Il grande pericolo è la rassegnazione. La grande risorsa sono le energie umane e spirituali presenti nel cuore dei popoli, una forza profonda e nascosta da chiamare alla luce. La cerimonia finale si avvia verso il momento principale, la lettura dell'Appello per la pace. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, parla dopo il presidente albanese Bujar Nishani e l'arcivescovo ortodosso Anastasios; soprattutto dopo che le varie confessioni religiose hanno pregato per la pace, con le proprie parole e i propri riti, in luoghi diversi, senza confusione alcuna.
Ma il senso dell'Incontro internazionale, organizzato da Sant'Egidio con le Chiese ortodossa e cattolica e il concorso delle comunità musulmana e bektashì, è racchiuso nella coreografia. La piramide voluta dal dittatore Hoxha per sé, monumento all'ateismo di Stato, è avvolta, oscurata da un grande drappo arcobaleno che scende dall'alto e termina sul palco: il cielo si apre e si unisce alla terra, e le religioni sono il cuore pulsante, coloro che dicono, per bocca di Anastasios: «La lotta per la pace, nel nostro cuore, nell'ambiente, nelle nostre comunità, sul nostro pianeta, è il dovere spirituale di ogni essere umano».
L'Appello, consegnato ai leader religiosi da 42 bambini, è letto da Miriam Coronel Ferrer, nome purtroppo poco noto in Occidente ed è un peccato, perché è una delle tante prove che «la pace è sempre possibile». Ci si può mettere 17 anni, come è accaduto nelle Filippine, ma la tenacia degli uomini di pace alla fine prevale. Miriam Coronel Ferrer è la presidente del Panel del Governo filippino ai negoziati di pace per Mindanao con il Fronte di liberazione islamico Moro, rappresentato a Tirana da Aboud Sayeed Lingga, negoziati che hanno visto Sant'Egidio svolgere un importante ruolo di garanzia e mediazione.
L'Appello ripercorre il leit motiv delle giornate albanesi: la rassegnazione va combattuta, la speranza va coltivata. «L'umanità - scrivono i leader religiosi - sembra avere dimenticato che la guerra è un'avventura senza ritorno. Sì, le guerre sembrano diventate normali». Ma non devono esserlo, anche se, ricorda amaramente Riccardi, «troppo ci siamo abituati alle morti in guerra e a quelle nei lunghi viaggi della disperazione».
Che cosa fare, dunque? Riccardi invita con forza a «un nuovo movimento per la pace, ispirato dalle religioni, che non si rassegni alla guerra e al dolore di tanti. Tenace come una preghiera che non si stanca, come un sogno che non finisce». Non ci sono alternative, perché l'altemativa è l'autodistruzione. Prosegue l'Appello: «Il nostro XXI secolo è a un bivio: tra rassegnazione e un futuro di speranza, tra indifferenza e solidarietà. Dobbiamo globalizzare la solidarietà». A chi dovesse scuotere il capo, rassegnato appunto, Riccardi dà la scossa, ieri sera come già aveva fatto domenica: «I popoli europei, nonostante le loro paure, hanno mostrato un volto piuttosto ospitale verso i rifugiati. Ci siamo troppo rassegnati a che non esistano energie buone nel cuore dei popoli. Bisogna chiamarle alla luce:sono una forza profonda e nascosta». E conclude: «Ci sono energie umane e spirituali per un mondo migliore. Per vincere la guerra. Per realizzare un mondo più felice».
Da parte sua, l'Appello si rivolge ai governanti («La guerra non si vince con la guerra: è un abbaglio! La guerra sempre sfugge di mano») e alle religioni («La guerra non è mai santa, l'eliminazione e l'oppressione dell'altro in nome di Dio è sempre blasfema»). Ricorda che «la pace viene da Dio», è un suo dono, così come Riccardi ricorda che «bisogna parlare al cuore dell'uomo, per trasformarlo dal di dentro, per liberarlo dal dominio dell'io, dal culto dell'onnipotenza o dalla prigionia della rassegnazione. Senza cambiamento del cuore, non è possibile un mondo diverso».
A testimoniare che il mondo diverso è possibile, ecco il presidente Nishani. Un anno fa papa Francesco, oggi tutte le religioni nel nome della pace convergono nel «mondo albanese multidimensionale» che sente «propri, santi ed eterni» allo stesso modo Giorgio Castriota Skanderbeg, Madre Teresa e Ismail Kadaré. E vien da sorridere quando cita Indro Montanelli: «Questa è la terra dove Cristo e Maometto camminano fianco a fianco».
Era il numero 29 degli incontri nello spirito di Assisi. Logica vuole che nel 2016, a 30 anni esatti dal primo incontro voluto da Giovanni Paolo II e nell'Anno Santo della misericordia, la Comunità di Sant'Egidio e i suoi amici tornino ad Assisi. E così sarà, con la speranza che papa Francesco sia lì, a pregare con loro.
Umberto Folena
|