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5 Febbraio 2016 | ROMA, ITALIA

Omelia di mons. Matteo Zuppi alla liturgia per il 48° anniversario della Comunità di Sant’Egidio

San Giovanni in Laterano, 4 febbraio 2016

 
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Care sorelle e cari fratelli,

sento la gioia, davvero l’Evangelii Gaudium, di potere celebrare assieme l’anniversario della comunità di Sant’Egidio, con tanti fratelli e amici, (e le due categorie si fondono insieme), con Andrea, che non ha mai smesso di vedere, anche quando mancano mesi alla mietitura, le messi che già biondeggiano, con la fretta del raccolto, interrogandosi su come realizzarlo; insieme a Marco, presidente della comunità, che con il suo servizio infaticabile tiene unita una famiglia davvero senza confini, insieme a tutti voi e a tutto quello sconfinato popolo di uomini e donne, di più di settanta paesi, di condizioni sociali e di età molto varie, diversi e resi uguali dall’amore, dai piccoli villaggi della sterminate campagne africane alle grandi città, dai paesi dove la chiesa è una minacciata minoranza, come il Pakistan, alle comunità del nord Europa.

Sento la gioia di farlo in questa casa “caput et mater omnium aecclesiarum”, così significativa per una comunità per la quale essere romana non è solo un fatto anagrafico. Le dodici porte degli apostoli che contornano questo casa indicano anche a noi non solo le dodici porte della Santa Gerusalemme che viviamo già oggi radunati in questa visione del futuro che è l’assemblea dei fratelli e delle sorelle. Sentiamo con noi anche i tanti che sono in cielo uniti nella comunione dei santi. Queste dodici porte significano anche una casa che si apre al mondo, che non vuole e non può pensarsi chiusa, che deve uscire per entrare nella storia degli uomini  attraverso quella stessa unica porta di misericordia che è Cristo. Questo amore giunge alle folle della città, stanche e sfinite come pecore senza pastore, come i tanti anziani che implorano protezione, indifesi come sono, esposti alla banalità del male. Giunge alla folla di bambini e di tutte le vittime, come troppo spesso sono le donne, esposti alla cattiveria e alla violenza del mondo, vuole giungere a quella massa di migranti che diventano stranieri alla disperata ricerca di futuro. Sento l’orgoglio e la gioia, insieme però alla vergogna per i tanti che l’indifferenza e l’inedia non ha salvato, di accogliere proprio oggi la prima famiglia giunta in Europa con i corridoi umanitari.

E’ il frutto che di una misericordia che non si accontenta, che non si nasconde dietro al facile “non è possibile” oppure “già faccio abbastanza”, che non vuole adattarsi all’egocentrismo ma alle domande degli uomini così come esse sono. La misericordia allarga il cuore, suscita l’intelligenza d’amore, rende forti per sognare e trovare le soluzioni e costruire le alleanze che lo rendono possibile. La comunità è una madre in realtà debole, forte solo della misericordia, perché questa allarga il cuore e nonostante la debolezza, anche quella di mezzi economici, cerca le risposte necessarie. E’ una madre sempre povera perché tutto quello che ha lo dona ai poveri. Contempliamo questa sera la nostra assemblea con gli occhi della fede. E’ una realtà umana, fisica, non virtuale, indefinita; porta con sé il peso della storia e del peccato. E questo non ci scandalizza. Mazzolari direbbe che l’umanità della chiesa può irritare ma solo coloro che preferiscono il giudizio alla misericordia, la lettera allo spirito, il trionfo della verità alla esitazione della carità lo schema all’uomo. Vedendola non smettiamo proprio di stupirci, di lodare il Signore, e lo capiamo ancora meglio in questo anno della misericordia e in questo oggi così entusiasmante della chiesa.

Dobbiamo, però, rispondere al Signore del talento affidato. Come lo abbiamo speso? Questo è il giudizio sulla nostra vita. Lo abbiamo aiutato o siamo rimasti a guardare? Abbiamo avuto paura rifugiandoci nel sicuro e tiepido individualismo, cercando narcisisticamente un po’ di considerazione personale? Questa celebrazione è gratitudine per un amore tanto più grande della nostra umiltà e anche occasione per rinnovare la nostra scelta di amore, il nostro si a questa chiamata, per un nuovo inizio, un vero giubileo. Gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente vogliamo donare, affidandoci di più alla provvidenza di Dio, che certo dobbiamo aiutare con tutta la nostra decisione e volontà ma che è sempre più grande delle nostre persone e che tutto porta a compimento.

Siamo in tanti. Ma Sant’Egidio è sempre una piccola - grande famiglia, con orizzonti grandi allo stesso tempo con un’attenzione così personale e concreta per ognuno. Solo un orizzonte largo ci fa capire chi siamo, permette di non invecchiare e ci aiuta a vedere quello che abbiamo e rappresentiamo al di là di noi. In un orizzonte piccolo facilmente ci possiamo credere sazi, addirittura giusti! Quando apriamo il cuore al Vangelo e al mondo non possiamo certo essere compiaciuti e sentiamo invece l’inquietudine e l‘urgenza di crescere, di metterci di nuovo in cammino, sentiamo che davvero non è che un inizio, così come invita il Vangelo. Gesù, come abbiamo ascoltato, ci chiama sé e ci manda, ci riunisce e ci invia. Egli manda i suoi. Oggi, allora, non è la festa di un’istituzione ma è una tappa di un cammino iniziato nel pomeriggio del 7 febbraio del 1968, quando Andrea Riccardi riunì un piccolo gruppo di studenti liceali attorno al Vangelo iniziando a cercare di spendere la propria vita al servizio dei più poveri, con la profonda intuizione che era questa la via per cambiare se stessi e il mondo. E non è cambiata  questa ambizione per non restare spettatori, raffinati o meno, ma per rendere migliore il mondo. Abbiamo per certi versi una sempre maggiore responsabilità di farlo anche per i tanti segni dell’efficacia del Vangelo, come abbiamo ascoltato, capace di scacciare gli spirito impuri, come quelli della solitudine, dell’odio, dell’abbandono, dell’indifferenza, della malattia come l’AIDS, della guerra e della violenza. Sentiamo sempre di più la necessità di farlo per non sciupare le tante possibilità, per essere felici e trovare la missione di ognuno su questa terra.

