Nel 1931, presagendo cosa sarebbe successo di lì a pochi anni, Paul Valéry scrisse che il futuro non era più quello di una volta. Diventata oggi graffito sui muri delle città, l'intuizione respinge l'idea positivista di un futuro migliore del presente. Infatti, che diverso domani può nascere da un oggi magro come questo? Per molti è ormai un vivere alla giornata, solo cercando di resistere a difficoltà montanti che non sembrano nemmeno più frutto di un ciclo economico negativo, ma vengono percepite come croniche, incistate negli anni. E non serve ricordare che l'Europa nel 1945 era un cumulo di macerie alle moltitudini, ormai, che sono nate anni e decenni dopo. L'idea che tutti hanno di questo mondo, di quest'Europa, di questo Occidente è quella di chi fino a ieri credeva nella "magnifiche sorti e progressive" e oggi si ritrova al centro di una crisi di cui non vede la fine. Non sembrava possibile e invece ecco il futuro diventato mare ignoto dove si naviga a vista, senza sapere o prevedere, immersi nel carpe diem.
Domandiamoci, tuttavia: esiste oggi soltanto il futuro come un quadro scuro che non lascia scorgere ombra di luce? O non ci sono, invece tanti futuri possibili, a partire da quello personale di ognuno di noi? Ma certo: c'è il futuro del bambino, indistinto, gigantesco, favoloso, fatto di mondi su mondi che si dilatano oltre ogni limite. C'è il futuro del giovane, nutrito di vita e di speranze. C'è il futuro dell'adulto, il futuro del padre, della madre, della famiglia. Ci sono futuri diversi, tutti però guardati oggi con "timore e tremore", per dirla con Kierkegaard. Domani che promettevano grandi cose non daranno niente se addirittura non strapperanno ciò che si è duramente conquistato. Di qui la ribellione, la protesta, lo sconforto e l'amarezza, tutti connotati di chi il proprio futuro non lo vede, ragazzi ma non solo se è vero che nel deserto giovanile di basso orizzonte si affacciano spesso anche gli adulti, padri e madri che sentono il proprio posto di lavoro pericolare come una casa assalita da allarmanti tremolii. E diventato inquietante e oscuro il domani del giovane quanto è pieno di preoccupazioni quello dell'adulto. Si vive, così, murati nella stanza del presente senza porte né finestre sul domani.
Poiché lo si teme, si vorrebbe che il futuro non arrivasse e si tende a contraffarlo, a mascherarlo in una continuazione del presente. Non lo si riempie di speranza, non lo si arricchisce. E tutto ciò anche per avergli consegnato un solo compito: essere lo sviluppo e il perenne miglioramento del presente. Che è un errore di prospettiva, un credo materialista, un impulso a crescere che, se la crescita non arriva, vede il domani chiuso a chiave. Da chiedersi, però, se oltre a questo futuro fatto di necessità, bisogni, desideri terreni (dove tutto ciò che potevo comprarmi una volta, adesso non me lo posso più permettere), non ce ne possa essere un altro di chi si ostina a guardare avanti con fiducia e sa resistere all'abbuiarsi dei tempi: un futuro, diciamolo, cristiano. Generato, come tale, da impegno e fiducia, alimentato da gioia, dovere e sacrificio. Il futuro cristiano non si abbatte, non si perde, non si acquatta nel presente. Resta bene in vista per tutti coloro che lo cercano, i giovani che sperano, gli adulti che faticano, i malati che soffrono, i marginalizzati, i precari e i tanti, tantissimi che discendono dalle Beatitudini evangeliche: i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati ingiustamente.
Poi gli anziani, oggi folla grande. «Essere anziani è bello», ha detto il Papa il 12 novembre nella «visita tra coetanei» a una casa famiglia romana della comunità di Sant'Egidio. È bello se «non ci si fa imprigionare dalla tristezza». E bello se «si sa scoprire la presenza e la benedizione del Signore con le ricchezze che essa contiene». Bello essere anziani. Ma potrebbero le parole di Benedetto XVI voler dire che il futuro appartiene anche agli anziani nonostante che davanti ne abbiano meno di tutti? Se mi è consentito testimoniare in merito, direi di sì. Può apparire illusione o astuto antidoto alla paura inevitabile, biologica, della fine, ma la sensazione di non avere futuro non ce l'ho. Un altro futuro lo avverto, lo sento. Un futuro nuovo. Ripeto: può sembrare chimera, sogno. Astuzia no. E se invece è fede, come credo e spero, prego Dio che me la conservi.