grandi.

Per me la vita e la libertà continuano ad essere un miracolo. Vorrei condividere con voi oggi la certezza che i miracoli è necessario chiederli perché avvengano e vorrei chiedervi che nel silenzio dei vostri cuori oggi uniti al mio, osiamo pregare per il ritorno alla libertà dei miei compagni sequestrati da più di dieci anni nelle profondità della foresta del nostro continente. So che la forza dell’amore per la giustizia e la verità rompono le catene più pesanti. E spero che insieme possiamo fare il primo passo affinché l’America Latina getti le fondamenta della civiltà della pace di cui il mondo ha bisogno.



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