Sogniamo ma lavoriamo perché non vogliamo una vita abituata a parole vuote, piacevoli ma povere di vita. Vogliamo che tanti incontrino un Vangelo vicino e fraterno, profondo e popolare, possibile a tutti ed esigente, spirituale e concreto, dell’ortodossia e dell’ortoprassi, interiore e comunitario, dove si confonde chi aiuta e chi è  aiutato, dove sogniamo e lavoriamo perché la guerra sia bandita dagli uomini, dove si svuotino gli arsenali e si vinca l’infamia della pena di morte, perché i nostri paesi non si svuotino di anima e si riducano ad un mercato; perché il mondo trovi la via dell’unità e il dialogo sconfigga il pregiudizio. E penso che la sfida della pace sia davanti a tutti noi e dobbiamo vincerla, con la rete dei rapporti, con la sapienza degli incontri e con l’insistenza della preghiera.

Uno dei segreti della comunità è l’essere a due a due. E’ la fraternità, il gusto, direi il culto dell’amicizia, che qualche volta può rendere vulnerabili, ma è il dono della comunione. E tanti fratelli si sono aggiunti durante il cammino, in un’amicizia che non è esclusiva ma circolare, transitiva, che da valore all’altro rendendolo prossimo.  La via si allunga man mano che la percorriamo e Dio è sempre di là, distanza che si lascia avvicinare, perché  un Dio che è sopra e anche dentro di noi. Oggi per tutti è la mia e la nostra festa e la gioia di un nuovo inizio. La comunità è madre di misericordia perché si è sottratta al facile schierarsi ideologico, alla sterili contrapposizioni, ai giochi di posizioni che hanno dissipato tante energie. I poveri ci hanno preservato da questo. La comunità non ha giudicato, analizzato, catalogato il prossimo, ma lo ha amato cercando di guardarlo sempre con tanta misericordia.

Gesù ci manda. Dove? Qual è la direzione? Il Vangelo non lo dice, proprio per indicare che possiamo e dobbiamo andare ovunque e che non c’è un programma, perché l’unico programma è quello dell’amore mandato al povero, al fratello più piccolo, all’uomo mezzo morto. Tutto dipende dallo sguardo. Se guardiamo dall’alto gli altri sono considerati poco interessanti oppure cercheremo negli altri solo quello che ci riguarda o pensiamo ci serva. Lo sguardo che ci è chiesto non è indagativo, sospettoso, alla ricerca di difetti o limiti, per cui siamo più preoccupati di noi che degli altri. Gesù chiede di non essere se stessi, di non prendere altro che quello che serve per il viaggio. In realtà si fida di noi e ci libera dal carico ingombrante delle nostre difese, delle paure, delle maschere. Questa sera ci dice: “Prendi solo il mio amore, ascolta per capire le domande profonde dell'altro, la sua preghiera silenziosa. Papa Francesco dice: Ogni essere umano è oggetto dell'infinita tenerezza del Signore, ed egli stesso abita nella sua vita... Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione". Per questo non possiamo accontentarci di una misericordia al ribasso come diceva Madelein Delbrel.: “Dobbiamo fare in modo che i cristiani non si lascino modellare da un ideale di misericordia al ribasso, che non si accontentino di un lavoro corretto che li fa classificare nella categoria della gente onesta e competente. C’è bisogno di una misericordia rivoluzionaria in questa misericordia da burocrate e del giusto mezzo. Non possiamo aspettarle le inchieste sensazionali di qualche giornale per pensare che c’è oggi una marea di sofferenza. Il mondo si contorce in dolori pressoché infiniti. La chiesa è come la madre ansiosa alla porta di un ospedale dove degli estranei curano i suoi bambini. Lei aspetta da noi che attraverso di noi possa sedersi a tutti quei comodini del letto. La misericordia è il segno attraverso il quale le persone hanno riconosciuto il Cristo: mostriamolo senza ritoccarlo, il nostro tempo lo riconoscerà”.  Nei rapporti quotidiani e personali, ovunque, anche dove appare inutile, con la leggerezza della bontà e dell’umiltà, iniettiamo dosi di misericordia. Tutti possiamo lavorare per donare la misericordia, perché solo questa trasforma il mondo e rende pieno il cuore perché supera la misura della giustizia. Grazie Signore perché ci vuoi con te. Grazie perché ti fidi di noi, continui ad avere misericordia della nostra povertà  e ci doni la gioia di avere misericordia verso tutti, specialmente i tuoi fratelli più piccoli. Per favore, liberaci dalla paura perché rendiamo bella la casa comune come tu l’hai voluta.


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