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Die ersten Personen sind 2018 durch die humanitären Korridore in Italien angekommen. Die neue Phase des Projektes, das zum Modell der Gastfreundschaft und Integration für Europa geworden ist


 
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19 September 2016 09:30 | Sacro Convento, Sala Papale

Intervento di Claudio Descalzi



Claudio Descalzi


CEO of Eni, Italy

Sete di pace è sete di sviluppo:
nuovi modelli per ridurre il divario Nord-Sud

 
Oggi nel mondo vediamo grandi differenze. Un “Nord” ed un “Sud” che vivono profondissimi divari e molte contraddizioni.
Siamo 7 miliardi di persone, ma l’82% è concentrato in Paesi Non-Ocse, che hanno un PIL medio di circa 5.000$ pro capite.
1.3 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica, più o meno metà in Africa e metà in Far East.
2.6 miliardi di persone usano biomasse per cucinare rischiando gravi danni alla salute. L’OMS ha denunciato che circa 4,3 milioni di persone muoiono a causa dell’inquinamento domestico provocato dall’uso di stufe a carbone o biomasse.
La vera contraddizione è che in questi Paesi si concentrano circa l’85/90% delle risorse energetiche mondiali, un volano di potenziale ricchezza per i Paesi in via di sviluppo.
Al contrario nei Paesi OCSE vive meno del 20% della popolazione con un PIL medio pro-capite pari a più di 7 volte il PIL dei Paesi non OCSE nonostante detengano solo il 10/15% delle risorse mondiali.
Perché esistono queste contraddizioni?
Perché nel passato i modelli economico-politici hanno avuto una logica di breve termine, senza occuparsi di ciò che sarebbe potuto accadere nel lungo termine.
La logica del profitto di breve termine per secoli ci ha portato relazioni commerciali che hanno permesso l’industrializzazione dei Paesi occidentali, utilizzando in gran parte le materie prime dei Paesi sottosviluppati. Da questa relazione ne è nato un divario sempre crescente tra i Paesi occidentali, che abbiamo chiamato “Nord” ed i Paesi sottosviluppati, il “Sud” del Mondo.
 
Oggi però questo trend ha portato ad una situazione che mette in luce tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni; anche chi si sentiva “forte”, si è ritrovato improvvisamente debole e senza controllo della situazione. Pensiamo all’ Europa dove esiste già un divario, un Nord e sud Europa con condizioni di vita diverse; ma questa tendenza è ancora più accentuata se confrontiamo l’Europa con l’Africa.
 
Le conseguenze di questi squilibri sono fenomeni che colpiscono tutti: le tensioni geopolitiche, i flussi migratori, i fenomeni di terrorismo che si radicalizzano proprio in aree di povertà e sottosviluppo. 
E’ la ragione della cosiddetta “guerra mondiale a pezzi”, che non può dare futuro a nessuno. 
 
La sete di pace infatti è sete di sviluppo. E’ la sete di futuro, sete di essere riconosciuti per quello che facciamo e non facciamo, è sete di pari opportunità, di una prospettiva che includa tutti.
 
Il riconoscerci deboli ci deve aiutare però a ripartire, non ragionando più in un’ottica individualista ma vivendo nella “nostra casa comune”, ben consapevoli che se non creo futuro per gli altri non avrò futuro neanche io.
La casa comune non è un concetto statico. È una partecipazione collettiva, vuol dire rispettare le diversità e svilupparle sapendole ascoltare ed includendole.
 
Per puntare ad una situazione di maggiore equilibrio sia dal punto di vista economico che politico, bisogna quindi agire in un’ottica di lungo-termine, che si basi sullo sviluppo delle risorse locali per i mercati domestici, pensando anche a chi verrà dopo di noi e puntando ad un ritmo di crescita che aiuti i Paesi sottosviluppati.
 
A tal fine, la vera sfida è da un lato quella di soddisfare il crescente fabbisogno energetico, permettendo soprattutto l’accesso all’energia nei paesi più poveri e, dall’altro, di ridurre l’impatto ambientale, puntando sulle tecnologie, sullo sviluppo locale  e sulla diversificazione industriale.
 
E’ essenziale che si rimodulino le nostre aspettative di crescita per supportare i Paesi non OCSE creando così le condizioni per uno sviluppo egualitario che rispetti l’uomo e l’ambiente e coniughi le esigenze di lotta alla fame, miglioramento delle condizioni di salute, accesso all’acqua ed all’energia con gli impegni di decarbonizzazione.
 
Cosa può fare il settore privato?
Il settore privato deve svolgere un ruolo cruciale come motore di sviluppo, bilanciando obiettivi di business e crescita socio-economica locale, in ottica di lungo termine. 
In Africa Eni ad esempio è riuscita in parte a mettere in pratica questo modo di agire. Il nostro modello è basato proprio sul principio di cooperazione e sviluppo in un’ottica di lungo termine delle realtà in cui operiamo.  
Il nostro ingresso in Africa è stato infatti tardivo rispetto agli altri attori ed eravamo in condizioni di debolezza. Per questo abbiamo fatto qualcosa in più, prestando attenzione ai bisogni locali ed investendo nel territorio e questo è diventato il nostro punto di forza.
 
Anche oggi questo è rimasto il nostro modo di lavorare, volto proprio a colmare i gap di sviluppo locale, superandoli attraverso lo sviluppo di risorse domestiche per la crescita locale.
Nei territori in cui siamo presenti, non investiamo semplicemente nella produzione di olio e gas per export, ma soprattutto per il mercato inland, investendo anche in settori lontani dal core business, come il power, per dare accesso all’energia, riducendo il profitto di oggi per avere valore domani. 
Un dimostrazione concreta di questo nostro modo di agire è rappresentato, per esempio, da quanto abbiamo fatto in Congo e Nigeria dove abbiamo investito 2 miliardi di$ per dare elettricità a 18 milioni diventando i primi produttori power.
 
Dal punto di vista ambientale, il nostro impegno nella lotta al cambiamento climatico è prioritario. Crediamo fermamente che ci sia bisogno di mettere in campo azioni concrete per contenere il surriscaldamento globale entro i 2°C rispetto all’era pre-industriale per non creare danni irreversibili all’ambiente. È questo un impegno preso a Parigi alla COP21 da 195 Paesi per rispettare il quale anche noi, come Eni, stiamo facendo il massimo, puntando a ridurre le nostre emissioni unitarie al 2025 del 43% rispetto al 2014.
Il rispetto dei diritti umani e la nostra attenzione ai bisogni delle persone sono alla base della nostra strategia che si fonda sul principio per cui, per creare valore nel lungo termine, dobbiamo essere disposti a diventare un po’ più “deboli”, oggi facendo crescere i nostri partner, consapevoli che questo è l’unico modo per essere tutti più “forti”, insieme.
 

#peaceispossible #thirstforpeace
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