Una cultura comune ci rende un popolo. E’ questo il senso della legge approvata ieri alla Camera dei Deputati, che introduce un nuovo percorso per diventare cittadini italiani: la scuola, la lingua, in una parola l’integrazione.
La storia di questa legge non è breve. Inizia nel febbraio 2004: sotto le finestre di Montecitorio sfila un insolito corteo di bambini: volti africani, asiatici, sudamericani, dell’Europa dell’Est. Nelle mani bandiere tricolori e uno striscione: “Bambini d’Italia. Per una nuova legge sulla cittadinanza”. È l’inizio di una campagna, poi ribattezzata “Made in Italy”, che la Comunità di Sant’Egidio ha sostenuto con tenacia per oltre dieci anni. Una volta approvata la riforma, saranno cittadini italiani i bambini nati in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (ius soli temperato), oppure quelli che hanno compiuto un ciclo di istruzione in Italia (ius culturae). Si tratta di una svolta epocale, attesa da anni da generazioni di italiani di fatto, ma ancora stranieri per legge.
Andrea Riccardi, che da ministro dell’integrazione nel governo Monti ha lavorato alla riforma della legge sulla cittadinanza, ha definito l’approvazione della Camera “una scelta di civiltà che cambia in meglio la nostra società e offre al Paese un’occasione in più per la sua crescita”. Secondo Riccardi, attualmente presidente della Società Dante Alighieri, “l’approvazione dello ius culturae riconosce finalmente un diritto al futuro a migliaia di minori che crescono in Italia considerandola a tutti gli effetti il proprio Paese”.
Un paese capace di attrarre, e quindi di integrare le giovani generazioni, ha un futuro. E’ questo ciò di cui tutti abbiamo bisogno. |